Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12904 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. un., 13/05/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 13/05/2021), n.12904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di sez. –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente di sez. –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19574-2019 proposto da:

C.S.E. (CONFEDERAZIONE INDIPENDENTE SINDACATI EUROPEI), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA VIA BRUNO BUOZZI N. 32 presso lo studio degli avvocati MICHELE

LIOI, e STEFANO VITI, che la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DEL LAVORO E DELLE

POLITICHE SOCIALI, in persona rispettivamente del Presidente e del

Ministro pro tempore, rappresentati e difesi ex lede dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui uffici sono domiciliati in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– controricorrenti –

nonchè contro

PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA; C.G.I.L. (CONFEDERAZIONE GENERALE

ITALIANA DEL LAVORO); C.I.S.L. (CONFEDERAZIONE ITALIANA SINDACATO

DEI LAVORATORI); U.I.L. (UNIONE ITALIANA DEL LAVORO); C.U.B.

(CONFEDERAZIONE UNITARIA DI BASE); U.S.B. (UNIONE SINDACATI DI

BASE);

– intimati –

avverso la sentenza n. 7096/2018 del CONSIGLIO DI STATO, pubblicata

il 27/12/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/03/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio la Confederazione indipendente sindacati Europei – C.S.E. – chiedeva l’annullamento del D.P.R. 20 gennaio 2012, n. 58494 di nomina nel CNEL di quarantotto rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato e del D.P.R. 20 gennaio 2012, n. 58493, di nomina nel CNEL di sei rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato, nonchè degli atti presupposti, connessi e consequenziali.

In particolare, la parte ricorrente prospettava articolate censure di violazione di legge ed eccesso di potere, specificamente incidenti sulla procedura di nomina dei 22 rappresentanti dei lavoratori dipendenti.

2. Il TAR riteneva fondate le censure incentrate sulla tesi secondo cui i provvedimenti suddetti fossero privi di una confacente motivazione, comunque desumibile dagli atti del procedimento ed altresì viziati per difetto d’istruttoria, inesistente secondo gli elementi forniti, sebbene evidentemente prescritta secondo la previsione del D.L. n. 201 del 2011, art. 23, comma 9, convertito, con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214 (che, dopo aver, al comma precedente, previsto la riduzione del numero dei consiglieri del CNEL da 119 a 64, aveva indicato i criteri da considerare in sede di prima applicazione della riduzione numerica e dell’assegnazione dei resti percentuali risultanti da tale riduzione). Ne conseguiva che non risultava adeguatamente giustificata dall’Amministrazione (lacuna, questa, rimasta non colmata anche in corso di giudizio) la ripartizione dei nove rappresentanti in ragione di sette ai lavoratori autonomi, e di due a quelli delle libere professioni e che neppure era desumibile l’iter logico-giuridico attraverso il quale erano stati individuati i rappresentanti dei liberi professionisti all’interno delle molte attività e associazioni che vi facevano riferimento nè risultavano le ragioni in base alle quali da tale ripartizione fosse rimasta esclusa l’associazione ricorrente.

3. La suindicata decisione era impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dalla Presidenza della Repubblica e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che la criticavano sotto ogni angolo prospettico sostenendo la tesi per cui la statuizione fosse frutto di un fraintendimento e l’operato dell’amministrazione – censurato in via giudiziale – fosse immune da mende ed evidenziando che, alla luce del dato normativo vigente e dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica sottesa alla diminuzione del numero dei componenti del CNEL, la determinazione dell’Amministrazione comunque assistita da una compiuta istruttoria – si appalesasse quale atto dovuto.

La Confederazione indipendente sindacati Europei – C.S.E. – si costituiva depositando una memoria ed un appello incidentale.

Assumeva la esattezza della sentenza demolitoria resa dal TAR e in ogni caso riproponeva le questioni assorbite dal giudice amministrativo e così la censura concernente l’errore in cui era incorsa l’Amministrazione nell’attribuzione di ben sei rappresentanti alla CISL (invece dei cinque che le sarebbero spettati), errore che aveva falsato le successive attribuzioni, oltre che la obliterazione del criterio pluralistico sotteso alla ripartizione dei componenti tra le varie organizzazioni sindacali ed ancora quella concernente la errata attribuzione di un rappresentante alla confederazione C.U.B..

