Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12901 del 09/06/2014
Civile Sent. Sez. 3 Num. 12901 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE
SENTENZA
sul ricorso 18309-2008 proposto da:
CASSA NAZ DI PREVIDENZA E ASSISTENZA A FAVORE DEI
RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI 80059790586, in
persona del presidente pro tempore Dott. PAOLO
SALTARELLI, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE
LIEGI l, presso lo studio dell’avvocato MELIADO’
2014
878
GIOVANNI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato NERI ADALBERTO giusta procura a margine
del ricorso;
– ricorrente contro
1
Data pubblicazione: 09/06/2014
CONTINI ALBERTO;
– intimato –
avverso la sentenza n. 383/2008 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 21/04/2008, R.G.N.
1553/2007;
udienza del 04/04/2014 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato ADALBERTO NERI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso;
2
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
§1. La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti
Commerciali, nell’agosto del 2005, intimava ad Alberto Contini licenza per finita
locazione innanzi al Tribunale di Bergamo riguardo alla locazione dell’unità immobiliare
ad uso abitativo sita in Bergamo alla via Gandhi n. 4, interno 73, stipulata ai sensi della 1.
anni fino alla scadenza al 30 aprile 2002 e previsione (art. 2 del contratto, riprodotto nel
ricorso) di tacito rinnovo per un eguale periodo, in difetto di disdetta motivata del locatore
ai sensi dello stesso art. 11, comma 2, “da recapitarsi a mezzo raccomandata almeno 12
mesi prima della scadenza (oppure nel diverso minore termine consentito dalla legge)”.
A seguito della rinnovazione alla prima scadenza del 30 aprile 2002, la licenza
veniva intimata – in forza di disdetta inviata dalla locatrice con lettera raccomandata del 10
aprile 2005 (pervenuta 1′ 11 successivo) – per la scadenza del secondo quadriennio, cioè per
il 30 aprile 2006.
Il conduttore compariva e si opponeva alla convalida adducendo che il contratto, in
quanto in corso alla data di entrata in vigore della 1. n. 431 del 1998, era ricaduto, ai sensi
dell’art. 2, comma 6, di quella legge nella disciplina da tale norma prevista, onde, alla
scadenza del 30 aprile 2006 si era rinnovato sino al 30 aprile 2010, giacché con riferimento
ad essa avrebbe dovuto essere inviata disdetta immotivata.
§2. Il Tribunale disposta la prosecuzione del giudizio a cognizione piena, previa
ordinanza di cambiamento del rito, all’esito, con sentenza del 23 maggio 2007,
condivideva la prospettazione dell’intimato e rigettava la domanda della locatrice,
dichiarando che il contratto aveva scadenza al 30 aprile 2010, nel presupposto che, in
quanto contratto in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 431 del 1998 e
rinnovatosi successivamente ad essa in mancanza di una disdetta motivata ai sensi dell’art.
3 della lege stessa, trovasse applicazione il disposto dell’art. 2 commi 1 e 6 di essa.
§3. Contro La sentenza proponeva appello la locatrice e, nella resistenza del
conduttore, la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 21 aprile 2008, lo rigettava.
§4. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico
mezzo, la locatrice.
Non v’è stata resistenza dell’intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
n. 359 del 1992, art. 11, comma 2, con decorrenza dal 1° maggio 1998, durata di quattro
R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014)
§1. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia “violazione e falsa applicazione di
norme di diritto di cui all’art. 360, I comma, n. 3, in relazione all’art. 11, comma 2, D.L.
11/7/1992, n. 333 (aggiunto dalla Legge di conversione 08/0/1992, n. 359, agli art. 2,
comma 6 e 14, comma 5, L. 09/12/1998 n. 431 e all’art. 3, L. 27 luglio 1978, n. 392 e
comunque contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.”.
effetti dei contratti pendenti alla data di entrata in vigore della 1. n. 431 del 1998 con una
disciplina convenzionale simile a quella del contratto di cui è processo, effettuata da Cass.
n. 8943 del 2008 dispositiva della cassazione di analoga decisione della Corte bresciana.
