Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12899 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12899 Anno 2015
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 27630-2011 proposto da:
CALIA

AGNESE

CLAGNS56T70A225S,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE TUPINI 113, presso lo
studio dell’avvocato NICOLA CORBO, che la rappresenta
e difende unitamente all’avvocato PASQUALE ANGELO
DONATO CASO giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente contro

BOZZINI

UMBERTO

BZZMRT50C24H501G,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA VENTIQUATTRO MAGGIO 43,

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Data pubblicazione: 23/06/2015

presso lo studio dell’avvocato CORRADO GRANDE,
rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO MONACO
giusta procura speciale a margine del controricorso;
ABBRUZZESE ANTONIO BBRNTN47B13A225P, in proprio e in
qualità di unico erede della sig.ra PERSIO KITTY,

30, presso lo studio dell’avvocato VITTORIA GIARDI,
rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO DE
CESARE giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrenti nonchè contro

GRAMEGNA GIUSEPPE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 1136/2010 della CORTE
D’APPELLO di BARI, depositata il 01/12/2010, R.G.N.
1020/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/03/2015 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato NICOLA CORBO;
udito l’Avvocato FRANCESCO MONACO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NADINA HELBIG

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n.1136 in data 01.12.2010 la Corte di appello
di Bari, sez. specializzata agraria, rigettando l’appello
proposto da Agnese Calia, ha confermato la sentenza n. 1855
del 23.09.2009 del Tribunale di Bari, sez. specializzata

e Umberto Bozzini nei confronti di Agnese Calia e di Giuseppe
Gramegna, nel contraddittorio del terzo chiamato in causa
Antonio Abbruzzese – aveva dichiarato risolto per
inadempimento della Calia e del Gramegna il contratto di
affitto stipulato tra le parti relativamente a un comprensorio
di terreni con entrostanti fabbricati rurali sito in Altamura
alla contrada “Casella o Madonna dell’Assunta” esteso 203
ettari circa; aveva, inoltre, condannato i resistenti al
pagamento della somma di C 10.763,00 a titolo di corrispettivi
insoluti, nonché al rilascio dei terreni entro la data del
10.11.2009, oltre al rimborso delle spese processuali in
favore delle altre parti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Agnese Calia contro Umberto Bozzini, Kitty Persio, Antonio
Albanese e nei confronti di Giuseppe Gramegna, svolgendo tre
motivi.
Hanno resistito, depositando distinti controricorsi, il
Bozzini, nonché Antonio Albanese, in proprio e quale unico
erede di Kitty Persio; mentre nessuna attività è stata svolta
dal Gramegna.
La ricorrente ha depositato memoria

ex art.378 cod. proc.

civ., nonché note scritte di replica alle conclusioni del

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agraria, che – accogliendo la domanda proposta da Kitty Persio

P.G..
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte di appello ha confermato la sussistenza dei
presupposti della risoluzione contrattuale, condividendo le
valutazioni e conclusioni espresse dal primo Giudice con

parte concedente e cioè:
sia il fatto del dissodamento non autorizzato, finalizzato
alla trasformazione a cultura di terreni pascolativi nudi e
saldi, sui quali gravava il vincolo idrogeologico, precisando,
al riguardo, che l’attività di dissodamento eventualmente
ascrivibile al padre dell’appellante era opponibile all’erede
subentrata nella detenzione dei terreni;
sia

la

morosità

nel

pagamento

del

corrispettivo

dell’affitto, osservando, sul punto, che l’inosservanza
dell’onere di specifica contestazione

ex art. 416 cod. proc.

civ. da parte della Calia all’atto della sua costituzione in
giudizio, nonchè il carattere meramente esplorativo delle
istanze istruttorie dalla appellante ostavano allo svolgimento
della richiesta attività istruttoria.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa
applicazione dell’art. 49 in relazione agli art. 5 e 46 della
legge n. 203/1982, nonché ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod.
proc. civ. omessa pronuncia circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente si
duole che la Corte di appello abbia

ignorato l’eccezione di

improcedibilità dell’azione, tempestivamente proposta in prime

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riguardo ad entrambi ai profili di inadempimento contestati da

cure, sul presupposto della nullità del tentativo di
conciliazione, in quanto promosso da una soltanto delle parti
comproprietarie e in assenza dell’altra.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. errata motivazione in