Prospettava, inoltre, l’appellante incidentale, l’incostituzionalità del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 23 convertito nella L. 22 dicembre 2011, n. 214, ove interpretato nel senso patrocinato dall’Amministrazione.

4. Il Consiglio di Stato riteneva non accoglibile l’eccezione di sopravvenuta improcedibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse sollevata dall’Amministrazione sia perchè non era supportata da alcun elemento sia perchè la parte originaria ricorrente avrebbe potuto avere un interesse morale all’annullamento senza rinvio della sentenza di prime cure.

Valutava, poi, di esplorare, ex affido (come fatto presente alle parti dal Presidente del Collegio ex art. 73 del cod. proc. amm. nel corso della discussione proposta alla pubblica udienza) la problematica concernente il persistere in capo all’Amministrazione appellante dell’interesse a che l’appello fosse deciso.

A tale proposito, sosteneva che tale interesse fosse venuto meno (il che comportava, altresì, l’improcedibilità dell’appello incidentale per evidente ulteriore carenza di interesse: esso, sebbene proposto nei termini, era infatti condizionato all’accoglimento dell’appello principale, come chiaramente evincibile dall’ultima pagina, n. 27, dell’atto di appello incidentale medesimo che così testualmente recitava: “in via condizionata si chiede l’accoglimento del presente appello…”).

Rilevava in proposito che: a) gli atti impugnati in primo grado avevano esaurito la loro efficacia in quanto, si era proceduto – da parte dell’Amministrazione – al rinnovo della composizione del CNEL per la consiliatura successiva; b) si verteva, pertanto, in una tipica ipotesi espressamente normata ex art. 34, comma 3, cod. proc. amm.: l’annullamento non risultava più utile per la parte ricorrente, in quanto l’atto aveva esaurito la propria efficacia; c) era da escludere che la sentenza di prime cure potesse produrre alcun ulteriore effetto, o che la stessa fosse coercibile in ottemperanza; c1) la sentenza demolitoria impugnata aveva semplicemente ravvisato un difetto di motivazione, per cui in ogni caso l’amministrazione appellante avrebbe dovuto conformarsi riesercitando il proprio potere (il che, comunque, costituiva evenienza ormai impraticabile, per quanto rilevato in ordine alla perdita di efficacia degli atti impugnati); e) l’unico interesse dell’Amministrazione a proporre appello sarebbe stato quello di evitare di essere convenuta in via risarcitoria;)) a tale ultimo proposito, però, osservava una evenienza del genere non appariva in alcun modo preconizzabile in quanto (oltre alle considerazioni espresse in ordine alla motivazione della sentenza demolitoria, che imponeva un nuovo esercizio del potere) l’azione risarcitoria non era stata mai, sino a quel momento proposta (anche se la parte appellante incidentale si era riservata di farlo) e se anche la parte originaria ricorrente avesse voluto proporla ex art. 30, comma 5, u.p. cod. proc. amm., essa sarebbe risultata all’evidenza inaccoglibile, atteso che: 1) si trattava della prima applicazione di una disciplina composita e complessa, tesa ad individuare le caratteristiche di rappresentatività di compagini sociali ed esponenziali, al fine di designare i componenti di un Organo di rilievo costituzionale e rimessa alla discrezionalità tecnica dell’amministrazione; 2) non si sarebbero giammai potuti individuare, a carico dell’Amministrazione procedente, gli elementi del dolo e della colpa idonei a fondare una ipotetica responsabilità risarcitoria (osservava, al riguardo, per imidens, che le stesse censure di primo grado, accolte per difetto di motivazione, muovevano dal presupposto della innovatività e complessità della disciplina da applicare e che su tali elementi aveva concordato anche il giudice di prime cure).

Conclusivamente riteneva che l’appello dell’amministrazione fosse divenuto improcedibile, essendo del tutto carente l’interesse (anche ipotetico, e non attuale) alla coltivazione dell’impugnazione medesima.

5. La sentenza del Consiglio di Stato è stata impugnata dinanzi alle Sezioni Unite di questa Corte dalla C.S.E. con sei motivi.

6. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..

7. Hanno opposto difese con rituale controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

8. Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.