Tant’è che il motivo è concluso dallo stesso quesito di diritto allora proposto con
un’integrazione finale che considera il principio di diritto allora affermato, di modo che
l’interrogativo proposto alla Corte è il seguente: “se, nell’ipotesi di contratti di locazione
disciplinati dall’art. 11, comma D.L. 11.07/1992 n. 333 (c.d. patti in deroga) debba
applicarsi il disposto di cui all’art. 2 comma 6, L. 431/98, con transito del contratto nella
disciplina di tale ultima normativa, in caso di mancata disdetta alla prima scadenza
contrattuale o se, per contro, come qui sostenuto, trattandosi, per tale prima scadenza, di
rinnovo obbligato, tale effetto possa prodursi, ricorrendone i presupposti, esclusivamente
alla seconda scadenza, con applicazione ex art. 14 comma 5 L. 431/98 dell’art. 3 L.
392/78 in ordine al carattere immotivato della disdetta”.
§2. Il motivo è fondato, in quanto il precedente evocato è pertinente alla fattispecie.
§2.1. Va considerato che la Corte bresciana ha così motivato:
«L’art. 14, comma 5, L. 431/98 dispone che “ai contratti per la loro intera durata
continuano ad applicarsi ad ogni effetto le disposizioni normative in materia di locazione
vigenti prima dell’entrata in vigore”. L’art. 2, comma 6, dispone che “i contratti di
locazione stipulati prima dell’entrata in vigore della presente legge che si rinnovino
tacitamente sono disciplinati dal comma 1 del presente articolo”. Infine l’art. 1 comma 1
dispone che i contratti di locazione sono rinnovati, successivamente all’entrata in vigore
della legge, ai sensi dei commi 1 e 3 dell’art. 2. Dalla lettura ed interpretazione sistematica
di queste norme si evince che se i presupposti legali o contrattuale della disdetta si sono
consumati prima del 30.12.1998, data dell’entrata in vigore della L. 431/98, rimangono
regolati dalla legge precedente ai sensi dell’arte 14/5; se invece il termine legale o
contrattuale per la disdetta è decorso dopo il 30.12.1998 il rinnovo tacito del contratto
determina a norma dell’art. 2 comma 6 il confluire del contratto sotto il regime giuridico
Vi si invoca l’erroneità della decisione impugnata sulla base della ricostruzione degli
R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014)
della nuova legge, con conseguente applicazione ex novo delle disposizioni della L.
431/98, sia in relazione alla durata del contratto che al canone. In altri termini, il silenzio
della parte alla prima scadenza del contratto successiva all’entrata in vigore della L.
431/98, si risolve in quel rinnovo tacito previsto dall’art. 2 comma 6 legge citata,
indipendentemente dalla circostanza che il rinnovo tacito derivi da libera volontà delle
parti (Legge 392/78) o da previsione contrattuale, in forza della L. 359/92, in quanto ciò
che rileva è soltanto il fatto della rinnovazione tacita, non il suo carattere libero o
vincolato. Del resto, è conforme alla lettera e allo spirito della novella attrarre sotto la
nuova disciplina i pregressi contratti di locazione non appena possibile, a fortiori quando
ne esiste il presupposto principe sottinteso: il canone di mercato, come già avveniva per i
c.d. patti in deroga. Infatti, posto che il contratto tacitamente rinnovate è un contratto
nuovo, secondo l’antica ma sempre valida interpretazione dell’art. 1597 cc, mantenere la
precedente disciplina altro non significa che prorogare di un quadriennio la vita di
disposizioni normative espressamente abrogate dalla novella (fra le quali anche la L.
359/92) e destinate ad operare per la durata residua del contratto in corso, ma non oltre (art.
