Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12899 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. III, 13/05/2021, (ud. 04/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2584/18 proposto da:

-) AMAP s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato a Palermo, via Luigi Pirandello n. 2,

difeso dagli avvocati Vito Augusto Candia, e Antonino Frenda, in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) N.L., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati a

Palermo, via Duca della Verdura n. 4, difesi dagli avvocati

Alessandro Algozini, e Giorgio Algozini, in virtù di procura

speciale apposta in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo 3.11.2017 n.

5728;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4

febbraio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il 25.1.1985 il Giudice istruttore del Tribunale di Palermo, nell’ambito di un procedimento penale a carico del proprietario dell’acquedotto denominato ” N.- A.” (imputato del delitto di illecita derivazione di acque pubbliche, R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, ex art. 17), ordinò il sequestro dei beni immobili e della rete idrica destinati al funzionamento del suddetto acquedotto.

Il provvedimento di sequestro affidò la custodia degli impianti all’Azienda Municipalizzata Acquedotto di Palermo (AMAP), con facoltà di usarli per gli scopi istituzionali dell’azienda stessa.

Il procedimento penale si concluse l’8 gennaio 1991 con sentenza istruttoria che dichiarò non doversi procedere per sopravvenuta amnistia. La medesima sentenza ordinò la restituzione agli aventi diritto dei beni sequestrati.

2. Sorse a questo punto una contesa tra i proprietari dell’acquedotto (danti causa degli odierni controricorrenti) e l’AMAP: i primi, infatti, rifiutarono la restituzione dei beni, sostenendo che erano stati modificati nella loro consistenza fisica attraverso l’allaccio all’acquedotto comunale; la seconda replicò essere impossibile la riduzione in pristino, e contestò la misura, reputata esosa, pretesa dai proprietari per trasferire all’AMAP la proprietà dei suddetti beni.

3. Nel 2003 i proprietari dell’acquedotto convennero l’AMAP dinanzi al Tribunale di Palermo, chiedendone la condanna al rilascio dei beni suddetti nello stato in cui si trovavano al momento del sequestro, nonchè al pagamento delle somme necessarie per l’esecuzione delle opere di ripristino. Con sentenza 25 maggio 2012 il Tribunale di Palermo accolse la domanda, e condannò l’AMAP:

-) alla restituzione dei beni nello stato in cui si trovavano al momento del rilascio;

-) al pagamento in favore degli attori di un compenso per l’uso degli impianti nel periodo compreso fra il sequestro e il rilascio, quantificato in Euro 495.379,66.

4. Il 6 agosto 2014 i proprietari dell’impianto notificarono all’AMAP atto di precetto, intimandole il rilascio dei beni.

Iniziò a questo punto una lunga serie di tormentate trattative tra le parti, aventi ad oggetto tanto le modalità del rilascio, quanto la pattuizione di un canone per il godimento dei beni fino al rilascio, quanto, infine, l’eventuale vendita degli stessi all’AMAP.

In particolare, l’AMAP si dichiarò pronta a restituire gli immobili compresi nel compendio sequestrato, ma eccepì l’impossibilità di restituzione della rete di distribuzione dell’acqua, in quanto ciò avrebbe comportato la forzosa interruzione della fornitura.

Dall’altra parte, i proprietari dell’acquedotto replicarono che la sentenza del Tribunale di Palermo aveva attribuito loro il diritto di rientrare nel possesso dell’acquedotto “nella sua unicità aziendale, libero da vincoli, allacciamenti, collegamenti, diritti di terzi”.

Il giudice dell’esecuzione, informato dello stallo dall’ufficiale giudiziario, con provvedimento 26 gennaio 2015 stabilì che l’esecuzione della condanna al rilascio avesse luogo “senza interruzione del servizio” di distribuzione idrica.

5. Avverso questo decreto i proprietari dell’impianto proposero opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

A fondamento dell’opposizione gli opponenti dedussero che l’ordine di restituire l’acquedotto “senza interruzione del servizio idrico” era incompatibile con le statuizioni del titolo esecutivo.