9. In prossimità della adunanza camerale la Confederazione ricorrente ha depositato una memoria difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, la violazione degli artt. 3,24,111 Cost., violazione dell’art. 6 CEDU, violazione degli artt. 1 e 71, comma 2 cod. proc. amm., eccesso di potere giurisdizionale, totale vanificazione dell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Rileva che ben tre istanze di prelievo della parte ricorrente innanzi al giudice amministrativo erano rimaste senza esito e che l’udienza di discussione della causa era stata fissata ad oltre quattro anni di distanza dalla prima di tali istanze di prelievo. Evidenzia che la pronuncia di sopravvenuta carenza di interesse era intervenuta dopo un lungo lasso di tempo non imputabile alla parte ed in ogni caso aveva vanificato e frustrato l’interesse, che permaneva, ad una decisione che definisse la corretta interpretazione delle norme oggetto del giudizio, anche ai fini delle successive tornate di nomina, ciò in violazione dei più elementari principi in materia di effettività della tutela giurisdizionale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, la violazione degli artt. 34, comma 3, e 30, comma 5 cod. proc. amm., diniego di giustizia.

Sostiene che il Consiglio di Stato, preso atto della dichiarazione della C.S.E. di riservarsi la domanda di risarcimento del danno in un successivo giudizio dinanzi al TAR, si sarebbe dovuto limitare a rendere una pronuncia di mero accertamento avente ad oggetto la legittimità dei decreti presidenziali impugnati.

Assume che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 34, comma 3 cod. proc. amm., il giudice amministrativo, in presenza di una perdita di efficacia dei provvedimenti impugnati nelle more del giudizio, avrebbe dovuto convertire l’originaria domanda di annullamento in una di accertamento della legittimità degli atti impugnati ai soli fini risarcitori (e ciò in quanto la parte aveva manifestato l’interesse ad agire a fini risarcitori).

Deduce che la ratio di tale norma è sia quella di impedire l’annullamento di provvedimenti ormai improduttivi di effetti sia quella di tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l’interesse all’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato laddove la parte abbia manifestato l’interesse a conseguire il risarcimento del danno discendente dall’atto medesimo.

Rileva che nella stessa sentenza impugnata è dato atto che la parte aveva manifestato l’intenzione di proporre un’autonoma azione risarcitoria.

Assume che il Consiglio di Stato, nel pronunciarsi sulla domanda risarcitoria “annunciatà e nel ritenere che essa “sembrerebbe all’evidenza inaccoglibile” per le ragioni evidenziate nello storico di lite, avrebbe violato le citate disposizioni del codice di rito.

Sostiene che l’unico modo per impedire la proponibilità della domanda risarcitoria in ragione della preclusione del giudicato è ottenere da questa Corte a Sezioni Unite la cassazione della sentenza n. 7096/2018.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, la violazione dell’art. 24,111 e 113 Cost., la violazione dell’art. 6 CEDU, la violazione ed errata applicazione degli artt. 1,3,30,34, comma 3, 99 comma 5, 101, comma 2, e 112 cod. proc. amm., violazione dell’art. 346 c.p.c., eccesso di potere giurisdizionale, totale vanificazione dell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Sostiene che con la sentenza impugnata il Consiglio di Stato ha annullato ogni possibile effetto della decisione di primo grado, anche ai fini di una eventuale azione risarcitoria.

In sostanza, mentre con la pronuncia di improcedibilità dell’appello proposto dalle Amministrazioni sarebbe rimasta in essere (ai fini della domanda risarcitoria) la decisione del TAR, tuttavia il Consiglio di Stato ha neutralizzato ogni possibile effetto favorevole per la Confederazione, risultata vincitrice con la sentenza di merito emessa dal TAR, pronunciandosi sulla inaccoglibilità di una tale domanda risarcitoria (preannunciata ma non ancora proposta e per la quale non era iniziato neppure a decorrere il termine di 120 giorni per la sua proposizione di cui all’art. 30, comma 5 cod. proc. amm.) e ritenendo che giammai si sarebbero potuti individuare – a carico dell’amministrazione procedente – gli elementi del dolo e della colpa idonei a fondare una ipotetica responsabilità risarcitoria, il tutto senza esaminare nè le ragioni della sentenza del TAR, nè le censure proposte dall’appellante, nè i motivi, assorbiti in primo grado, riproposti in appello dalla parte appellata.