14 L. 431/98): ossia non più in caso di rinnovo tacito. Non può ritenersi che la durata
successiva al rinnovo sia quella di un solo quadriennio, con diritto di disdetta senza limiti
per il locatore alla prima scadenza, ma deve invece ritenersi che si attua il sistema del
doppio quadriennio, salvo diniego di rinnovo alla prima scadenza intermedia nei soli casi
previsti dall’art. 3, in quanto appare decisivo il dato testuale della legge, letta secondo il
significato fatto palese dal significato proprio delle parole usate secondo la connessione di
esse (art. 12 preleggi), valorizzato dal criterio della sedes materiae quale ulteriore elemento
idoneo a confermare l’intenzione del legislatore (art. 2 co 6 “I contratti … che si rinnovano
tacitamente sono disciplinati dal comma 1 del presente articolo”). Il rinvio secco e senza
distinzioni all’intero comma 1, non sembra possa autorizzare il giudice a interpretazioni
parzialmente abrogative: il comma 1 prevede il sistema del doppio quadriennio, come
modello principale dei nuovi contratti di locazione abitativa, a partire dalla data del
rinnovo, e per operare una sorta di retrodatazione sarebbe necessaria una base testuale che
non esiste. Pertanto, nel caso concreto, il contratto di locazione era stato stipulato in data
1/5/1998, e si era tacitamente rinnovato in data 30/4/2002, la prima scadenza quadriennale,
per mancata disdetta, ma tale data era già entrata in vigore della L. 431/98 onde, trattandosi
di contratto rinnovato, da tale data ha la durata di anni quattro più quattro prevista dalle
nuove disposizioni e non avendo la Cassa motivato la disdetta con una delle ipotesi
5
R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014)
tassative previste nell’art. 3 è destinato a continuare per un altro quadriennio, come
esattamente rilevato dal Tribunale.».
§2.2. Questa motivazione è erronea in iure sulla base della motivazione di Cass. n.
8493 del 2008, che, evidentemente la Corte bresciana non ha potuto considerare, dato che
la pronuncia è datata 7 aprile 2008 e fu dunque pubblicata pochi giorni prima della
pubblicazione della sentenza impugnata.
identico a quello oggi proposto e rispondendo ad un quesito sostanzialmente identico, salva
la detta integrazione, si era così espressa:
<<§2. Il motivo, che propone una questione non ancora esaminata da questa Corte
(su questione diversa, sempre relativa alla L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 6, si veda
Cass. n. 17995 del 2007), è fondato ed al quesito di diritto correttamente ad esso correlato
deve darsi risposta positiva.
Essa si giustifica sulla base delle seguenti considerazioni:
a) correttamente la Corte bresciana ha preso le mosse dalla norma della L. n. 431 del
1998, art. 14, u.c., ritenendo innanzitutto che il contratto inter partes - già pendente all'atto
dell'entrata in vigore di quella legge - fosse rimasto soggetto "per la sua intera durata ... ad
ogni effetto alle disposizioni normative in materia di locazioni vigenti prima di tale
durata", ma, nel coordinarla con la norma dell'art. 2, comma 6, della Legge, ne ha
sostanzialmente disatteso, o meglio ridotto erroneamente la portata precettiva;
b) questa riduzione si evidenzia innanzitutto considerando la norma dell'art. 14, u.c.,
in sé e per sé ed applicandola alla fattispecie contrattuale di cui è causa per come era
disciplinata dalla normativa anteriore pacificamente ad essa applicabile, che era
rappresentata dalla norma del D.L. n. 333 del 1992, art. 11, comma 2, convertito con
modificazioni nella L. n. 359 del 1992;
c) in base a tale disciplina - com'è noto - i contratti stipulati in base ad essa avevano
una prima scadenza in relazione alla quale la cessazione della locazione era provocabile
soltanto qualora il locatore avesse manifestato (e dimostrato) l'intenzione di "adibire
l'immobile agli usi o di effettuare sullo stresso le opere di cui, rispettivamente, alla" L. n.
