Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12900 del 22/06/2016


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Cassazione civile sez. lav., 22/06/2016, (ud. 23/03/2016, dep. 22/06/2016), n.12900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14908/2013 proposto da:

A.C., (OMISSIS), C.G.

(OMISSIS), CU.GI. (OMISSIS),

T.L. (OMISSIS) elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato NICOLA

CERAOLO, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI MARCHESE,

giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA E FORESTE DELLA REGIONE SICILIANA, C.F.

(OMISSIS), F.F., D.L.;

– intimati –

nonchè da:

ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA E FORESTE DELLA REGIONE SICILIANA

C.F.(OMISSIS), in persona dell’Assessore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

A.C. (OMISSIS), C.G.

(OMISSIS), CU.GI. (OMISSIS),

T.L. (OMISSIS) F.F., D.

L.;

– intimati –

nonchè da:

F.F. C.F. (OMISSIS), D.L.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA

DI PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato NICOLA CERAOLO,

rappresentati e difesi dagli avvocati GIOVANNI MARCHESE, ORESTE

PUGLISI, giusta delega in atti;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

A.C. (OMISSIS), ASSESSORATO ALL’AGRICOLTURA E

FORESTE DELLA REGIONE SICILIANA C.F. (OMISSIS), C.G.

(OMISSIS), CU.GI. (OMISSIS),

T.L. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1092/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 29/05/2012 r.g.n. 81/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dei

23/03/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato DI MATTEO FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, inammissibilità o rigetto dell’incidentale

dell’Assessorato; assorbito ricorso incidentale dei lavoratori

D. e F..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. A.C., C.G., Cu.Gi., T.L., D.L., F.F., dipendenti dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia con qualifica di funzionari amministrativi (già 8^ livello professionale) hanno convenuto in giudizio il suddetto Assessorato, per sentir dichiarare il loro diritto al riconoscimento dell’inquadramento nella posizione D4 (anzichè nella categoria assegnata D3) in forza dell’art. 13 dell’accordo sindacale per i dipendenti regionali con qualifiche non dirigenziali del 28.2.2001 (recepito con D.P.R.S. 22 giugno 2001) che ha previsto la riclassificazione del personale.

2. Il primo Giudice ha accolto le domande esclusivamente nei confronti di D.L. e F.F., dichiarando il diritto di questi ricorrenti all’inquadramento nella posizione D4, con la conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive. Ha respinto le domande degli altri lavoratori non ritenendo integrato il requisito, richiesto dal D.P.R.S. 22 giugno 2001, della maturazione di dieci anni di effettivo servizio al momento della data di pubblicazione dell’accordo contrattuale (2.7.2001).

3. La Corte d’Appello di Messina, con sentenza depositata il 29 maggio 2012, ha riunito e respinto gli appelli principali, separatamente svolti dall’Assessorato e dai lavoratori A. C., C.G., Cu.Gi., T.L. nonchè quello incidentale proposto da D.L. e F.F..

A sostegno del decisum la Corte territoriale ha ritenuto, in particolare, quanto segue:

– l’art. 13 dell’Ordinamento professionale del personale della Regione Sicilia (recepito con D.P.R.S. 22 giugno 2001, n. 10) ha previsto il ricollocamento nelle nuove posizioni professionali, ossia nell’ambito della categoria D dalle posizioni D3 alla D4, in relazione a titoli di studio ed anzianità di servizio posseduti, in particolare richiedendo la maturazione di dieci anni di “effettivo servizio” nella qualifica di assistente amministrativo, dizione che –

secondo la più corretta esegesi lessicale – presuppone la effettiva prestazione dell’attività corrispondente alla suddetta qualifica, da computarsi, pertanto, con decorrenza dalla data di inquadramento economico di ciascun lavoratore (e non dal mero inquadramento giuridico);

– doveva ritenersi, sulla base della documentazione acquisita in giudizio, che D.L. e F.L. possedessero la qualifica di assistente amministrativo sin dal 24.1.1991, a differenza degli altri lavoratori, con conseguente diritto solamente dei primi due lavoratori all’attribuzione della posizione D4; la limitazione, con riguardo al capo di condanna concernente il pagamento delle differenze retributive a favore di D. e F., agli interessi di legge effettuata dal giudice di prime cure era corretta, in considerazione della L. n. 724 del 1994, art. 22, comma 36; nessun danno poteva rinvenirsi per il tardivo riconoscimento della posizione D4 a D. e F., considerata la genericità delle deduzioni sviluppate dai lavoratori.

4. Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono i lavoratori A., C., Cu., T. con tre motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste l’Assessorato con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale nei confronti di D. e F. affidao ad un motivo. I lavoratori D. e F. resistono con controricorso e propongono altresì ricorso incidentale condizionato ulteriormente illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo, la Corte territoriale, trascurato i principi del favor lavoratoris e dei diritti quesiti nonchè aggiunto un terzo requisito (ossia la partecipazione ad un corso di formazione), ulteriore rispetto all’anzianità di servizio e al titolo di studio, per il riconoscimento della posizione superiore D4.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 45, dell’art. 1 preleggi, del D.P.R.S. 22 giugno 2001, n. 10, art. 13, comma 4, (Ordinamento professionale del personale della Regione Sicilia), degli artt. 1218, 2043, 2058 c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), dovendo, il giudice di merito, interpretare l’accordo sindacale (recepito poi con D.P.R.S.) in conformità al principio di parità di trattamento dettato da norma di rango legislativo, sovraordinata alla fonte contrattuale, e non potendo, pertanto, operare disparità di trattamento tra dipendenti collocati tutti nella medesima graduatoria di merito approvata con D.A. 23 ottobre 1990, n. 6873, in occasione dell’attribuzione della qualifica di assistente amministrativo seppur inquadrati giuridicamente con due distinti Decreti (Decreto 24 gennaio 1991, n. 432 e Decreto 16 dicembre 1991, n. 7735).

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.P.R.S. 22 giugno 2001, n. 10, art. 13, comma 4, degli artt. 1218, 2043, 2058 c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), non avendo, la Corte territoriale, proceduto a liquidare il danno extracontrattuale consistente nella differenza retributiva tra le posizioni D3 e D4, per aver omesso di considerare il colpevole ritardo con cui la Regione aveva attribuito loro la qualifica di assistente amministrativo.

4. Con ricorso incidentale l’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia deduce contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo la Corte territoriale riconosciuto il diritto all’inquadramento nella posizione D4 ai dipendenti D. e F.. Il ricorrente rileva che, dapprima, il giudice di merito ha affermato che la documentazione prodotta dall’amministrazione consente di riconoscere l’avvenuto inquadramento economico dal 16.12.1991, data di adozione del decreto assessoriale prodotto (pag. 5 della sentenza) e, in un passo successivo (pag. 6), ha rilevato che la suddetta documentazione “nulla dice in ordine all’inquadramento economico”, apparendo incontrovertibile l’attribuzione della qualifica di assistente amministrativo con decorrenza 24.1.1991 attribuita al F. con Decreto Assessoriale 11 dicembre 1991, n. 7478 e alla D. con Decreto 13 dicembre 1991, n. 7634.

5. Con ricorso incidentale condizionato, i lavoratori D. e F. hanno denunciato violazione e falsa applicazione degli artt.112, 345 e 437 c.p.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione in ordine all’acquisizione della documentazione prodotta dalla Regione in sede di gravame (Decreto di Inquadramento 22 marzo 1993, n. 2778/11), trattandosi di documento nuovo e comunque tardivo in quanto non tempestivamente prodotto in primo grado come sollecitato dal Tribunale di Messina (“alla parte più diligente”) con ordinanza 5.12.2007, circostanza eccepita nella memoria difensiva depositata in appello (e riprodotta in ricorso).

6. I primi due motivi del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente, poichè sono diretti a sottoporre all’attenzione di questa Corte la stessa questione relativa alla corretta interpretazione dell’art. 13, comma 4, dell’accordo sindacale del 28.2.2001, recepito con D.P.R.S. 22 giugno 2001, n. 10 (Ordinamento professionale del personale della Regione Sicilia), questione riguardata ora sotto il profilo del vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), ora sotto il profilo della violazione di legge (artt. artt. 1218, 2043 e 2058 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, art. 1 preleggi). Essi sono in parte inammissibili e in parte infondati.

7. I motivi, così come articolati, per un verso, non prospettano alcun “fatto” controverso, il quale deve essere inteso come un vero e proprio fatto e non una mera “questione” o un “punto”, o ancora una qualificazione giuridica, posto che l’art. 360 c.p.c. (nella parte in cui prevedeva l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un “punto” decisivo della controversia) è stato modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006 e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve ora riguardare un “fatto” controverso e decisivo;

per altro verso, che è consequenziale al primo, detti motivi sono privi di un qualsivoglia elemento da cui desumere la decisività del “fatto”, da intendersi come idoneità del suo esame o della sua corretta valutazione a condurre ad una decisione diversa da quella assunta.

La novella del 2006 dell’art. 360 c.p.c., non può, infatti, essere ritenuta puramente formale: il “fatto” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c.(cioè un “fatto” costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova dl un fatto principale), purchè controverso e decisivo (così Cass. n. 4926/2014, Cass. n. 16655/2011).

