Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12908 del 13/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 13/06/2011, (ud. 22/02/2011, dep. 13/06/2011), n.12908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE FLAMINIO 60, presso lo studio dell’avvocato LONGO

RUGGERO, rappresentato e difeso dall’avvocato PATANELLA ONOFRIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO GIUSEPPINA, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 260/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/04/2007 r.g.n. 265/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/02/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 3/3/99 il Pretore del lavoro di Palermo, a seguito di ricorso presentato da P.A., condannò l’Inps a corrispondergli l’assegno ordinario di invalidità a decorrere dal giugno del 1992.

A seguito di impugnazione del P. ed in parziale riforma della sentenza la Corte d’appello di Palermo, con decisione n. 88/2001, ritenne che il ricorrente avesse inteso chiedere la pensione di inabilità, per cui condannò l’Inps a corrispondergli tale prestazione a decorrere dal mese di ottobre del 1996. La stessa Corte ritenne infondata la censura relativa al mancato computo dell’intero ammontare di L. 41.037.439 per lavoro straordinario prestato presso la ditta Aurora, così come accertato in sede di opposizione allo stato passivo fallimentare, non essendo la relativa pronuncia opponibile all’Inps e non trovando applicazione il principio di automaticità di cui all’art. 2116 c.c. Tale sentenza venne cassata dalla Corte suprema a seguito di ricorso del P. e la causa, riassunta davanti alla Corte d’appello di Catania con ricorso del 24/2/05, venne decisa all’udienza del 3/4/07.

Con tale decisione, pubblicata il 13/4/07, la Corte catanese dichiarò che gli importi spettanti al P. a titolo di straordinario da conteggiare ai fini pensionistici erano quelli della sentenza del Tribunale fallimentare di Palermo dell’8/4/98 (L. 26.011.560, come richiesto con la domanda, sulla maggior somma di L. 41.037.439 a titolo di lavoro straordinario), che l’assistito era tenuto a restituire all’Inps la somma di Euro 5333,30, ma che per effetto degli aggiornamenti di calcolo del Ctu, di cui alla relazione del 9/6/06, il medesimo finiva per essere creditore dell’importo di Euro 470,75, somma che, maggiorata degli accessori di legge, doveva essere posta a carico dell’Inps, mentre compensò tra le parti le spese dei vari gradi del giudizio ad eccezione di quelle del primo che lasciò a favore del ricorrente.

Per la cassazione della sentenza propone nuovamente ricorso il P., il quale affida l’impugnazione a due motivi di censura. Resiste con controricorso l’Inps.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 384, 394 c.p.c., art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamentandosi del fatto che la Corte d’appello catanese ha disatteso i principi di diritto contenuti nella sentenza rescindente n. 16300/04 di questa Corte, la quale aveva stabilito che il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, assistenziali e di quelle connesse alle contribuzioni di cui all’art. 2116 cod. civ. operava anche ai fini della determinazione della misura del trattamento pensionistico e non poteva essere limitato fino al raggiungimento del minimo contributivo, per cui esso avrebbe dovuto coprire l’intera area dei contributi dovuti e non versati dal datore di lavoro entro il termine di prescrizione decennale. In particolare, l’inosservanza a tale principio si è avuta, secondo il ricorrente, nel momento in cui il giudice d’appello ha fatto riferimento alla minor somma di L. 26.011.439, quale importo retributivo dovuto per lo straordinario, anzichè all’intero importo del compenso di L. 41.037.439, di cui alla sentenza n. 1203/1998 del Tribunale di Palermo – sezione Fallimentare, per il calcolo dei contributi ai fini pensionistici. A conclusione del motivo è posto il quesito diretto ad accertare se al giudice di rinvio sia consentito disapplicare o stravolgere i principi di diritto fissati dalla Corte in sede rescindente e se sia legittimo da parte del medesimo giudice ammettere una indagine tecnica finalizzata a calcolare la pensione su un importo retributivo per straordinario di L. 26.011.560 afferente a questioni di fatto e di diritto già censurate ed espunte dal giudice di legittimità.

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 91, 92, 384 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 sostenendo che la statuizione sulla disposta compensazione delle spese da parte del giudice di rinvio si è rivelata lesiva del principio della soccombenza, atteso l’esito della lite sfavorevole all’Inps, per cui ha chiesto di accertare se era consentito al giudice d’appello disattendere il principio di diritto della decisione rescindente e nel contempo quello generale della soccombenza attraverso l’adozione di una pronunzia di compensazione delle spese in luogo della condanna dell’ente previdenziale.

