Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12911 del 13/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/06/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 13/06/2011), n.12911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, BIONDI GIOVANNA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

E.L., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI

BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato CONCETTI DOMENICO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 845/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/06/2007 R.G.N. 43/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 845/07 del 15 giugno 2007, accoglieva l’appello proposto da E.L., nei confronti dell’INPS, avverso la sentenza del Tribunale di Torino che aveva rigettato la domanda di quest’ultimo avente ad oggetto la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia sin dal 1 aprile 2003 (vale a dire dal 1 giorno del mese successivo al compimento dell’età pensionabile), anche ai sensi della L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10 e, la condanna dell’INPS al pagamento delle differenze di pensione maturate dal 1 aprile 2003 al 31 marzo 2004, il tutto con interessi di legge e con vittoria delle spese di giudizio.

2. La Corte d’Appello dichiarava che l’ E. aveva diritto alla trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia dal 1 aprile 2003 e condannava l’INPS a corrispondere gli arretrati maturati, con gli interessi di legge. Compensava tra le parti le spese di giudizio.

In particolare la Corte d’Appello riteneva di non poter seguire l’orientamento di questa Corte, come statuito nella sentenza n. 4392 del 2007, sul punto controverso.

3. Ricorre l’INPS per la cassazione della suddetta pronuncia formulando un motivo di ricorso.

4. L’Inps ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha prospettato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione o falsa applicazione di più disposizioni normative: L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, D.L. n. 463 del 1983, art. 18 conv. nella L. n. 638 del 1983, R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 60, R.D.L. n. 636 del 1939, art. 9, L. n. 218 del 1952, art. 2, D.Lgs. n. 503 del 1992, artt. 1, 2, 5 e 6.

1.1. Dopo aver richiamato il contenuto della citata disciplina, il ricorrente, censura la sentenza della Corte d’Appello, deducendo come, a differenza dell’assegno di invalidità, la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia non si realizza automaticamente al perfezionarsi dei requisiti per la pensione di vecchiaia, ma solo a seguito di specifica domanda dell’interessato, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda in questione. Ciò, non potendo applicarsi in via analogica la L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10 e in ragione della giurisprudenza di legittimità, come affermatasi nel tempo in materia (sono richiamate, in particolare, le sentenze n. 6603 del 1998, n. 11411 del 1997, n. 855 del 2006, n. 4392 del 2007).

1.2. L’INPS, in relazione al suddetto motivo di ricorso ha formulato il seguente quesito di diritto: se nel caso di trasformazione della pensione di invalidità ante lege n. 222 del 1984 in pensione di vecchiaia, la trasformazione si realizzi automaticamente, al perfezionarsi dei requisiti per la pensione di vecchiaia, oppure a seguito di specifica domanda presentata dal 1″interessato e se, quindi, la pensione di vecchiaia abbia decorrenza dal momento del perfezionamento dei requisiti oppure dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda di trasformazione.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

Preliminarmente, va osservato che la sentenza n. 4392 del 2007 – dopo aver ricordato che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9492 del 2004, avevano statuito che “deve ritenersi consentita la conversione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia, ove di questa siano maturati tutti i requisiti anagrafìci e contributivi, e ciò sia in forza della L. n. 222 del 1984, art. 1, (che ha introdotto la regola della trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione di vecchiaia), sia per la natura del rischio protetto, che accomuna le due forme di tutela, le quali in attuazione dell’art. 38 Cost., garantiscono il diritto dei lavoratori a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita per i casi di invalidità e vecchiaia” – affermava (richiamando, altresì la sentenza n. 6603 del 1998) che non poteva disconoscersi (tanto meno in sede interpretativa delle norme del sistema) il mutamento al titolo della pensione a chi voglia optare per un tipo di pensionamento più vantaggioso (ricorrendone ovviamente, anzitutto, i requisiti contributivi), di tal che ne consegue che occorre presentare la domanda di trasformazione e che la data di detta domanda determina la decorrenza della pensione di vecchiaia, che sarà quella del primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda in parola.

