Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1290 del 22/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 22/01/2020), n.1290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui riuniti ricorsi iscritto ai nn. 24075/2015 e 24329/2015 R.G.

proposti da:

Bernardi Group s.p.a. a socio unico in amministrazione straordinaria,

in persona del commissario straordinario pro tempore, rappresentata

e difesa dagli avv. Riccardo Vianello e Giuseppe Marini, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in Roma, via

Monti Parioli, 48;

– ricorrente –

Nuova SO.FI.A. s.r.l. a socio unico in amministrazione straordinaria,

in persona del commissario straordinario pro tempore, rappresentata

e difesa dagli avv. Riccardo Vianello e Giuseppe Marini, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in Roma, via

di Villa Sacchetti, 9;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia Giulia, n. 93/01/15, depositata il 3 marzo 2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17 settembre

2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Visonà Stefano, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del settimo motivo del ricorso iscritto al n. 24075/2015 e il

rigetto di quello iscritto al n. 24329/2015;

udito gli avv. Nicolle Purificati, per delega dell’avv. Marini, per i

ricorrenti, e Mattia Cherubini, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con distinti ricorsi sia la Nuova SO.FI.A. s.r.l. (già, Nuova SO.FI.A. s.p.a. a socio unico), sia la Bernardi Group s.p.a. a socio unico in amministrazione straordinaria, impugnano dinanzi alla Corte di cassazione la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, depositata il 3 marzo 2015, di reiezione dei riuniti – appelli autonomamente proposti dalle stesse avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto i loro ricorsi per l’annullamento di quattro avvisi di accertamento con cui l’Ufficio aveva rettificato dichiarazioni rese dalla Bernardi Group s.p.a. ai fini i.re.s., i.v.a. e i.r.a.p. per gli anni 2006 e 2007.

2. Dall’esame della sentenza impugnata si evince che tali atti impositivi traevano origine dalla contestazione della deducibilità di costi sostenuti dalla Bernardi Group s.p.a. per l’utilizzo di marchi, rappresentati dai corrispettivi versati alla licenziante Nuova SO.FI.A. s.p.a., disconosciuta dall’Amministrazione finanziaria per difetto di inerenza.

Con essi l’Ufficio aveva, inoltre, provveduto a accertare e liquidare la maggiore i.re.s. dovuta dalla Nuova SO.FI.A. s.r.l., società consolidante, in relazione alle minori perdite della consolidata Bernardi Group s.p.a. rispetto a quelle trasferite.

2.1. Il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha disatteso i gravami interposti ritenendo infondati tutti i motivi in cui gli stessi si articolavano.

3. Il ricorso della Nuova SO.FI.A. s.r.l. è affidato a due motivi, mentre quello della Bernardi Group s.p.a. a socio unico in amministrazione straordinaria a nove motivi.

4. Resiste avverso entrambe le impugnazioni, con distinti controricorsi, l’Agenzia delle entrate, il primo dei quali non è stato notificato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre preliminarmente dare atto della riunione dei giudizi, disposta in ossequio all’art. 335 c.p.c., venendo in rilievo distinte impugnazioni avverso una stessa sentenza.

1.1. Sempre in via preliminare va evidenziato che l’intervenuta sottoposizione della Nuova SO.FI.A. s.r.l. alla procedura di amministrazione straordinaria, occorsa successivamente alla notifica del ricorso per cassazione, resa nota dai difensori della procedura medesima con atto di riassunzione, non ha rilevanza alcuna nel presente giudizio di legittimità, in quanto l’affidamento della gestione dell’impresa al commissario giudiziale non costituisce una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest’ultimo, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge (Cass., ord., 15 novembre 2017, n. 27143; Cass. 23 marzo 2017, n. 7477).

1.2. Ciò posto, con il primo motivo di ricorso la Bernardi Group s.p.a. a socio unico in amministrazione straordinaria denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18 e 53, per aver la sentenza impugnata sostanzialmente omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello aventi ad oggetto la statuizione della sentenza di primo grado che aveva affermato l’indeterminatezza delle censure mosse agli avvisi di accertamento, in relazione al rilievo concernente l’indeducibilità dei costi per difetto di inerenza.