8. In ogni caso, l’art. 13 in questione prevede che “il personale appartenente alle categorie D1 e D2 giusta accordo 28 febbraio 2001 con almeno 10 anni di effettivo servizio in possesso del diploma di secondo grado viene collocato in categoria D4, con verifica delle attitudini tecnico professionali a seguito di corso di formazione”.

La Corte territoriale ritiene evidente, “dal chiaro tenore letterale delle disposizioni in esame, che il servizio prestato nel corso di 10 anni al fine di accedere alla categoria superiore deve essere stato effettivo e, al di là dell’interpretazione letterale, soccorre anche l’interpretazione logica che risponde all’esigenza di assicurare l’inquadramento superiore a chi effettivamente abbia maturato negli anni la capacità professionale e l’attitudine necessaria per accedere al superiore inquadramento, tanto che la stessa normativa contrattuale prevede la verifica del raggiungimento di tali attitudini e professionalità attraverso l’apposito corso di formazione”. Conseguentemente, la Corte ritiene che solamente l’inquadramento economico di ciascun lavoratore consenta di individuare – in considerazione del vincolo di sinallagmaticità sussistente tra adempimento della prestazione lavorativa ed obbligazione retributiva – l’inizio dello svolgimento in concreto delle mansioni, rappresentando, invece, l’inquadramento giuridico una mera fictio iuris.

Il giudice di merito aggiunge, inoltre, che “Le censure sollevate dagli appellanti relativamente alla violazione del principio del favor lavoratoris e di quello inerente la salvaguardia dei diritti quesiti appaiono destituite di fondamento, innanzitutto perchè il D.Lgs. n. 165 del 2001, ha delegificato la materia del rapporto di pubblico impiego contrattualizzato sì che la contrattazione collettiva può diversamente regolare, rispetto alla legge, i rapporti tra le parti anche in peius per il lavoratore e perchè, in definitiva, non può il diritto in questione essere considerato un diritto acquisito proprio sulla scorta dell’interpretazione fornita della citata disposizione contrattuale”.

Tale assunto si basa su una condivisibile ricostruzione della portata e della ratio della clausola collettiva di riferimento nonchè della relativa giurisprudenza di questa Corte in ordine ai principi del favor lavoratoris e della parità di trattamento nell’ambito del pubblico impiego privatizzato.

In particolare la Corte territoriale ha interpretato l’accordo sindacale nel rispetto del criterio. letterale e di quello logico-

sistematico, ritenendo che il senso letterale delle espressioni impiegate dagli stipulanti riveli con chiarezza e univocità la loro volontà comune, non sussistendo residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti.

Deve osservarsi, poi, come la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, sia costante nell’affermare che, in materia di pubblico impiego privatizzato, il principio espresso dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 45, secondo il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale, opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, in quanto la disparità trova titolo non in scelte datoriali unilaterali lesive, come tali, della dignità del lavoratore, ma in pattuizioni dell’autonomia negoziale delle parti collettive, le quali operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente istituzionalizzato, di regola sufficiente, salva l’applicazione di divieti legali, a tutelare il lavoratore in relazione alle specificità delle situazioni concrete (cfr. ex plurimis, Cass., SU, n. 10454/2008; n. 16038/2010; Cass., nn. 16676/2008; 5726/2009;

19007/2010; 5139/2011; 5504/2011; 9313/2011; 11149/2011; 22437/2011;

4971/2012; 10105/2013; 1037/2014).

Nella fattispecie all’esame, la normativa contrattuale, operando la contestata differenziazione di categorie e posizioni economiche, non irragionevolmente ha tenuto conto di obiettive e determinate circostanze personali (il possesso o meno del diploma di secondo grado) e di una pregressa esperienza professionale (lo svolgimento in concreto di mansioni di assistente amministrativo per un congruo lasso di tempo).

Il favor lavoratoris, che costituisce un principio generale dell’ordinamento ed ispira i principi della Costituzione in tema di rapporti economici, è principio inteso ad equilibrare l’aspetto contenutistico del rapporto di lavoro, in modo che l’esteriorità della forma contrattuale, quale convenzione paritaria fra le parti sovrapponentesi alla realtà economica, non faccia prevalere la condizione del contraente più forte (datore di lavoro), consentendo così la legalizzazione giuridica di un assetto commutativo iniquo.

Invero, il diritto del lavoro nasce proprio per proteggere il lavoratore subordinato contro la sua stessa libertà negoziale e tale finalità di protezione spiega la tradizionale inderogabilità in peius che consente ai contraenti pattuizioni migliorative del trattamento minimo legale o collettivo, secondo il principio del favor per il lavoratore, cioè della prevalenza della fonte a lui più favorevole, sia essa la legge, il contratto collettivo o il contratto individuale, a prescindere da qualsiasi gerarchia. Nel caso di specie, il sistema di classificazione del personale (di cui all’accordo sindacale del gennaio 2001, trasfuso nel D.P.R.S. n. 10 del 2001) è stato elaborato in sede sindacale, ove il confronto tra le parti sociali garantisce la miglior protezione degli interessi dei lavoratori e la composizione con le esigenze datoriali, e non sussiste alcuna concorrenza di fonti che consenta di ricorrere al principio del favor invocato dai lavoratori.

