Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12901 del 22/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/06/2016, (ud. 05/04/2016, dep. 22/06/2016), n.12901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4161-2010 proposto da:

TUTTOSERVIZI S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, C.F. (OMISSIS),

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIUSEPPINO BOSSO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale

mandatario della S.C.C.I. S.P.A. società di cartolarizzazione dei

crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentati e difesi dagli avvocati LUIGI CALIULO, ANTONINO SGROI,

LELIO MARITATO giusta gelcia in atti;

– controricorrenti –

e contro

EQUITLIA NOMOS S.P.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 682/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 22/05/2009, R.G. N. 1351/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato CARLA D’ALOISIO per delega orale ANTONINO SGROI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 22 maggio 2009, la Corte d’appello di Torino rigettò l’impugnazione proposta dalla Tuttoservizi s.r.l., società in liquidazione, contro la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede, di rigetto dell’opposizione proposta dall’appellante contro la cartella esattoriale notificata nell’interesse dell’INPS ed avente ad oggetto il pagamento di somme a titolo di evasione contributiva e interessi di mora relativamente al periodo giugno 1990-

aprile 1993.

2. La Corte, condividendo il ragionamento svolto dal primo giudice, ha ritenuto carente di legittimazione attiva la società, rilevando che la cartella era stata notificata alla Tuttoservizi s.n.c. di B.S. ed T.P.A.; che il verbale ispettivo, sulla base del quale era stata emessa la cartella, era stato redatto nei confronti della società in nome collettivo; che anche la successiva diffida del marzo 1998 era rivolta a tale società; che per un certo periodo la s.r.l. e la s.n.c. erano coesistite, sicchè era indimostrato che tra le due società fosse intervenuto un trasferimento d’azienda; che in ogni caso mancavano elementi per ritenere che la presunta cessionaria avesse assunto il debito contributivo, essendo l’art. 2112 c.p.c., invocato dall’appellante, relativo ai soli crediti di lavoro, laddove l’art. 2560 c.c., era inapplicabile con riguardo a debiti attinenti a rapporti di lavoro non regolari.

3. Contro la sentenza, la Tuttoservizi S.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo, illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso l’Inps, anche quale mandatario della società di cartolarizzazione dei crediti SCCI s.p.a.. La Equitalia Nomos s.p.a., concessionario del servizio nazionale di riscossione dalla provincia di Torino, è rimasta intimata. Con ordinanza interlocutoria del 1/12/2015 questa Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni unite investite della questione relativa alla rilevabilità d’ufficio del difetto di titolarità attiva o passiva del diritto sostanziale dedotto in giudizio. A seguito del deposito della sentenza del 16 febbraio 2016, n. 2951, è stata fissata l’odierna udienza di discussione, in vista della quale la Tutto servizi ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la Tuttoservizi S.r.l. censura la sentenza per violazione degli artt. 2112, 2560 e 2697 c.c. e assume che dalle visure della Camera di Commercio di Torino relative alle due società, una prodotta da essa ricorrente e l’altra dall’INPS, emergeva che la Srl era subentrata alla s.n.c. e “ciò non (poteva) che essere avvenuto ai sensi dell’art. 2112 c.p.c.”. Inoltre, la somma richiesta con la cartella opposta riguardava la posizione di un lavoratore che aveva promosso domanda di condanna della S.r.l. al pagamento di differenze retributive per un periodo di lavoro precedente alla costituzione della società sostenendo di essere stato dipendente anche della s.n.c. Il giudizio si era concluso con sentenza resa dalla Pretura di Torino, sezione distaccata di Susa n. 54/1998. In base a tali elementi ritiene dimostrata la cessione di azienda e, conseguentemente, la sua legittimazione a promuovere l’opposizione, anche in considerazione della cancellazione dall’albo delle imprese della s.n.c..