Evidenzia che il risultato paradossale è che oggi la Confederazione ricorrente è destinataria di una sentenza del TAR che ha dichiarato l’illegittimità degli atti adottati nei suoi confronti ma senza poterne trarre alcun tipo di effetto.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, la violazione dell’art. 3,24,97,111 e 113 Cost., la violazione dell’art. 6 CEDU, la violazione ed errata applicazione degli artt. 1,3,30,101, comma 2, e 112 cod. proc. amm., violazione dell’art. 346 c.p.c., eccesso di potere giurisdizionale, totale vanificazione dell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Censura la sentenza impugnata per aver escluso l’ipotizzabilità di una domanda risarcitoria in quanto relativa ad attività amministrativa connotata dall’esercizio di poteri discrezionali sancendo così l’eliminazione del diritto al risarcimento del danno da interessi legittimi riconosciuto da questa Corte di Cassazione sin dalla pronuncia a Sezioni unite n. 500/1999.

Rileva che sotto tale profilo la sentenza impugnata si pone anche in contrasto con le pronunce della Corte di Giustizia (CGCE 14 ottobre 2004 e CGCE 10 gennaio 2008) che hanno affermato che il diritto del privato al risarcimento del danno non è subordinato alla dimostrazione della colpa e del dolo dell’amministrazione (stazione appaltante).

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, la violazione dell’art. 3,24,97,111 e 113 Cost., la violazione dell’art. 6 CEDU, la violazione ed errata applicazione degli artt. 1,3,30,101, comma 2, e 112 cod. proc. amm., violazione dell’art. 346 c.p.c., eccesso di potere giurisdizionale, totale vanificazione dell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Ribadisce che il Consiglio di Stato ha adottato la sentenza senza valutare le ragioni alla base dell’annullamento del TAR ed escludendo espressamente di dover valutare i motivi rimasti assorbiti in primo grado e riproposti dall’appellata.

Rileva che con la sentenza impugnata si è deciso l’esito di un’azione futura non ancora proposta ma senza esaminare, dichiaratamente, i motivi di illegittimità dell’azione amministrativa già dedotti e sollevati nel corso del giudizio di merito mediante la produzione della memoria di costituzione.

Evidenzia, in particolare, che l’esclusione della ricorrente dal CNEL era avvenuta in violazione del principio di partecipazione pluralistica il quale impone che venga riconosciuto il diritto dell’associazione medesima di designare un proprio rappresentante anche se ciò comporti, nei rapporti tra le varie associazioni, una deroga al principio della potenziale proporzionalità.

6. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, la violazione degli artt. 111 e 24 Cost., la violazione dell’art. 6 CEDU, la violazione dell’art. 73, comma 3 e art. 2 cod. proc. amm., la violazione dell’art. 101 c.p.c., la violazione del principio del contraddittorio e del giusto processo, l’applicazione abnorme delle regole del processo.

Rileva che il Consiglio di Stato, diversamente da quanto aveva fatto con riguardo alla questione della improcedibilità del ricorso in ragione della cessazione della efficacia degli atti impugnati, abbia posto a fondamento della declaratoria di improcedibilità dell’appello una prognosi negativa circa la fondatezza dell’annunciata domanda risarcitoria, senza invitare le parti a contraddire sul punto.

7. Le prospettazioni di cui al ricorso, ancorchè partendo da differenti prospettive, tendono essenzialmente a censurare due punti centrali della sentenza del Consiglio di Stato che, al di là di un giudizio conclusivo favorevole alla C.S.E. (“definitivamente pronunciando sull’appello – di Presidenza del Consiglio, Presidenza della Repubblica, Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali – lo dichiara improcedibile”), avrebbero, di fatto pregiudicato il diritto di azione della Confederazione derivante:

a) dal non aver sollecitato il contraddittorio tra le parti (ex art. 34 cod. proc. amm.) in ordine alla questione relativa all’ammissibilità e fondatezza dell’eventuale domanda risarcitoria ‘riservatà dalla C.S.E.;

b) dall’aver deciso, al fine di sostenere la raggiunta conclusione dell’improcedibilità dell’appello principale, la predetta questione risarcitoria (rilevandone la manifesta infondatezza) in una sede processuale nella quale tale domanda esulava dall’oggetto del giudizio.