Questa Corte ha, inoltre, ripetutamente affermato che l’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima (cfr., ex plurimis, fra le più recenti, Cass. nn. 4851/2009, 22102/2009, 10554/2010, 17717/2011, 6641/2012, 19357/2013).

9. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile, costituendo questione nuova – e dunque implicando un accertamento di fatto – che non può essere prospettata per la prima volta con i motivi del ricorso in cassazione. Invero, nei (distinti) ricorsi introduttivi del giudizio (riprodotti integralmente in ricorso), i lavoratori hanno avanzato domanda (dello stesso tenore per tutti) di “risarcimento dei danni, contrattuali ed extracontrattuali, e comunque al pagamento delle differenze retributive tra le due posizioni per tutto il periodo in cui lo stesso è stato collocato ingiustamente nella categoria D3, maturate da tale inquadramento e fino al soddisfo, nella misura che sarà determinata in corso di causa, con gli interessi e la rivalutazione monetaria” sulla premessa di aver subito un pregiudizio a seguito della mancata progressione in carriera (in occasione della ricollocazione nella posizione D3 invece che nella D4, per effetto dell’accordo sindacale 28.2.2001 recepito con D.P.R.S. 22 giugno 2001, n. 9) e dei danni conseguenti all’inserimento, da maggio 2002, nel corso di formazione presso un funzionario di grado superiore e non presso il dirigente. La domanda di risarcimento del danno extracontrattuale determinato dal colpevole ritardo con cui la Regione, nel 1991, ha attribuito ad alcuni lavoratori (a differenza di altri) la qualifica di assistente amministrativo, nonostante si trattasse della medesima graduatoria di concorso, assume carattere del tutto autonomo rispetto al pregiudizio costituito dal mancato riconoscimento, nel 2001 (in occasione della riclassificazione del personale), della posizione D4.

10. Il ricorso incidentale dell’Assessorato è inammissibile.

Rileva, nel caso di specie, il consolidato principio espresso da questa Corte, secondo il quale “Le regole sull’impugnazione tardiva, sia ai sensi dell’art. 334 c.p.c., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c., si applicano esclusivamente a quella incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l’impugnazione, mentre per il ricorso di una parte che abbia contenuto adesivo a quello principale si deve osservare la disciplina dell’art. 325 c.p.c., cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo, che abbia valenza d’impugnazione incidentale qualora investa un capo della sentenza non impugnato o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale” (cfr. da ultimo, Cass. n. 20040/2015 e copiosa giurisprudenza ivi citata).

L’impugnazione dell’Assessorato, come reso evidente dai soggetti intimati (ossia non solo i ricorrenti principali ma altresì D. e F.) nonchè dall’esposizione dei motivi, non può essere qualificata come incidentale “in senso stretto”, posto che essa presenta censure pur sempre dirette immediatamente contro la sentenza del 29 maggio 2012 della Corte di appello di Messina ma non già scaturite per effetto dell’impugnazione dei ricorrenti principali ( A., C., Cu., T.). Trattasi, invero, di una impugnazione autonoma, avente ad oggetto un capo della sentenza non impugnato con il ricorso principale. Pertanto, non risultando notificata la sentenza (depositata il 29 maggio 2012) ed applicandosi (ratione temporis) il termine annuale di impugnazione, l’impugnazione notificata dall’Assessorato a D. e F. in data 10 luglio 2013 risulta proposta ben oltre il termine perentorio previsto dall’art. 327 c.p.c. ed è, quindi, inammissibile.

11. Dichiarato inammissibile il ricorso incidentale proposto dall’Assessorato nei confronti di D. e F., rimane assorbito il ricorso incidentale condizionato di questi ultimi lavoratori.

12. In conclusione, il ricorso principale va rigettato; il ricorso incidentale dell’Assessorato va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale condizionato di D. e F. è assorbito.

Considerata la reciproca soccombenza, le spese di lite sono compensate tra le parti.

13. II ricorso principale è stato notificato il 28 maggio 2013, dunque in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.

Diversamente, la disposizione in esame non può trovare applicazione nell’ipotesi d’impugnazione, anche incidentale, dell’amministrazione pubblica, stante la non debenza del versamento del contributo unificato (cfr. Cass. S.U. n. 9938/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale dell’Assessorato, assorbito il ricorso incidentale condizionato svolto da D. e F..

Compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2016

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