Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12908 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. III, 26/06/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35428-2018 proposto da:

ATS AZIENDA PER LA TUTELA DELLA SALUTE DELLA SARDEGNA persona del

Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F. AMENDOLA 8/10, presso lo

studio dell’avvocato MARIA ADELAIDE TARAS, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANNA SEDDA;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L. in persona del Curatore C.S.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORTUENSE, 104, presso lo

studio dell’avvocato FABIO TRINCA, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANDREA POGLIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 398/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 02/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2020 dal Consigliere Dott. SCARANO LUIGI ALESSANDRO.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2/5/2018 la Corte d’Appello di Cagliari ha respinto il gravame interposto dall’Azienda Sanitaria Locale n. 8 di Cagliari in relazione alla pronunzia Trib. Cagliari n. 2424/2014, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dalla società (OMISSIS) s.r.l. di pagamento di somma a titolo di conguaglio corrispondente al mancato pagamento dell’incremento tariffario del 9% introdotto dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, (legge finanziaria per il 2008) in ordine a prestazioni protesiche -regolarmente autorizzate e collaudate dall’Ausl n. (OMISSIS) di Cagliari – effettuate negli anni 2009 e 2010.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Cagliari propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS) s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione o falsa applicazione” dell’art. 117 Cost., L. Cost. n. 3 del 1948, art. 4,L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 sexies, art. 12 preleggi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente interpretato L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, là dove ha a tale norma attribuito una “applicazione diretta ed univoca”, erroneamente “fondata sulla rilevanza primaria all’interpretazione letterale della norma”.

Lamenta che la corte di merito non ha tenuto conto della ripartizione delle competenze tra Stato e Regione in materia di gestione del servizio sanitario e di spesa sanitaria, laddove il legislatore statale può legittimamente imporre alle Regioni vincoli di spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva.

Si duole che la corte di merito non abbia “correttamente valutato i documenti offerti in comunicazione ed in particolare la DGR n. 30/33 del 2.8.2007 (doc. 1 allegato al fascicolo di primo grado)”.

Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che l’introdotta “maggiorazione del 9%… si muove all’interno del più generale vincolo di spesa contestualmente previsto”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione del requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, là dove viene fatto riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, all'”atto di citazione ritualmente notificato”, a “forniture di ausili di assistenza protesica erogate negli anni 2009 e 2010”, alla sua eccezione di “inapplicabilità della disposizione” di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, alla Regione Sardegna”, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di gravame, alle assunte conclusione nel giudizio d’appello, alla “circolare n. 25949 del 5 agosto 2008” del Ministero della salute, ai “documenti offerti in comunicazione ed in particolare la DGR n. 30/33 del 2.8.2007 (doc. n. 1 allegato al fascicolo di primo grado”, agli “impegni di cui al piano di rientro” da essa assunti, al “piano di rientro già adottato dalla Regione Sardegna… (cfr. doc. n. 1 allegato al fascicolo del primo grado)”; al “provvedimento” della RAS “cfr. doc…. n. 3 allegato al fascicolo del primo grado)”), senza invero debitamente riportarli -per la parte strettamente d’interesse- nel ricorso, nè fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della loro con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità, la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (v. Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469; Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

Non sono infatti sufficienti affermazioni -come nel caso- apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

Va per altro verso posto in rilievo che là dove si duole dell’erronea valutazione dei documenti prodotti in giudizio la ricorrente in realtà viola altresì il disposto di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione ovvero all’omesso e a fortiori all’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie nella specie lamentata (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Senza sottacersi che non risulta dall’odierna ricorrente invero censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui l’odierna ricorrente “in ogni caso non ha dato idonea prova di avere negato il riconoscimento dell’incremento tariffario disposto dalla norma di legge per avere “sforato” nell’anno 2008 (e/o negli anni successivi) i limiti di spesa introdotti dalla medesima disposizione normativa” (cfr., da ultimo, Cass., 20/6/2019, n. 16579).