8. Assorbente rispetto ad ogni altra questione è che, nella specie, sono denunciati errores in procedendo o in iudicando e che si è, pertanto, fuori dei motivi inerenti alla giurisdizione esclusivamente contemplata dall’art. 111 Cost., u.c..

9. L’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonchè di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici, senza che tale ambito possa estendersi, di per sè, ai casi di sentenze abnormi, anomale ovvero di uno stravolgimento radicale delle norme di riferimento; sicchè, tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le molte: Cass., Sez. Un., 20 marzo 2019, n. 7926; Cass., Sez. Un., 11 novembre 2019, n. 29082; Cass., Sez. Un., 15 aprile 2020, n. 7839; Cass., Sez. Un., 4 dicembre 2020, n. 27770).

A tal riguardo, si è altresì precisato che la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall’erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto Europeo da parte del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, atteso che l’interpretazione delle norme di diritto costituisce il proprium della funzione giurisdizionale e non può integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione, che invece si verifica nella diversa ipotesi di affermazione, da parte del giudice speciale, che quella situazione soggettiva è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2018, n. 32773).

Il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione – non include neppure il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errores in iudicando o in procedendo per contrasto con il diritto dell’Unione Europea, salva l’ipotesi, ‘estremà, non sussistente nella specie, in cui l’errore si sia tradotto in una interpretazione delle norme Europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 10 maggio 2019, n. 12586).

10. E’ opportuno aggiungere che, con riferimento all’interpretazione del riparto della giurisdizione e dei limiti del sindacato di questa Corte, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 6/2018, dopo aver confermato il descritto assetto, ha escluso “soluzioni intermedie”, pur limitate “ai casi in cui si sia in presenza di sentenze abnormi o anomale ovvero di uno stravolgimento, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”, poichè “attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive”.

Questa Corte ha, sul punto, precisato (v. Cass., Sez. Un., n. 7839/2020 cit. e più di recente Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2021, nn. 4848 e 4849) che, riconosciuta natura vincolante alla interpretazione fornita dalla sentenza del giudice delle leggi, “in quanto dispiegata su una pura sostanza costituzionale… il sindacato ex art. 111 Cost., comma 8, delle Sezioni Unite della Corte di cassazione per “motivi inerenti alla giurisdizionè (che, con pregnanza, il legislatore costituente ha qualificato e rimarcato soli) investe esclusivamente le fattispecie di difetto assoluto di giurisdizione – in senso espansivo… e di difetto relativo di giurisdizione, ovvero percezione di un’erronea incidenza della pluralità di giurisdizioni – fattispecie in cui il giudice dichiara propria la giurisdizione laddove essa compete ad altro giudice o nega la propria giurisdizione affermandone erroneamente l’attribuzione ad altro giudice”.

11. I vizi che la ricorrente addebita alla sentenza impugnata riguardano tutti in procedendo o in iudicando, attinenti esclusivamente alla legittimità del potere giurisdizionale esercitato nell’occasione dal Consiglio di Stato, senza, peraltro, che sia prospettata l’esistenza di alcuna ipotesi estrema di contrasto con le norme Europee.

Rappresentare la sussistenza di errori nelle modalità di conduzione del processo, quale scorretta attività di correlazione organizzativa e cognitiva del giudice rispetto all’esplicitazione di una domanda, ed in particolare lamentare che sia stata adottata (quanto all’ipotetico risarcimento del danno derivante dall’annullamento del provvedimento da parte del TAR) una pronuncia ultra petita, con pregiudizio per l’eventuale specifica azione, non è chiedere soccorso rispetto a una abnormità nell’esercizio della giurisdizione qualificabile suo diniego, bensì una revisione di quanto il giudice ha dato con una modalità (ancora) inquadrabile nello jus dicere, e non qualificabile, invece, come abnorme (Cass., Sez. Un., n. 7839/2020 cit.).