392 del 1978, artt. 29 e 59 e, come faceva manifesto, pur nella notevole imperfezione del
testo legislativo, la proclamazione del "restare ferma" l'applicazione dell'art. 30 di quella
Legge, ciò significava che a quella prima scadenza la cessazione della locazione non fosse
liberamente determinabile a parte locatoris, bensì solo per il tramite di un negozio di
diniego di rinnovo per altro periodo di durata, che avesse assunto come motivo u-\ Nella citata sentenza questa Corte, nello scrutinio, come s'è detto di un motivo R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014) giustificativo le intenzioni adibitorie di cui alle norme richiamate (evidentemente,
l'evocazione dell'art. 59, già concernente l'istituto del recesso per necessità nel regime
transitorio della L. n. 3 92 del 1978, doveva intendersi, per necessaria omologia con
l'evocazione dell'art. 29 e comunque per il fatto che la norma faceva espresso, riferimento
alla "intenzione", nel senso che le ipotesi di necessità tipizzate ivi previste dovessero
intendersi rilevanti come "intenzioni" e venissero in rilievo ove non previste nell'art. 29); prima scadenza provocabile da parte del locatore soltanto sulla base delle dette intenzioni
adibitorie tipizzate (delle quali doveva darsi dimostrazione attraverso il procedimento
dell'art. 30 citato, di modo che, salvo il rilascio spontaneo del conduttore una volta
manifestata l'intenzione adibitoria, il locatore poteva agire solo per il tramite di detto
procedimento), in realtà veniva ad avere una durata stabilita dalle parti (a somiglianza di
quella dei contratti di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 27) che si estendeva per due periodi,
un primo alla cui scadenza il locatore poteva solo denegare il rinnovo sulla base di
intenzioni tipizzate ed un secondo, alla cui scadenza la locazione poteva cessare attraverso
una manifestazione di volontà assolutamente immotivata del locatore;
e) essendo dunque la "durata" del contratto stipulato ai sensi dell'art. 11, comma 2
(cioè con cd. patto in deroga) una durata risultante dal primo periodo in relazione al quale
il locatore poteva solo denegare la rinnovazione nei sensi indicati e da un secondo periodo
la cui scadenza poteva essere liberamente provocata, la mera lettura della norma, della L.
n. 431 del 1998, art. 14, suggerisce all'interprete la necessaria conclusione che, ove il detto
contratto fosse stato in corso alla sua entrata in vigore la disciplina applicabile avrebbe
dovuto restare per tutta la sua durata, individuata come al punto precedente, quella di cui
all'art. 11, comma 2; J) conseguentemente:
fl) ove in quel momento fosse stato possibile in relazione alla prima scadenza il diniego di rinnovo per il fatto di collocarsi detta scadenza oltre il termine di sei mesi da
ritenersi applicabile per l'esercizio del diniego, posto che: fla) l'art. 11, comma 2, non solo
non richiamava la L. n. 392 del 1978, art. 28 che, com'è noto, prevede il termine di dodici
mesi, sia per la disdetta motivata che per quella immotivata, bensì soltanto l'art. 29 della
Legge; flb) lo stesso art. 11, comma 2, evocava anche la L. n. 392 del 1978, art. 5 che
prevedeva per il cd. recesso per necessità il termine semestrale; flc) in ogni caso il termine
per la disdetta per le locazioni abitative era di sei mesi ai sensi della L. n. 392 del 1978, art.
3, e tale disposizione doveva reputarsi senz'altro applicabile, in quanto il patto in deroga d) ne conseguiva che un contratto stipulato ai sensi dell'art. 11, comma 2, essendo la R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014) nello stesso art. 11, comma 2, aveva come presupposto la rinunzia del locatore alla disdetta
immotivata alla prima scadenza e, quindi, ad un potere esercitatile sulla base di tale norma,
che continuava ad avere carattere imperativo in relazione all'art. 79 e non poteva essere
oggetto di deroga a sua volta nel senso di una riduzione del termine, esso avrebbe potuto
esercitarsi proprio per la perdurante applicabilità della disciplina di cui all'art. 11, comma
2 e, quindi, il locatore avrebbe potuto esercitarlo; del diniego nel detto termine, il contratto restava soggetto alla detta disciplina fino alla
scadenza del secondo periodo di durata, provocabile (dal locatore) con disdetta
immotivata;
f3) se, in fine, il diniego di rinnovo fosse stato già esercitato tempestivamente, la prospettiva era quella della verificazione della sua fondatezza, che poteva scaturire o per
mancanza di contestazioni del conduttore o giudizialmente.».