2. Il ricorso è infondato, oltre a presentare profili di inammissibilità. La inammissibilità sta nel fatto che la parte non deposita unitamente al ricorso per cassazione le certificazioni della Camera di Commercio, che non trascrive neppure nelle parti salienti, limitandosi ad affermare che dalle stesse “si ricava” la prova di una cessione di azienda tra la s.n.c. e la s.r.l.; non trascrive nè riporta il contenuto della sentenza del pretore di Torino, già esaminata dalla Corte che ha espressamente escluso che dalla stessa possa ricavarsi la prova della cessione d’azienda; infine, la parte non fornisce precise indicazioni circa la facile reperibilità degli atti nei fascicoli di parte o d’ufficio delle pregresse fasi del giudizio.

Tali omissioni violano il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in base al quale, qualora il ricorrente per cassazione si dolga dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito (come accade nella specie con riguardo tanto alle certificazioni della camera di commercio quanto alla sentenza) per rispettare il suddetto principio – da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” – ha l’onere di indicare nel ricorso il contenuto rilevante del documento stesso, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali e assolvendo, così, il duplice onere, rispettivamente in condizione di verificare la sussistenza del vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso che sia chiaro e sintetico (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726).

3. Il motivo è inoltre infondato nella parte in cui assume, senza peraltro formulare un appropriato quesito di diritto, che la questione della sua legittimazione all’opposizione non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice, trattandosi di questione rimessa all’iniziativa della parte.

Con la recente pronuncia del 16 febbraio 2016, n. 2951, le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato il principio secondo cui la titolarità, costituendo un elemento costitutivo del diritto fatto valere in giudizio, può essere negata dal convenuto con una mera difesa e cioè con una presa di posizione negativa, che contrariamente alle eccezioni in senso stretto non è soggetta a decadenza ex art. 167 c.p.c., comma 2. E’ vero che del medesimo art. 167, comma 1, chiede al convenuto di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore fondamento delle domanda, ma tale disposizione, contrariamente a quanto sancito nel comma successivo, non prevede decadenza. Pertanto, la questione che non si risolva in un’eccezione in senso stretto può essere posta dal convenuto anche oltre quel termine e può essere sollevata d’ufficio dal giudice. Essa può anche essere oggetto di motivo di appello, perchè l’art. 345 c.p.c., comma 2, prevede il divieto di “nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”.

3.1. – Nel caso in esame, secondo quanto emerge dalla stessa sentenza impugnata, già nel corso del giudizio di primo grado il Tribunale di Torino rilevò la diversità tra il soggetto nei cui confronti era stato compiuto l’accertamento ed emessa la cartella di pagamento ed il soggetto che aveva proposto l’opposizione, invitando quest’ultima a documentare la propria legittimazione attiva. Tale rilievo ufficioso è, anche alla luce delle recenti pronunce delle Sezioni Unite, ammissibile e doveroso, sicchè sotto tale profilo il motivo di ricorso è infondato.

4. – L’ulteriore profilo relativo all’avvenuta cancellazione della s.n.c. dal registro delle imprese in data 30/12/1993, e quindi al suo sopravvenuto difetto di legittimazione passiva a far tempo dal 1/1/2004 (come da Cass., Sez. Un. 22 febbraio 2010, n. 4060), nonchè le diverse questioni poste nella memoria ex art. 378 c.p.c., relative alla nullità del difetto di legittimazione passiva a far tempo dai 1/1/2004 (come da Cass., Sez. Un. 22 febbraio 2010, n. 4060), nonchè le diverse questioni poste nella memoria ex art. 378 c.p.c., relative alla nullità della notifica della cartella di pagamento, in quanto avvenuta nei confronti di una società già estinta, e alla prescrizione del credito, sono inammissibili sia per la mancanza di un adeguato e specifico quesito di diritto, da proporsi alla stregua dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al ricorso in esame, essendo stata la sentenza depositata prima dell’abrogazione della norma citata, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), sia per difetto di specificità e autosufficienza, non indicando la parte in quali termini, con quale atto processuale ed in quale fase del giudizio le dette questioni sarebbero state proposte e non rinvenendosi nella sentenza impugnata cenno delle stesse (v. Cass., 18 ottobre 2013, n. 23675).

5. – Dal rigetto del ricorso e in applicazione del criterio di soccombenza, discende la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’istituto controricorrente.

Nessun provvedimento sulle spese deve essere adottato nei confronti della parte rimasta intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali e altri accessori di legge. Nulla per le spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2016

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