2. Con il secondo motivo di ricorso deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine al motivo di impugnazione originaria afferente il difetto di motivazione degli atti impositivi, in relazione al medesimo rilievo, ritenuto inammissibile in primo grado e non esaminato, benchè tale statuizione fosse stata oggetto di gravame, in sede di appello.

2.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.

La parte osserva che con l’atto di appello aveva provveduto ad una puntuale indicazione delle critiche rivolte alla sentenza di primo grado nella parte in cui quest’ultima aveva ritenuto che il motivo di ricorso attinente la carenza di motivazione degli atti impositivi fosse indeterminato.

Sostiene che, conseguentemente, non poteva condividersi l’assunto della Commissione regionale nella parte in cui ha affermato, sul punto, che “il motivo di impugnazione in esame è del tutto infondato, poichè parte appellante svolge una mera riproposizione del contenuto del ricorso di primo grado, senza chiarire i motivi per i quali la motivazione del giudice di prime cure avrebbe dovuto essere differente”.

Si rileva, tuttavia, che la decisione di appello prosegue evidenziando che “l’avviso di accertamento impugnato conteneva un’ampia descrizione delle ragioni per le quali era stata ritenuta l’estraneità del costo dell’attività di impresa esercitata dalla contribuente…”.

Alla luce di tale passaggio motivazionale deve ritenersi che il giudice di appello abbia, nella sostanza, disatteso la valutazione di inammissibilità del motivo del ricorso originario vertente sulla legittimità degli atti impositivi sotto il contestato profilo della carenza di motivazione ed esaminato il merito della questione, giungendo alla conclusione della legittimità dell’atto.

Una siffatta statuizione risulta soddisfare l’interesse della parte alla decisione, nel merito, sul motivo di ricorso proposto, determinando il superamento della valutazione di inammissibilità del motivo affermata dal giudice di primo grado.

3. Con il terzo motivo la parte si duole della violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 56, per aver la sentenza impugnata ritenuto adeguatamente motivati gli atti impositivi.

3.1. Il motivo è infondato.

L’esame di tali atti – benchè riprodotti dalla ricorrente solo per estratto – consente di individuare agevolmente la ragione in base alla quale l’Ufficio ha disconosciuto la deducibilità del costo delle royalties versate dalla contribuente in esecuzione del contratto di licenza, da individuarsi nella non inerenza di tale costo, desunta dal fatto che i marchi oggetto del contratto non sono stati “spesi nelle relazioni con le imprese clienti, nella documentazione commerciali di supporto, nella corrispondenza commerciale, nella pubblicità, ecc.”.

Una siffatta motivazione risulta idonea a consentire al contribuente di conoscere esattamente la pretesa impositiva, nei suoi presupposti fattuali e nelle sottese ragioni giuridiche, permettendogli di esercitare appieno il proprio diritto di difesa.

4. Con il quarto motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, comma 5, per aver il giudice di appello escluso l’inerenza dei costi relativi alle royalties versate per l’utilizzo di marchi.

Censura, in proposito, la sentenza impugnata sia nella parte in cui aveva posto a suo carico l’onere di dimostrare i presupposti della deducibilità dei costi, sia nella parte in cui aveva negato il requisito dell’inerenza in ragione del mancato utilizzo dei marchi.

4.1. Analoga doglianza è formulata anche dalla Nuova SO.FI.A. s.r.l. in amministrazione straordinaria con il primo motivo del suo ricorso.

4.2. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono, nei limiti che seguono, fondati.

Il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività d’impresa in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sè, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo (cfr. Cass. 17 luglio 2018, n. 18904; Cass. 11 gennaio 2018, n. 450).

La prova dell’inerenza deve investire i fatti costitutivi del costo, sicchè è onere del contribuente dimostrare (e documentare) l’imponibile maturato e, dunque, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, ovvero che esso è in realtà un atto d’impresa perchè in correlazione con l’attività imprenditoriale.