§2.3. Applicando ora l'esegesi dell'art. 14, u.c., alla vicenda di cui è causa, come
aveva fatto alla fattispecie allora scrutinata la citata sentenza, consegue che, essendo
pacifico che il contratto era stato stipulato ai sensi dell'art. 11, comma 2, citato per una
prima durata di quattro anni, della cui scadenza il locatore si poteva avvalere solo sulla
base delle intenzioni tipizzate sopra ricordate, e che un diniego di rinnovo non venne
esercitato in relazione a detta scadenza, cioè con una disdetta motivata da inviarsi sei mesi
prima del 30 aprile 2002 per tale prima scadenza convenzionale (come avrebbe dovuto
attesa la perdurante applicabilità del regime di cui al detto art. 11, comma 2), la locazione
ebbe a rinnovarsi sempre in base alla disciplina di cui a tale norma per altro quadriennio,
cioè fino al 30 aprile 2006.
Inoltre, in relazione a tale scadenza è pacifico che era stata inviata dalla parte
locatrice disdetta immotivata il 1° aprile 2005, che era pervenuta l' l l successivo e doveva
ritenersi tempestiva: infatti, l'applicazione della disciplina previgente alla L. n. 431 del
1998, trattandosi della seconda scadenza, comportava che il potere di far cessare la
locazione potesse esercitarsi immotivatamente anche da parte del locatore, trovando il suo
referente normativo nella L. n. 392 del 1978, art. 3 (a meno che non vi fosse stata - cosa
che nella specie non è - una deroga a favore del conduttore, tenuto conto che restava
applicabile la L. n. 392 del 1978, art. 79 in relazione a tale seconda scadenza).
In base alla considerazione della sola norma dell'art. 14, u.c., l'applicazione al
contratto di cui è causa, che era in corso al momento dell'entrata in vigore della Legge (30
dicembre 1998), della disciplina previgente, risultante dalla combinazione nei sensi indicati L\ J2) se in quel momento si fosse già verificato il primo rinnovo per mancato esercizio R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014) del D.L. n. 33 del 1992, art. 11, comma 2, e della L. n. 392 del 1978, art. 3 avrebbe dovuto
comportare il riconoscimento che la scadenza del 30 aprile 2006 bene fosse stata provocata
immotivatamente dalla parte locatrice con l'indicata disdetta.
La Corte d'Appello di Brescia lo ha, però, escluso in quanto ha ritenuto che il
disposto dell'art. 14, comma 1 si dovesse coordinare nella specie con quello di cui all'art.
2, comma 6 della stessa Legge e che, pertanto, quest'ultima norma - nel prevedere che "i
contratti di locazione stipulati prima dell'entrata in vigore della presente legge che si determinato che alla prima scadenza convenzionale, quella in relazione alla quale sarebbe
stato esercitabile il rinnovo motivato nei sensi sopra indicati (30 aprile 2002), il mancato
esercizio del diniego di rinnovo avesse determinato una rinnovazione del contratto con
ricaduta nel nuovo regime di cui allo stesso art. 2, comma 1 di modo che alla scadenza del
successivo quadriennio tale ricaduta avesse determinato, conforme a quel regime la
denegabilita del rinnovo soltanto per le intenzioni adibitorie, previste in quel regime per la
prima scadenza dal primo inciso del comma 1.