dall’autorità, fatto decisivo per il giudizio. Al riguardo
parte ricorrente deduce che i giudici di appello hanno fondato
la loro decisione su un provvedimento cautelare, che è venuto
meno, stante la richiesta del P.M. di archiviazione, con
conseguente restituzione del fondo sequestrato all’avente
diritto; osserva, in particolare, che la richiesta di
archiviazione fa venir meno il supporto legittimante della
contestazione del Corpo Forestale in ordine al lavori di
dissodamento e spiegamento del terreno non autorizzati,
assunti a presupposto dell’ascritto inadempimento.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. insufficiente ed errata
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio . Al riguardo parte ricorrente deduce di avere sempre
contestato i conteggi dei comproprietari con riguardo ai
canoni insoluti e lamenta che non siano state accolte le
istanze istruttorie, né le sia stata data la possibilità di
richiedere il termine di grazia

ex

art. 46 L. 203/1982.

2. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per tardività formulata da Antonio
Abbruzzese sul presupposto dell’applicabilità nella
fattispecie del termine semestrale di cui all’art. 327 cod.

5

relazione alla valutazione del sequestro dei fondi disposto

proc. civ. comma l, come modificato dalla legge n. 69 del
2009, art. 46, comma 17 che ha abbreviato a sei mesi il
termine “lungo” per l’impugnazione. Tale termine trova,
infatti, applicazione relativamente ai giudizi iniziati dopo
il 4 luglio 2009, perché la normativa del 2009, nel far

della stessa, concerne l’instaurazione originaria del giudizio
o del procedimento (Cass. civ., Sez. Unite, 05 settembre 2013,
n. 20359).
E poiché il ricorso introduttivo del giudizio risale
all’anno 2005, si applica il termine annuale, previsto
dall’art. 327 cod. proc. civ. nel testo originario, che, in
effetti, risulta rispettato.
3. Il ricorso non merita, comunque, accoglimento.
Valga considerare quanto segue.
3.1. Il primo motivo è inammissibile sia in relazione al
vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, sia con riguardo alla
censura di violazione di legge.
Va premesso che la questione della procedibilità o meno
della domanda di parte concedente è effettivamente

ignorata

dalla Corte di appello, dal momento il richiamo svolto nella
decisione impugnata ad alcuni precedenti di questo Giudice di
legittimità in tema di tentativo di conciliazione risulta
dichiaratamente funzionale alla mera conferma
dell’opponibilità all’erede dell’affittuario dei fatti
eventualmente ascrivibili al proprio dante causa.
Ciò precisato, la censura andava formulata, non già
lamentando l’omessa motivazione

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ex art. 360 n. 5 cod. proc.

riferimento ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore

civ. e neppure denunciando la violazione di una norma di
diritto ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in quanto siffatta
censura presuppone che il giudice del merito abbia preso in
esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in
modo giuridicamente non corretto, bensì attraverso la
error in procedendo

della

violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art.
360 cod. proc. civ., n. 4, o comunque con univoco riferimento
alla nullità della decisione derivante dalla relativa
omissione (cfr. Cass. Sez. Un. 24 luglio 2013, n. 17931).
Peraltro le deduzioni della ricorrente devono ritenersi,
comunque, precluse, dal momento che come risulta dall’esame
degli atti, necessitato dal rilievo di giudicato interno
formulato dall’Abbruzzese, l’eccezione di improcedibilità,
proposta in primo grado, era stata rigettata dal Tribunale,
senza che venisse svolta nell’atto di appello della Calia
alcuna censura.
Invero

le

questioni

attinenti

alla

proponibilità

dell’azione sono rilevabili d’ufficio dal giudice in ogni
stato e grado del processo. Peraltro in grado d’appello tale
potere d’iniziativa del giudice sussiste ogni qualvolta tali
questioni, come ogni altra il cui oggetto non è disponibile
dalle parti, non siano state proposte e decise in primo grado.
In tale ultima ipotesi, ossia quando tali questioni siano
state decise dal giudice di primo grado, il potere del giudice
della impugnazione trova un limite nella preclusione
determinata dell’acquiescenza della parte soccombente o di
quella, che, pur non avendo l’onere della impugnazione perché