Tale orientamento, che viene condiviso, è stato confermato da successive sentenze della Corte (si richiamano, in particolare Cass. n. 2879 del 2008,e n. 24772 del 2009).

Come affermato dalle citate pronunce, per quanto riguarda la pensione di invalidità di cui al R.D.L. n. 636 del 1939, nessuna disposizione normativa prevede la sua automatica trasformazione in pensione di vecchiaia.

Del resto, la stessa possibilità di mutamento del titolo di pensione – anche nei casi di espressa domanda dell’assicurato – in particolare la possibilità di ottenere, al compimento dell’età pensionabile, la trasformazione della pensione di invalidità in pensione di vecchiaia – è stata per anni oggetto di contrasto in dottrina e in giurisprudenza.

Detto contrasto è stato, poi, risolto in senso affermativo dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza, sopra richiamata, n. 8433 del 2004 in base al rilievo secondo cui è immanente, nel nostro sistema pensionistico, il principio della mutabilità del titolo.

L’esistenza di un tale principio, peraltro, non può risolversi in danno dell’assicurato e, dunque, – in difetto di una specifica previsione di legge che consideri automatica la trasformazione di un trattamento pensionistico in un altro – non può che concretarsi nel riconoscimento, all’assicurato medesimo (libero di valutarne i vantaggi) della facoltà di richiedere la trasformazione e, perciò, nel riconoscimento di uno specifico diritto di opzione che non può che essere conseguente a una sua domanda in tal senso.

Nè può affermarsi – come afferma la sentenza impugnata – che la L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, sia direttamente applicabile alla fattispecie dell’invalidità disciplinata dalla normativa anteriore.

La norma, sicuramente di carattere eccezionale -ove si consideri che, in materia di prestazioni previdenziali, la domanda dell’interessato costituisce la “regola” – non è, per ciò stesso, suscettibile di interpretazione analogica e, con riferimento alla “vecchia” pensione di invalidità, neppure di interpretazione estensiva considerando le profonde differenze che corrono tra le due prestazioni (la pensione è prestazione molto più favorevole all’assicurato dell’assegno) e che giustificano la diversa disciplina in materia: cambiano, infatti, nella L. n. 222 del 1984 cit., le condizioni relative alla misura dello stato invalidante, giacchè la riduzione della capacità di “guadagno” prevista per la pensione investiva un ambito di operatività più ampio rispetto alla riduzione della capacità di “lavoro” prevista per l’assegno (art. 1, comma 1). La pensione di invalidità era prestazione a carattere definitivo, soggetta solo a revoca per riacquisto della capacità di guadagno (R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10), mentre l’assegno ha durata triennale, confermabile su domanda dell’interessato (art. 1, comma 7); la pensione è reversibile ai superstiti mentre l’assegno non lo è (art. 1, comma 6); più oneroso è il requisito contributivo, poichè, se per entrambe le prestazioni è previsto il quinquennio di contribuzione, per l’assegno sono necessari tre anni di contribuzione nell’ultimo quinquennio (art. 4) mentre per la pensione era sufficiente un solo anno (L. n. 1272 del 1939, art. 9, n. 2, lett. b).

In conclusione ha errato la Corte di Appello di Torino nell’affermare che al compimento dell’età pensionabile, la pensione di invalidità dell’odierno intimato si era automaticamente trasformata in pensione di vecchiaia, così da far decorrere il diritto alla prestazione dal compimento dell’età pensionabile, anzichè dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione all’INPS della domanda amministrativa di trasformazione.

Accolto il ricorso dell’INPS, la sentenza d’appello va cassata, e, poichè dalla stessa risulta che l’assicurato aveva dato atto di aver già ottenuto dall’Istituto previdenziale la trasformazione richiesta con la decorrenza indicata dall’Istituto medesimo (controvertendosi solo per l’affermazione del diritto alla più remota decorrenza della pensione di vecchiaia sin dal compimento dell’età pensionabile), la causa può essere decisa direttamente nel merito da questa Corte (art. 384 c.p.c., comma 1) con il rigetto della domanda di E. L..

Sussistono giusti motivi, in ragione delle questioni interpretative oggetto della controversia per compensare le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2011

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