Un giudizio di tipo quantitativo sul rapporto tra il costo sostenuto e il vantaggio conseguito assume rilevanza, in tema di imposte sui redditi, solo qualora evidenzi un’evidente incongruità dell’operazione, ossia la sua antieconomicità, in quanto non improntata, secondo l’id quod plerumque accidit, al conseguimento di una riduzione dei costi ed una massimizzazione dei profitti.

La sproporzione tra i due valori assume valore sintomatico, di indice rivelatore del fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è diverso ed estraneo all’attività d’impresa, ossia che l’atto, in realtà, non è correlato alla produzione, ma assolve ad altre finalità, per cui difetta il requisito dell’inerenza.

4.3. Una siffatta interpretazione del concetto di inerenza risulta coerente con la giurisprudenza unionale, la quale, in tema di i.v.a., ha evidenziato che il sistema comune dell’imposta garantisce la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle stesse, purchè queste siano, in linea di principio, di per sè soggette all’i.v.a. e che, pertanto, il soggetto passivo è autorizzato a detrarre l’i.v.a. dovuta o versata per i beni o servizi acquistati quando, agendo in quanto tale nel momento dell’acquisto di detti beni o servizi, li utilizzi ai fini delle proprie operazioni imponibili, sia che esista un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che danno diritto a detrazione, sia che manchi un tale nesso, quando le spese sostenute fanno parte dei costi generali del soggetto passivo e rappresentano, in quanto tali, elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce (cfr. Corte Giust. 22 ottobre 2015, Sveda; Corte Giust. 18 luglio 2013, AES-3C Maritza East 1; Corte Giust. 29 ottobre 2009, SKF).

In tema di i.v.a., pertanto, l’inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell’assenza di connessione tra costo e l’attività d’impresa.

4.4. Ciò posto, la Commissione regionale, nell’escludere la sussistenza del requisito dell’inerenza del costo rappresentato dal pagamento delle royalties per il conseguimento della facoltà di utilizzare marchi di impresa in ragione del fatto che la contribuente non aveva mai utilizzato tali segni distintivi nell’esercizio della sua attività d’impresa, non ha fatto corretta applicazione dei richiamati principi.

Ha, infatti, fatto ricorso ad un criterio valutativo fondato sulla utilità derivata dalla spesa sostenuta e non già sulla sua riferibilità, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, all’attività d’impresa.

5. Con il quinto motivo la Bernardi Group s.p.a. a socio unico in amministrazione straordinaria censura la sentenza impugnata, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 57, per aver sostanzialmente omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello avverso la statuizione della sentenza di primo grado che aveva erroneamente affermato l’indeterminatezza delle censure mosse agli avvisi di accertamento, in relazione al rilievo concernente la irregolare tenuta della contabilità.

6. Con il sesto secondo motivo di ricorso deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia in ordine al motivo di impugnazione originario afferente il difetto di motivazione degli atti impositivi, in relazione al medesimo rilievo, ritenuto inammissibile in primo grado e non esaminato, benchè tale statuizione fosse stata oggetto di gravame, in sede di appello.

6.1. Analoga doglianza è formulata anche dalla Nuova Sofia s.r.l. con il secondo motivo del suo ricorso.

6.2. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.

In proposito, la parte allega di aver eccepito, sin dal ricorso originario, la mancata indicazione dei fatti che costituirebbero la violazione della normativa sulla tenuta della contabilità, posta a fondamento della sanzione irrogata.

In relazione al motivo di appello formulato sul punto la Commissione regionale ha ritenuto che la doglianza non fosse chiaramente articolata, non consentendo di comprendere se l’asserita illegittimità della sanzione dipendesse dalla mancata individuazione dei fatti costituenti la violazione ovvero da una duplicazione sanzionatoria.

Ha, tuttavia, evidenziato che in quest’ultimo caso la doglianza sarebbe inammissibile per novità, mentre nel primo sarebbe “incomprensibile”.