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specifica deduzione del relativo

praticamente vittoriosa, per altre ragioni,

non abbia

riproposto al giudice d’appello la relativa eccezione,
incorrendo nella decadenza di cui all’art 346 cod. proc. civ.
(Cass. 18 aprile 2007, n. 9297).
2.2. Il secondo motivo – dichiaratamente fondato su

conseguente revoca del sequestro da parte del G.I.P.) che non
era a disposizione del giudice di appello si rivela
eccentrico rispetto alla

ratio

della decisione impugnata,

fondata sul rilievo dell’esecuzione di un’attività di
dissodamento e spietramento effettuata senza la dovuta
autorizzazione amministrativa.
In particolare la ricorrente – affermando di essere stata
«dichiarata inadempiente sulla base di un verbale di
contestazione di “illecito amministrativo”, cui tuttavia non è
seguita una condanna, ma l’archiviazione e la conseguente
restituzione dei fondi sottoposti ingiustamente a sequestro in
favore dei legittimi destinatari»

(così a pag. 10 del ricorso)

– per un verso, mostra di avere compreso la rilevanza
amministrativa del fatto ascrittole, pur trascurando la parte
della decisione laddove si pone in evidenza che non vi fu solo
una contestazione, ma anche l’applicazione di

«una notevole

sanzione amministrativa dell’importo di E 11.260,20»

(cfr.

pag. 8 della sentenza) e, per altro verso, sovrappone e
confonde i diversi profili penali e amministrativi della
medesima vicenda.
Inoltre la medesima ricorrente ignora il punto della
decisione – tardivamente attinto nelle note di replica al P.G.

8

documentazione (richiesta di archiviazione da parte del P.M. e

e costituente ormai giudicato – con cui la Corte di appello ha
escluso l’ammissibilità della tardiva produzione in appello di
documentazione

destinata

a

provare

l’esistenza

dell’autorizzazione amministrativa, correlativamente
evidenziando il difetto, prima ancora che di allegazioni

«l’eccezione relativa alla sussistenza delle autorizzazioni
amministrative occorrente per la trasformazione del fondo
appare pertanto nuova e come tale non ammissibile ai sensi
dell’art. 437 cod. proc. civ.»

(cfr. pag. 9 della sentenza).

Merita puntualizzare che il richiamo nella decisione
impugnata all’applicazione della
amministrativa»

«notevole sanzione

e la valenza ascritta al difetto di

allegazione e prova dell’esistenza delle necessarie
autorizzazioni amministrativa evidenziano come nel percorso
argomentativo dei Giudici di appello non rileva l’esito del
procedimento penale; donde l’inconferenza della documentazione
“nuova” indicata in ricorso, a prescindere da ogni questione
in ordine all’ammissibilità della relativa produzione in
questa sede.
Il motivo va, dunque, rigettato.
2.3. Il terzo motivo è inammissibile, vuoi nella parte in
cui reitera le censure in punto di quantificazione dei canoni
insoluti, vuoi nella parte in cui prospetta un

deficit

di

tutela per non aver avuto la Calia la possibilità di
richiedere il termine di grazia.
2.3.1. L’inammissibilità consegue, innanzitutto, al rilievo
che le censure prescindono totalmente dalla

9

ratio decidendi,

probatorie, di allegazioni difensive e segnatamente che

fondate sulla considerazione dell’inammissibilità – prima
ancora che dei mezzi istruttori invocati, siccome meramente
esplorativi – delle stesse allegazioni difensive, stante la
generica deduzione dell’avvenuto pagamento dei canoni a fronte
dell’onere di specifica contestazione imposto sin dal primo

consegue che le censure della ricorrente, sostanzialmente
ripetitive della doglianza in ordine al mancato sfogo
istruttorio, risultano eccentriche rispetto alle ragioni della
decisione, incorrendo nel rilievo di inammissibilità.
2.3.2. Sotto altro profilo si osserva che la questione
della mancata concessione del termine di grazia è questione
che risulta proposta per la prima volta in questa sede ed è,
dunque, inammissibile. Infatti è giurisprudenza pacifica di
questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono
investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già
comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non
essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione
questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati
nella fase del merito e non rilevabili di ufficio (Cass. 29
marzo 1996; Cass. 10 maggio 1995,n. 5106; Cass. 8 luglio 1994,
n. 6428). A tacere del fatto che le deduzioni della ricorrente
sul punto si pongono in evidente contraddizione con la
contestazione circa la sussistenza della morosità.
In conclusione l’esame complessivo dei motivi comporta il
rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n.

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atto difensivo ai sensi dell’art. 416 cod. proc. civ.. Ne

55/2014, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
C 4.500,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre accessori come

Bozzini e in C 3.500,00 (di cui

e

200,00 per esborsi) oltre

accessori come per legge e contributo spese generali in favore
di Antonio Abbruzzese.
Roma 20 marzo 2015
L’ESTENSORE

per legge e contributo spese generali in favore di Umberto

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