Sostennero che, se l’AMAP avesse continuato a fare scorrere nella rete la propria acqua ed a distribuirla ai propri utenti, essa avrebbe mantenuto di fatto il possesso della rete stessa, ed in tal modo non avrebbe dato esecuzione alla sentenza di rilascio.

6. Il giudice dell’esecuzione, dopo aver trattenuto la causa in decisione, la rimise sul ruolo e formulò alle parti una proposta transattiva ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c..

Tale proposta prevedeva la cessione della proprietà della rete dai proprietari all’AMAP, dietro pagamento di un corrispettivo, da stabilirsi mediante consulenza tecnica d’ufficio.

Le parti accettarono la proposta ed il giudice nominò un consulente tecnico d’ufficio, cui affidò l’incarico di determinare il valore della rete idrica.

Il consulente depositò la propria relazione stimando il valore degli impianti nella misura di 1.137.981,95 Euro.

Tale misura venne contestata dall’AMAP, sia con riferimento ai presupposti fattuali, sia con riferimento al metodo di stima seguito dal c.t.u..

A questo punto il giudice dell’opposizione pronunciò ordinanza con la quale, “ritenuto il mancato perfezionamento del procedimento di conciliazione”, invitò le parti a precisare le conclusioni e trattenne la causa in decisione.

7. Con sentenza 3 novembre 2017 n. 5728 il Tribunale di Palermo:

-) dichiarò “perfezionato l’accordo tra le parti di cessione della rete idrica”, per l’importo indicato dal c.t.u.;

-) condannò l’AMAP al pagamento in favore degli opponenti della somma di 1.137.981,95 Euro, oltre accessori.

A fondamento di questa decisione il Tribunale osservò che, una volta accettata dalle parti la proposta di trasferire la proprietà della rete idrica al prezzo che sarebbe stato stabilito da un consulente d’ufficio, “l’accordo transattivo si è concluso nel momento in cui entrambe le parti hanno manifestato la loro accettazione della proposta conciliativa, rimettendo al c. t. u. la determinazione del prezzo di cessione”.

8. La sentenza è stata impugnata per cassazione dall’AMAP con ricorso fondato su tre motivi.

Hanno resistito con controricorso gli eredi degli originari proprietari, indicati in epigrafe.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 99,112 e 185 bis c.p.c..

Nella illustrazione del motivo si sostiene che il giudice dell’opposizione all’esecuzione formulò alle parti una proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. che non aveva il potere di formulare, avuto riguardo alla natura e al contenuto del giudizio.

Quest’ultimo infatti aveva ad oggetto la legittimità del provvedimento col quale il giudice dell’esecuzione aveva stabilito che la restituzione dell’acquedotto avvenisse senza interruzione del servizio; la proposta conciliativa invece aveva ad oggetto il trasferimento all’AMAP della rete idrica dietro pagamento di un corrispettivo.

2. Il motivo è infondato.

L’art. 185 bis c.p.c. accorda al giudice il potere di formulare una proposta “transattiva o conciliativa”.

Al di là di qualsiasi sofisma sulla distinzione fra transazione e conciliazione, l’una e l’altra costituiscono accordi in virtù dei quali le parti litiganti pongono fine ad una lite.

Pertanto, ai fini della validità della proposta ex art. 185 bis c.p.c., quel che unicamente rileva è che, per effetto di essa, venga a cessare la materia del contendere.

E’ dunque evidente che, in una controversia avente ad oggetto la legittimità del provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione aveva stabilito le modalità dell’esecuzione d’un obbligo di rilascio, il trasferimento al debitore esecutato della proprietà dell’immobile da rilasciare avrebbe troncato in radice l’oggetto del contendere. Di conseguenza non era inibito al giudice dell’opposizione formulare la suddetta proposta.

3. Col secondo motivo la ricorrente lamenta,sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame di un fatto decisivo.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che:

-) erroneamente il Tribunale ritenne perfezionato un accordo fra le parti, accordo che in realtà non era stato mai raggiunto, in quanto all’indomani del deposito della c.t.u. l’AMAP aveva fermamente contestato le conclusioni cui era pervenuta l’ausiliario, e del resto lo stesso giudice dell’opposizione, nel rinviare la causa per la precisazione delle conclusioni, aveva rilevato la mancata conclusione dell’accordo;

-) il Tribunale aveva condannato l’AMAP a pagare oltre un milione di Euro agli opponenti, in un giudizio in cui la domanda introduttiva era rappresentata dall’annullamento di una ordinanza del giudice dell’esecuzione; la domanda di condanna, formulata dai N. solo all’udienza di precisazione delle conclusioni era perciò una domanda nuova, e come tale inammissibile.