Orbene, va premesso che l’esame dei motivi va condotto unicamente con riferimento alla questione della carenza di motivazione, in considerazione dell’oggetto motivo di appello.

Ciò posto, si rileva che il giudice di appello si è pronunciato su tale motivo di gravame, affermando che la censura fosse incomprensibile e, quindi, inammissibile per difetto di specificità.

Al riguardo, si rammenta che, in tema di contenzioso tributario, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione, le quali, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, determinano l’inammissibilità del ricorso in appello, non sono ravvisabili qualora il gravame, benchè formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni.

Si osserva, tuttavia, che i vizi dell’attività del giudice che possano comportare la nullità della sentenza o del procedimento, rilevanti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non sono posti a tutela di un interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma a garanzia dell’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa in dipendenza del denunciato error in procedendo.

In particolare, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata e di indicarne gli elementi che evidenziano la rilevanza del vizio prospettato ai fini di un possibile diverso esito, sul punto, dell’impugnazione.

Parte ricorrente non ha assolto ad un siffatto onere omettendo di riprodurre il contenuto degli atti impositivi, sia pure limitatamente alla parte in questione, necessario al fine di valutare la possibile fondatezza, nel merito, della censura proposta in appello.

7. Con il settimo motivo di ricorso la Bernardi Group s.p.a. a socio unico in amministrazione straordinaria deduce la violazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12, per aver la sentenza impugnata escluso l’applicabilità del cumulo giuridico alle sanzioni irrogate.

7.1. Il motivo è fondato.

Il giudice di appello ha evidenziato, in proposito, che la sanzione irrogata per la presentazione di dichiarazione infedele ai fini i.re.s. era stata determinata con riferimento alla maggiore imposta accertata, calcolata, per effetto dell’esercizio dell’opzione per la tassazione di gruppo, in relazione al reddito complessivo del consolidato nazionale del gruppo societario di appartenenza della contribuente, e che tale circostanza ostasse all’applicabilità dell’istituto del cumulo giuridico alle sanzioni irrogate (anche) per la medesima condotta rilevante anche ai fini i.v.a. e i.r.a.p.

Orbene, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 1, stabilisce che è punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi (cd. concorso formale).

In considerazione del carattere generale di tale disposizione e dell’assenza di ragioni – espresse o dettate da specifiche incompatibilità – che ostano all’applicazione di una siffatta disciplina sanzionatoria, la statuizione resa sul punto dal giudice di appello non può condividersi.

8. Con l’ottavo motivo si critica la sentenza impugnata, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per aver ritenuto inammissibile l’eccezione concernente il mancato rispetto del termine dilatorio di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento in ragione della sua novità.

Sostiene, in proposito, che il divieto di nuove eccezioni in appello, posto dalla Commissione regionale a fondamento della sua decisione, non trovava applicazione, venendo in rilievo elementi acquisiti al processo e già risultanti dagli avvisi di accertamento.

9. Con l’ultimo motivo si censura la decisione di appello, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’omessa esame della violazione della L. n. 212 del 2000, richiamato art. 12, comma 7.

9.1. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili.

Nel processo tributario, è principio consolidato della giurisprudenza di legittimità quello per cui la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio (cfr. Cass. 4 giugno 2016, n. 13126; Cass. 5 maggio 2010, n. 10802).

Diversamente da quanto affermato dalla parte, la circostanza che gli elementi utili per decidere sulla questione siano già presenti agli atti del giudizio sin dal primo grado non assume rilevanza ai fini della configurazione di un’eccezione, laddove la parte ometta di indicare in modo specifico, nel ricorso introduttivo, le ragioni di illegittimità dell’atto impositivo che tali elementi dimostrerebbero.

10. La sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il quarto, nei sensi di cui in motivazione, e il settimo motivo del ricorso proposto dalla Bernardi Group s.p.a. a socio unico in amministrazione straordinaria, dichiara inammissibili il primo, secondo, quinto e sesto e rigetta i restanti; accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo del ricorso proposto dalla Nuova SO.FI.A. s.r.l. e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2020

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