In conclusione, il ricorrente chiede la cassazione della sentenza ed invoca, altresì, la decisione nel merito sulla scorta di quanto accertato dal CTU del giudizio di rinvio, con condanna dell’Inps al pagamento dell’importo di Euro 11.441,17 a titolo di differenze pensionistiche, tenendosi conto del rateo mensile di pensione di L. 1723,266 (Euro 890,00) dal gennaio del 2006, sulla scorta delle differenze retributive per straordinario di L. 41.037.439, oltre quelle maturate e maturande dal gennaio del 2006 alla data della sentenza, il tutto con gli accessori di legge e col favore delle spese del giudizio d’appello, del giudizio di cassazione e di quello di rinvio. Osserva la Corte che il primo motivo è fondato.

Invero, dalla lettura della sentenza n. 16300/04, emessa il 23/4/04 da questa Corte in sede rescindente e pubblicata il 19/8/04, si evince chiaramente che non fu condiviso in quella occasione l’indirizzo restrittivo della limitazione del principio generale di automaticità di cui all’art. 2116 c.c. al raggiungimento del requisito minimo di contribuzione necessario per il conseguimento del diritto alle prestazioni. La ragione di una tale decisione fu rinvenuta nella circostanza che diversamente si sarebbe avuto uno scostamento da come il suddetto principio di automaticità era stato inteso dal giudice delle leggi con la sentenza n. 374 del 5/12/97;

nel contempo si ritenne che il principio in questione doveva operare anche ai fini dell’incremento delle prestazioni già spettanti e si precisò, altresì, che in relazione all’obbligo di versamento dei contributi dovuti il R.D.L. n. 636 del 1939, art. 27, comma 2, prevedeva la sola limitazione della prescrizione decennale e che il terzo comma della stessa norma aveva esteso il principio di automaticità in questione anche ai fini della misura del trattamento pensionistico, per cui doveva ritenersi coperta l’intera area dei contributi dovuti e non versati dal datore di lavoro entro il termine di prescrizione decennale.

In definitiva dalla precedente sentenza rescindente si ricava che il principio generale dell’automatismo delle prestazioni previdenziali (ai sensi dell’art. 2116 cod. civ., confermato, per l’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti, dal R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 27, comma 2, nel testo sostituito dal D.L. 30 giugno 1972, n. 267, art. 23 – ter convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 1972, n, 485, e rafforzato dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, art. 3) in forza del quale le prestazioni previdenziali spettano al lavoratore anche quando i contributi dovuti non siano stati effettivamente versati, deve essere interpretato, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 374 del 1997, nel senso che esso trova applicazione, con riguardo ai vari sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, come regola generale rispetto alla quale possono esservi deroghe solo se espressamente previste dal legislatore e non solo in relazione al raggiungimento del requisito minimo necessario per il conseguimento del diritto alle prestazioni, ma anche ai fini dell’incremento delle prestazioni già spettanti.

Ne consegue, alla luce di tali principi, che la Corte d’appello di Catania non poteva limitarsi a considerare solo l’importo accertato come sufficiente al raggiungimento del minimo contributivo per la prestazione invocata dal P., ma doveva tener conto del documento rappresentato dalla sentenza del Tribunale Fallimentare di Palermo, espressamente richiamata dalla precedente sentenza rescindente di questa Corte, e dell’importo per straordinario concorrente anch’esso per l’intero ai fini contributivi per il conseguimento del trattamento pensionistico, così come accertato in sede di opposizione allo stato passivo con sentenza passata in giudicato, purchè nei limiti della sola prescrizione decennale.

Pertanto, in accoglimento del primo motivo, la sentenza va cassata ed il procedimento va rinviato alla Corte d’Appello di Messina che deciderà la questione nel merito, attenendosi al principio di diritto già formulato da questa Corte con la citata sentenza n. 16300/04 del 23/4 – 19/8/04 e provvedendo, di conseguenza, ad operare i relativi calcoli resi necessari dalla domanda, oltre che alla statuizione sulle spese del presente giudizio.

Resta assorbito il motivo sulle spese per effetto dell’accoglimento del primo motivo rivelatosi dirimente.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia per il giudizio alla Corte d’Appello di Messina che pronunzierà anche sulle spese.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2011

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