12. Anche la denunciata violazione dell’art. 6 CEDU, come quella della violazione degli artt. 3,24,97 e 111 Cost., in quanto ricollegate alla mancata valutazione, da parte del Consiglio di Stato, dei motivi di illegittimità dell’azione amministrativa rimasti assorbiti in primo grado e riproposti dall’appellata in sede di gravame incidentale, alla esclusione dell’esistenza di un danno risarcibile prima ancora che la relativa domanda fosse azionata, al quomodo della partecipazione della Confederazione al giudizio di appello, attingono con evidenza, e impropriamente, ai limiti interni della giurisdizione amministrativa investendo il potere riservato al giudice dell’impugnazione, da esercitarsi in rapporto alle censure di gravame ovvero rispetto alle questioni rilevabili d’ufficio (ed in questo caso rispetto al contraddittorio ed al giusto processo), suscettibile di determinare errores in procedendo o in indicando concernenti il perimetro dell’oggetto del giudizio, anche in funzione della formazione del giudicato (Cass., Sez. Un., 30 marzo 2017, n. 8245).

13. In sede di memoria la Confederazione insiste sulla interpretazione evolutiva che la locuzione motivi inerenti alla giurisdizione ha assunto nel tempo e richiama l’ordinanza interlocutoria di questa Corte, a sezioni unite, n. 19598 del 18 settembre 2020 di rimessione alla Corte di Giustizia di un quesito pregiudiziale che avrebbe messo in discussione quella efficacia vincolante del giudice delle leggi di cui si è detto al punto sub 10. che precede.

14. Si tratta, però, di un richiamo non pertinente in questa sede: le questioni interpretative che il giudice Europeo è stato chiamato ad affrontare, a tanto sollecitato dall’indicata ordinanza interlocutoria, riguardano il più ristretto ambito di uno di quei settori disciplinati dal diritto dell’Unione Europea (nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici) nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto e, dunque, esula del tutto dal caso odierno.

Ed infatti il dialogo con la Corte UE di cui a detta ordinanza interlocutoria è stato sollecitato al fine di conoscere se l’art. 4, par. 3, l’art. 19, par. 1 TUE e l’art. 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ostino alla interpretazione e applicazione dell’art. 111 Cost., comma 8, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, e dell’art. 362c.p.c., comma 1, dell’art. 110cod. proc. amm., quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per motivi inerenti alla giurisdizione, sotto il profilo del cosiddetto difetto di potere giurisdizionale, non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione abbiano omesso immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Ci Nt, C-238/81) che solo esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento del) l’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell’Unione e di pregiudicare la uniforme applicazione e la effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione.

15. Nel caso qui in esame non si è posta dinanzi al giudice speciale alcuna questione concernente il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE nè vi è, a base del denunciato eccesso di potere giurisdizionale, un travalicamento della giurisdizione della Corte di Giustizia nella quale sarebbe incorso il giudice speciale.

Neppure è indicato il criterio di collegamento tra il diritto dell’Unione e la fattispecie in esame e nulla è detto circa la riconducibilità della stessa nell’ambito di applicazione delle norme sovranazionali (in quanto, appunto, disciplinata da queste ultime), come era necessario, tenuto conto che dette norme non hanno applicazione generale, in difetto di tale presupposto (v., tra le più recenti, Corte di Giustizia, 28 maggio 2020, C-17/20; Corte Cost. n. 33 e n. 30 del 2021), non assumendo, come detto, nello specifico, la denunciata violazione dell’art. 6 CEDU, autonoma rilevanza ed essendo utilizzata per corroborare la dedotta violazione del diritto di difesa, pur sempre nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione amministrativa.

Egualmente è a dirsi con riguardo al lamentato contrasto con le pronunce della Corte di Giustizia (CGCE 14 ottobre 2004 e CGCE 10 gennaio 2008) – in punto di prova da parte del privato del dolo o colpa dell’amministrazione ai fini del risarcimento del danno – essendo lo stesso chiaramente attinente ad un decisum proprio della giurisdizione.

16. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

17. La complessità delle questioni che vengono in rilevo e la posizione assunta dalle Amministrazioni controricorrenti – che, pur se in via subordinata, hanno chiesto disporsi l’annullamento della sentenza del Consiglio di Stato impugnata -, costituiscono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dalla ricorrente.

PQM

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, dichiara l’inammissibilità del ricorso; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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