In tal modo, la Corte bresciana ha dato una lettura erronea della norma dell'art. 2,
comma 6 sia perché non l'ha ben coordinata con la disposizione transitoria appositamente
dettata dal legislatore all'art. 14, u.c., sia per ulteriori ragioni di interpretazione sistematica
prescindenti da quella disposizione e derivanti tanto dall'interpretazione sistematica della
stessa L. n. 431 del 1998, quanto dall'interpretazione sistematica di essa in una con la
legislazione previgente, sia perché è contrastante con la stessa interpretazione teleologica
dell'art. 6, comma 2.
Può, qui, ripetersi nuovamente la motivazione di Cass. n. 8493 del 2008, che si era
così espressa:
«Sotto il primo aspetto si osserva che la lettura data a questa norma dalla Corte
territoriale si è concretata nell'attribuire ad essa una sorta di efficacia di norma transitoria
di carattere derogatorio della norma generale transitoria direttamente dettata dal legislatore.
Supporre, infatti, che alla prima scadenza del contratto soggetto all'art. 11, comma 2,
in difetto di sua provocazione mediante il diniego di rinnovo motivato il contratto divenga
soggetto alla disciplina di cui alla nuova L. n. 431 del 1998 e precisamente a quella
dell'art. 2, comma 1, implica una deroga al disposto dell'art. 14, u.c. che altrimenti
imporrebbe di ritenere che la perdurante applicabilità del regime previgente, da esso
predicata, e, quindi, dell'art. 11, comma 2, comporti un rinnovo solo per un quadriennio.
Ora, è indubbio che la norma dell'art. 2, comma 6 abbia il valore di regolare il passaggio \A rinnovino tacitamente sono disciplinati dal comma 1 del presente articolo" - avesse R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014) dei contratti anteriori alla soggezione alla nuova normativa e come tale di individuare il
modo in cui il regime transitorio di ultrattività della legislazione previgente disposto
dall'art. 14, u.c., debba cessare. Infatti, se non esistesse l'art. 2, comma 6, il rinnovo di un
contratto pendente alla data di entrata in vigore della L. n. 431 del 1998, per il fatto che
tale pendenza determina, secondo l'art. 14, u.c., la permanenza della soggezione del
contratto alla vecchia disciplina, avrebbe impedito - salvo l'intervento di una rinnovazione rinnovo in base alla disciplina applicabile al contratto al momento dell'entrata in vigore
della legge, avvenendo secondo la disciplina previgente ad essa, determinerebbe sine die
l'ultrattività di quella disciplina, quale conseguenza dei rinnovi (non convenzionali)
ulteriori, perché tali rinnovi si verificherebbero sempre alla stregua della disciplina
previgente, la cui applicazione sarebbe preservata dal rinnovo precedente.
§2.2. È, dunque, vero che la norma dell'art. 2, comma 6, ha in certo qual modo la
funzione di deroga alla norma transitoria, o meglio di limitarne l'efficacia.
Se così è bisogna intenderne il significato e qui subentrano le considerazioni sistematiche
che si sono sopra evocate. Prima di darne conto, è necessaria l'esegesi letterale della norma
dell'art. 2, comma 6 ed essa suggerisce che l'oggetto della sua disciplina è rappresentato
dalla rinnovazione tacita dei contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della L. n. 431
del 1998. La legge non usa il generico termine "rinnovazione", ma allude ad una
"rinnovazione tacita".
V'è da chiedersi se tale nozione abbia riscontro normativo e lo abbia per le locazioni
ad uso abitativo, di cui ci si occupa e cui la legge si riferisce.
Prima di verificarlo è da rilevare, peraltro, che la stessa legge usa il termine
"rinnovazione" senza l'aggettivo "tacita": lo fa nell'art. 1, comma 1, nel quale dispone che
i contratti di locazione stipulati o rinnovati successivamente all'entrata in vigore della
legge lo sono ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 3 della Legge. Già il generico riferimento alla
rinnovazione dovrebbe indurre ad escludere che il participio "rinnovati" si estenda anche
ad una rinnovazione tacita ai sensi dell'art. 2, comma 6. Tale conclusione è rafforzata dalla
circostanza che per i contatti rinnovati, non diversamente che per quelli stipulati, si dispone
l'applicabilità non del solo art. 2, comma 1 (come invece per quelli di cui all'art. 2, comma
6), bensì in alternativa dell'art. 2, comma 3.