Va d’altro canto osservato che l’interpretazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, (secondo cui: “1.Nell’anno 2008 a livello nazionale e in ogni singola Regione, la spesa per l’erogazione di assistenza protesica relativa ai dispositivi su misura di cui all’elenco 1 allegato al regolamento di cui al Decreto del Ministro della Sanità 27 agosto 1999, n. 332, non può superare il livello di spesa registrato nell’anno 2007 incrementato del tasso di inflazione programmato.

2. Al fine di omogeneizzare sul territorio nazionale la remunerazione delle medesime prestazioni, gli importi delle relative tariffe, fissate quali tariffe massime dal Decreto del ministro della Sanità 12 settembre 2006, art. 4, sono incrementati del 9 per cento”) offerta dalla corte di merito nell’impugnata sentenza è senz’altro corretta.

Nell’osservare non potersi individuare “tra le due disposizioni di cui si compone la L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 380, alcuna connessione che non sia il comune riferimento alle “prestazioni di assistenza protesica relativa ai dispositivi su misura di cui all’elenco 1 allegato al regolamento di cui al Decreto del Ministro della Sanità 27 agosto 1999, n. 332”, il quale solo ha determinato l’inclusione, nell’ambito della manovra economica periodica, di una norma avente una finalità estranea alla programmazione economica del breve periodo e coincidente con il dichiarato scopo di voler “omogeneizzare sul territorio nazionale la remunerazione delle medesime prestazioni, gli importi delle relative tariffe, fissate quali tariffe massime dal Decreto del Ministro della Sanità 12 settembre 2006, art. 4″, fissandola al 9% già adottato da numerose Regioni a seguito dell’accordo revisionale del 2004”, la corte di merito è pervenuta a ritenere “che non sia affatto ravvisabile il contrasto tra norme o la contraddittorietà di finalità paventate dall’appellante, giacchè le disposizioni in parola si mantengono autonome essendo volte a perseguire finalità del tutto diverse, l’una (il primo capoverso) di natura programmatica, essendo volta a garantire il contenimento della spesa pubblica, statale e regionale, prevista per l’anno 2008 in relazione alle prestazioni di assistenza protesica per determinati dispositivi, nei limiti dei livelli di spesa registrati nel 2007 con l’incremento ivi previsto, l’altra, invece, di natura dispositiva e immediatamente precettiva, intesa a ristabilire l’uniformità sull’intero territorio nazionale della remunerazione delle medesime prestazioni erogate dai singoli fornitori delle amministrazioni regionali, adeguando le tariffe massime stabilite attraverso la previsione dell’incremento già disomogeneamente recepito a livello regionale ed applicato nel corso degli anni”.

La corte di merito ha quindi escluso “la sussistenza tra le disposizioni in esame del nesso di interdipendenza prospettato dall’appellante, in forza del quale l’indicato incremento tariffario del 9% potrebbe trovare applicazione solo laddove le Regioni non superi il limite di spesa “registrato per l’anno 2007 con incremento del tasso di inflazione programmato””.

Ha al riguardo posto in rilievo che l’opzione ermeneutica sostenuta dall’odierna ricorrente “ove applicata rischierebbe… di provocare, essa sì, contraddizioni ed illogicità non affatto sanabili nella lettura delle norme, giacchè non solo relegherebbe la revisione tariffaria introdotta allo stretto lasso temporale dell’anno 2008, rendendo così del tutto incerta l’individuazione della tariffa applicabile per gli anni ad esso successivi (le prestazioni erogate dall’attrice di cui alle fatture in atti sono state rese negli anni 2009 e 2010), ma reintrodurrebbe a livello nazionale quelle disomogeneità nella remunerazione delle prestazioni in commento che si riproponeva di superare, posto che l’incremento tariffario sarebbe garantito ai soli fornitori delle amministrazioni regionali “più virtuose”, quelle, cioè, che nell’anno 2008 avessero osservato i limiti di spesa sopra detti”.