3.1. Prima di esaminare nel merito questo secondo motivo di ricorso, va escluso che la sentenza possa dirsi viziata, sotto qualunque profilo, per il solo fatto che abbia un contenuto non coerente con il contenuto dell’ordinanza istruttoria la quale, “ritenuto il mancato perfezionamento del procedimento di conciliazione”, rinviò la causa per la precisazione delle conclusioni.

Le ordinanze istruttorie, infatti, non possono mai pregiudicare la decisione della causa (art. 177 c.p.c., comma 1).

3.2. Nel merito, la censura è fondata.

Il Tribunale ha ritenuto “perfezionato un accordo” tra le parti, ed ha condannato l’AMAP all’esecuzione dell’obbligo che il Tribunale ha ritenuto assunto per effetto dell’accordo.

Si prescinderà dal rilievo che, anche ad ammettere che un accordo fosse stato concluso, il giudice dell’opposizione all’esecuzione si sarebbe dovuto arrestare a questo rilievo: giudicando come ha fatto, invece, il Tribunale ha pronunciato su una domanda di condanna all’adempimento del (teorico) accordo conciliativo, domanda che non poteva ritenersi ritualmente introdotta nel giudizio, avente tutt’altro oggetto.

Quel che invece appare decisivo a questa corte è che nel caso di specie nessun accordo poteva affermarsi concluso tra le parti.

3.3. Un accordo il quale ponga fine ad una lite giudiziaria può concludersi per effetto di una transazione stragiudiziale o di una conciliazione giudiziale.

Nel caso di specie nessuna transazione stragiudiziale è stata mai raggiunta: la transazione richiede infatti lo scritto ad probationem (art. 1967 c.c.), e questo manca.

Neppure poteva dirsi conclusa una conciliazione giudiziale, per più ragioni.

La prima ragione è che, quando le parti di un giudizio concludono un accordo conciliativo giudiziale, “la convenzione conclusa tra le parti per effetto della conciliazione davanti al giudice istruttore è raccolta in separato processo verbale, sottoscritto dalle parti stesse, dal giudice e dal cancelliere” (art. 88 disp. att. c.p.c., comma 1; cfr. Sez. L -, Sentenza n. 25472 del 26/10/2017, Rv. 645894 – 01). E nel caso di specie tale verbale manca.

La seconda ragione è che non vi era stato alcun accordo tra le parti sul contenuto della cessione: l’AMAP, infatti, si era detta indisponibile ad acquistare anche la porzione di acquedotto non in uso; i proprietari invece si erano dichiarati indisponibili ad una cessione parziale.

La terza ragione è che la proposta formulata dal giudice prevedeva la cessione del compendio al prezzo stabilito dal c.t.u., da determinarsi in applicazione di determinati criteri: l’AMAP, però, aveva contestato la corretta applicazione di quei criteri da parte dell’ausiliario, e questo impediva di considerare raggiunto un accordo.

3.4. Benchè i rilievi che precedono abbiano carattere assorbente, il Collegio ritiene doveroso ricordare che il giudice il quale ritenga perfezionato un accordo conciliativo fra le parti non può più pronunciare alcuna sentenza di condanna. Delle due, infatti, l’una:

-) se si pronuncia una condanna, vuoi dire che tra le parti pendeva una lite; e per pendere una lite non deve essere stato raggiunto alcun accordo;

-) se è stato raggiunto un accordo, va dichiarata cessata la materia del contendere; se poi i termini dell’accordo non vengano rispettati da una delle parti, tale inadempimento va fatto valere nelle sedi opportune, e non chiedendo una condanna all’adempimento al giudice del giudizio concluso dall’accordo conciliativo.

4. Il terzo motivo di ricorso resta assorbito.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il primo motivo di ricorso;

(-) accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;

(-) dichiara assorbito il terzo motivo di ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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