Ne discende che la stessa Legge, quando usa il concetto di rinnovazione non vuole
alludere alla tacita rinnovazione. Ne deriva ancora che il primo concetto evoca convenzionale - la ricaduta dei vecchi contratti sotto la nuova disciplina. Infatti, qualsiasi R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014) necessariamente una rinnovazione per manifestazione di volontà espressa, cioè un nuovo
contratto.
Questi dati normativi rafforzano l'esigenza di ricercare l'eventuale significato
normativo del termine rinnovazione tacita usato nella norma dell'art. 2, comma 6.
Esigenza che si fa ancora più pressante se si considera che il legislatore nell'art. 2, comma
1, per dare contenuto al regime dei contratti stipulati alla sua stregua, usa in relazione alla
prima scadenza (e, quindi, a quella omologa della prima scadenza dei contratti di cui all'art. 11, comma 2) soltanto il participio "rinnovati" e non lo aggettiva con l'avverbio
"tacitamente". Non solo: nell'ultimo inciso dell'art. 2, comma 1 il legislatore usa,
viceversa, il termine "rinnovato tacitamente" ricollegandolo al mancato invio delle
comunicazioni di cui al periodo precedente, da parte del locatore e del conduttore. E lo fa
in relazione ad una situazione in cui la seconda scadenza può essere immotivatamente
provocata dalle parti e particolarmente anche dal locatore, che ha solo l'onere di
comunicare l'intenzione di non voler rinnovare. p.2.3. Posti questi dati normativi e
passando ad individuare un referente normativo alla nozione di tacito rinnovo di cui all'art.
2, comma 6, si rileva che esso - trattandosi di contratti stipulati prima dell'entrata in vigore
della L. n. 431 del 1998 e, quindi, pendenti alla sua verificazione - va ricercato, per effetto
della norma dell'art. 14, u.c., che opera fintante che non si verifichi l'effetto voluto dallo
stesso art. 2, comma 6, sulla base della normativa rimasta in via ultrattiva applicabile al
contratto. Sotto tale profilo, è giocoforza reputare che, per effetto della ultrattività della
disciplina previgente sancita dall'art. 14, ultimo comma, il referente normativo della
nozione di tacito rinnovo in relazione ad un contratto ai sensi del D.L. n. 333 del 1992, art.
11, comma 2 esiste ed è rappresentato dalla norma della L. n. 392 del 1978, art. 3 che era
appunto rubricata "rinnovazione tacita". Tale norma è stata abrogata dallo stesso art. 14,
ma rimase ultrattiva (oltre che per i contratti soggetti già alla L. n. 392 del 1978) in
relazione alla seconda scadenza dei contratti stipulati ai sensi dell'art. 11, comma 2, quella
provocabile immotivatamente dal locatore. Ne discende che il legislatore, nell'art. 2,
comma 6, in riferimento a contratti stipulati ai sensi dell'art. 11, comma 2, ha inteso
riferirsi ai contratti rinnovatisi per effetto di mancata disdetta in relazione alla seconda
scadenza. È solo in relazione a tale seconda scadenza che, pertanto, la norma per tali
contratti assume il rilievo di far cessare, sempre che la rinnovazione tacita sia avvenuta,
l'applicabilità della disciplina previgente e la ricaduta del contratto sotto il nuovo regime,
di cui all'art. 2, comma 1. Del tutto impraticabile, se si vuole anche per il fatto che l'art.
11, comma 2, in relazione alla prima scadenza non usa il termine tacita rinnovazione ma
11 R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014) (in modo indiretto) quella di mancata manifestazione di intenzione, è, invece, l'idea,
sostenuta dalla Corte territoriale, di ravvisare una tacita rinnovazione nell'essersi rinnovato
il contratto per diniego di rinnovo motivato alla prima scadenza.