Ha al riguardo posto in rilievo che l’opzione ermeneutica sostenuta dall’odierna ricorrente “ove applicata… condurrebbe… a conseguenze del tutto illogiche, incoerenti ed aleatorie che alcuno sforzo ermeneutico consentirebbe di colmare se non sovvertendo i canoni interpretative di cui all’art. 12 preleggi, tanto di esegesi letterali quanto di interpretazione logica”, sicchè, “quand’anche si volesse prescindere dall’interpretazione meramente testuale del secondo capoverso della L. cit. art. 2, comma 380, quale quella adottata dal giudice di prime cure, l’approdo ad un’interpretazione di tipo logico sistematico, volta ad individuare il vero scopo perseguito dal Legislatore del 2007, non lascerebbe spazio a valutazioni conclusive difformi da quelle adottate dal giudice di primo grado, non rinvenendosi nella fattispecie una voluntas legis che non sia quella, fatta palese, di uniformare nell’intero territorio nazionale la remunerazione delle prestazioni per cui è causa e ciò, necessariamente, a prescindere dal contenimento della spesa prefissato per il solo anno 2008”.

In altri termini, la corte di merito ha correttamente ritenuto che “l’aumento degli “importi delle tariffe massime di cui al Decreto del Ministero della Sanità 12 settembre 2006, art. 4, sono incrementate del 9% per cento” è del tutto svincolata dai limiti di spesa”.

Conclusione che ha sottolineato essere invero non smentita.ma anzi confermata dalla Circolare del 5/8/2008 con la quale il “Ministero della Salute avrebbe avvertito la necessità di precisare… che le Regioni debbano definire i propri piani tariffari per la fornitura dei dispositivi di cui all’elenco 1 del D.M. n. 332 del 1999, entro gli importi massimi stabiliti dal secondo capoverso e nel rispetto del vincolo di cui al primo capoverso del comma 380”, al riguardo avvertendo che “non solo essa, se letta nei termini prospettata dall’appellante incorrerebbe nei medesimi vizi di incoerenza e contraddittorietà sopra prospettati, ma… la sua valenza sarebbe del tutto irrilevante ai fini del decidere posto che, dato l’assetto gerarchico delle fonti del diritto (tra cui esse non figurano), non solo non possono derogare alle disposizioni di legge, ma anche laddove abbiano un contento interpretativo della norma, restano comunque atti di indirizzo e direttiva a rilevanza meramente interna”.

Emerge evidente, a tale stregua, come diversamente da quanto sostenuto dall’odierna ricorrente l’interpretazione offerta dalla corte di merito risulti formulata all’esito della corretta applicazione da parte della corte di merito dei criteri ermeneutici fissati all’art. 12 preleggi.

Atteso che l’interpretazione della legge rappresenta il proprium della funzione giurisdizionale (v. Cass., Sez. Un., 31/5/2016, n. 11380, e, da ultimo, Cass., Sez. Un., 11/9/2019, n. 22711), risponde a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il giudice è tenuto a ricercare la voluntas legis applicabile nel caso concreto argomentando; non già dal mero tenore letterale delle singole disposizioni, bensì anche dalla relativa ragione (ratio), quale elemento (intenzione del legislatore in senso oggettivo) che deve indefettibilmente orientare l’interprete (v. Cass., 23/1/2014, n. 1361; Cass., 11/5/2009, n. 10741; Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572), imprescindibilmente concorrendo a delineare la regola effettiva nel momento storico dato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/9/2019, n. 22711; Cass., Sez. Un., 13/6/2019, n. 15893; Cass., Sez. Un., 18/5/2017, n. 12516).

Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito è pervenuta alla raggiunta conclusione esercitando correttamente i propri poteri nell’interpretazione della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 380, in piena applicazione del suindicato principio, come emerge evidente dai sopra riportati argomenti posti a relativo sostegno.

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge, in favore del controricorrente.

Ai sensi D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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