Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12895 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 26/05/2010), n.12895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.R., con domicilio eletto in Roma, via G. Palumbo n. 12,

presso l’Avv. Crisci Simonetta che lo rappresenta e difende come da

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DELLA PROVINCIA DI ROMA E QUESTURA DI ROMA, in persona dei

rispettivi rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese, per

legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di

questa domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrenti –

per la cassazione del decreto del giudice di pace di Roma depositato

in data 12 ottobre 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22 aprile 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.R. ricorre per cassazione avverso il decreto in epigrafe con il quale è stata respinta l’opposizione proposta avverso il decreto di espulsione emesso in data dal Prefetto di Roma D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 13 e l’ordine di allontanamento emesso dal Questore di Roma.

Resistono entrambi gli Uffici con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Luigi Salvato con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La relazione redatta ex art. 380 bis c.p.c., il cui contenuto è pienamente condiviso dal Collegio, è del seguente letterale tenore:

“1.- Il ricorrente, con il primo motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione di norma di legge:

omessa od erronea applicazione del D.M. 18 novembre 2002, art. 4, comma 2, lett. d), nella parte in cui il decreto ha rigettato l’eccezione di nullità del decreto per difetto di sottoscrizione, essendo stato sottoscritto dal viceprefetto aggiunto, limitandosi ad affermare che era apodittica e non provata.

Il secondo motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Violazione e falsa applicazione di norma di legge. Erronea interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7; omessa od erronea applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3. Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione del diritto di difesa e del principio del giusto processo, nella parte in cui il giudice del merito ritiene legittima la motivazione addotta dall’Autorità prefettizia la quale, stante l’irreperibilità di un interprete in lingua indi, procedeva alla traduzione del provvedimento di espulsione nei modi residualmente indicati dall’art. 13 del cit. T.U., svolgendo argomentazioni per sostenere l’erroneità del decreto, richiamando a conforto Cass. n. 7564 del 2008.

2.- Il ricorso appare manifestamente inammissibile, per l’assoluta mancanza del quesito di diritto (art. 366-bis c.p.c).

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, il quesito di diritto, imprescindibile nel caso di denuncia del vizio dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la cui formulazione è requisito di ammissibilità del motivo, non può essere desunto dal contenuto del”motivo, poichè in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366-bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 qui applicabile ratione temporis, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. S.U. n. 23732 del 2007; n. 20409 del 2008).

Peraltro, il quesito neppure può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento del medesimo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre questa Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Ciò vale a dire che deve potersi comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (per tutte, Cass. S.U. n. 3519 del 2008).

In applicazione di detti principi, poichè i due motivi denunciano entrambi il vizio di violazione di legge e nessuno di essi reca il quesito di diritto, appare chiara l’inammissibilità del ricorso.

Per completezza, va osservato che, benchè nelle rubriche dei mezzi il ricorrente abbia denunciato anche il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) i motivi non riguardano detto vizio.

Al riguardo, va ribadito che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, e cioè implica un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è invece esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è proponibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge conseguente dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo la seconda è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (tra le molte, Cass. Sez. Un. n. 10313 del 2006; Cass. n. 10127 del 2006; n. 15499 del 2004; n. 6224 del 2002).

Il vizio di motivazione è deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come mezzo per l’annullamento della sentenza che si impugna, solo per quanto attiene all’accertamento ed alla valutazione dei fatti rilevanti per la decisione e non anche per quanto concerne l’interpretazione e l’applicazione di norme di diritto e la soluzione di questioni giuridiche, rispetto alle quali il sindacato di legittimità si esaurisce nel controllo della conformità al diritto della decisione impugnata (per tutte, Cass. n. 2469 del 2003; n. 10396 del 2001; n. 4526 del 2001).

Ne consegue che la deduzione come vizio di motivazione dell’erronea interpretazione ed applicazione di norme non vale ad escludere l’onere della formulazione del quesito di diritto.

Tanto si riscontra nel caso in esame.

La deduzione dell’asserita illegittimità del decreto, a causa della sottoscrizione da parte del viceprefetto – denunciata con il primo motivo – non attiene, infatti, alla ricognizione della fattispecie concreta. Peraltro, è solo per completezza che va ricordato come sia consolidato l’orientamento di questa Corte, secondo il quale il provvedimento di espulsione può essere validamente adottato dal vice prefetto vicario, anzichè dal prefetto, a nulla rilevando la mancanza dell’espressa menzione delle ragioni di assenza o impedimento del prefetto, in quanto questi può, di diritto, essere sostituito dal vicario in tutte le sue funzioni ed attribuzioni (Cass. n. 9094 del 2003). Inoltre, per la firma di altri funzionari o vice prefetti, sebbene vi sia l’esigenza di espressa delega per iscritto, di questa deve presumersi l’esistenza, salvo prova contraria dell’opponente (sia pure in riferimento ad altro tipo di provvedimento, Cass. n. 2085 del 2005; n. 20686 del 2005), prova che il ricorrente neppure ha dedotto di avere offerto nel giudizio di merito.

Relativamente al secondo motivo, attiene al vizio di violazione di legge la denunciata erronea valutazione della sufficienza della traduzione in una delle lingue cc.dd. veicolari, nel caso di irreperibilità di un interprete nella lingua dello espellendo, con conseguente necessità anche in riferimento a detto mezzo del quesito di diritto.

Ancora per mera completezza, va osservato che la stesso ricorrente ha dedotto che il giudice di pace ha ritenuto “legittima la motivazione addotta dall’Autorità prefettizia la quale, stante l’irreperibilità di un interprete in lingua indi”. Ebbene, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 7, non impone all’Amministrazione di tradurre il decreto espulsivo nella lingua madre della persona da espellere, ma solo di assicurare che la traduzione del provvedimento avvenga “in una lingua conosciuta” e, solo ove ciò non sia possibile, di garantire che la traduzione sia svolta “in lingua francese, inglese o spagnola”, ritenute lingue universali e, quindi, accessibili, direttamente o indirettamente, da chiunque (Cass. n. 13833 del 2008).

L’obbligo dell’autorità procedente di tradurre la copia del relativo decreto nelle lingua conosciuta dallo straniero stesso è, quindi, derogabile tutte le volte in cui detta autorità attesti e specifichi le ragioni per le quali tale operazione sia impossibile e si imponga la traduzione nelle lingue predeterminate dalla norma di cui all’art. 13, comma 7, cit.. Siffatta attestazione è condizione non solo necessaria, ma anche sufficiente a che il decreto di espulsione risulti immune da vizi di nullità, senza che il giudice di merito possa ritenersi autorizzato a sindacare le scelte della P.A. in termini di concrete possibilità di effettuare immediate traduzioni nella lingua dell’espellendo (Cass. n. 6101 del 2008; n. 25362 del 2006; n. 25026 del 2005; n. 13032 del 2004; n. 5465 del 2002).

Ne consegue che la stessa prospettazione de ricorrente rivela la sussistenza dei presupposti che hanno reso legittima la traduzione del decreto in una delle lingue cc.dd. veicolari”.

L’inammissibilità dei motivi comporta quella del ricorso con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 1.000, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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