Anche l'interpretazione teologica, peraltro del tutto ad abundantiam, porta alla stessa
conclusione, volta che si rifletta che il passaggio del vecchio contratto al nuovo regime non
può che essere frutto di libera scelta di entrambe le parti, che si configura solo in
riferimento alla seconda scadenza nei contratti di cui all'art. 1, comma 2. Quando al locatore è imposto l'onere di un diniego motivato, sia pure sulla base di una
manifestazione di intenzione adibitoria, da dimostrare, tuttavia, esistente, il mancato
esercizio di tale diniego di rinnovo non può dirsi frutto di libera scelta, bensì di una
limitazione di scelta. Non v'è, dunque, tacito rinnovo.».
§3. La sentenza impugnata dev'essere, conclusivamente, cassata in applicazione del
seguente principio di diritto, già affermato da Cass. n. 8943 del 2008 (e seguito da Cass. n.
26526 del 2009 e n. 11138 del 2013): «L'art. 2, comma sesto, della legge n. 431 del
1998, in riferimento ai contratti di locazione abitativa stipulati, anteriormente
all'entrata in vigore della detta legge, ai sensi dell'art. 11, comma secondo del d.l. n.
333 del 1992, convertito con modificazioni nella legge n. 359 del 1992 (cosiddetti
contratti con patti in deroga), deve essere interpretato nel senso secondo cui la
rinnovazione tacita che, se verificata, determina la ricaduta del contratto nel regime
di cui all'art. 2, comma primo, della nuova legge si identifica nella scadenza del
secondo periodo di durata del contratto, in relazione al quale il locatore poteva
inviare disdetta immotivata ai sensi dell'art. 3 della legge n. 392 del 1978 e non nella
scadenza del primo periodo di durata convenzionale, in relazione al quale il locatore
poteva provocare la cessazione solo con diniego motivato.».
Deve rilevarsi che, a differenza di quanto accadde in relazione alla fattispecie decisa
da Cass. n. 8943 del 2008, nella specie non è necessario far luogo a rinvio e la causa può
essere decisa nel merito, in quanto, essendosi il conduttore difeso sostenendo che il
contratto si era rinnovato sino al 30 aprile 2010 esclusivamente nel presupposto che alla
scadenza del 30 aprile 2006 non potesse inviarsi disdetta immotivata (peraltro inviata
addirittura nel presupposto che operasse per essa il termine di mesi dodici e non quello di
sei mesi), ma occorresse diniego motivato, come se il contratto fosse soggetto alla 1. n. 431
del 1998, risulta indiscutibile senza necessità di accertamenti di fatto che la disdetta era
stata invece efficace ed idonea determinare la cessazione della locazione al 30 aprile 2006. 12 R.g.n. 18309-08 (ud. 4.4.2014) Ne segue che, pronunciando nel merito va dichiarata la cessazione della locazione a
detta data ed il conduttore va condannato al rilascio con effetto da essa, sempre che non
abbia già rilasciato l'immobile.
La data di rilascio ai sensi dell'art. 56 della 1. n. 392 del 1978 va fissata per tale
eventualità in giorni venti dalla pubblicazione della presente, dato che anche la scadenza
erroneamente individuata dalla Corte territoriale è oramai decorsa.
La novità della questione di diritto esaminata con riferimento alla data della pronuncia della sentenza impugnata giustifica la compensazione delle spese di tutti i gradi
di giudizio. P. Q. M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnate e, pronunciando nel merito
dichiara cessata la locazione fra le parti alla data del 30 aprile 2006. Condanna l'intimato al
rilascio dell'unità immobiliare sita in Bergamo, via Gandhi n. 4, interno n. 73, ove già non
avvenuto, fissando in giorni venti dalla pubblicazione della presente il termine di cui
all'art. 56 della 1. n. 392 del 1978. Compensa le spese di tutti i gradi di giudizio.
C • i deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 4 aprile 014.
Il P dente 13