Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12895 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. III, 13/05/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 33161/2018 R.G. proposto da:

C.A.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Valentina

Quattrocolo;

– ricorrente –

contro

INPS – Istituto Nazionale Previdenza Sociale, rappresentata e difesa

dall’Avv. Maria Morrone, e dall’Avv. Giuseppe Fiorentino, con

domicilio eletto in Roma, Via Cesare Beccaria, n. 29;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, n. 1069/2018

depositata il 18 aprile 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 2 febbraio

2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;

lette le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, formulate ai

sensi e con le modalità previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137,

art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176,

con le quali si chiede il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale della stessa città aveva rigettato le domande proposte da C.L.A. contro l’Inps (succeduto all’Inpdap), dirette ad ottenere l’accertamento dell’avvenuto trasferimento in suo favore della proprietà di un appartamento per effetto del dedotto esercizio dei diritti ad essa riconosciuti dalla normativa relativa alle dismissioni del patrimonio immobiliare dell’ente.

Premesso che nessuno dei due litiganti aveva provveduto a depositare il fascicolo di parte e che nondimeno la causa poteva essere decisa per essere incontestato “il contenuto dei documenti e delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione”, la Corte felsinea ha nel merito rilevato, conformemente al primo giudice, che:

– la comunicazione dell’ente pubblico datata 8 febbraio 2000 non conteneva la manifestazione della volontà di dismettere l’immobile, ma era finalizzata a compiere una “indagine conoscitiva ai fini della vendita dell’unità immobiliare assegnata in locazione”;

– la successiva comunicazione inviata dall’ente il 18 luglio 2008, bensì recante l’espressa manifestazione di volontà di alienare l’immobile, non legittimava comunque l’appellante a esercitare il diritto di opzione per l’acquisto, difettando i presupposti richiesti dal D.L. 25 settembre 2001, n. 351 (come modificato dalla Legge di Conversione 23 novembre 2001, n. 410 e successive modifiche), atteso che:

a) la locazione della C. era terminata il 21 dicembre 2001 (dunque ben sette anni e mezzo prima), per effetto di disdetta formalmente comunicata dall’Inps, e l’inquilina si trovava quindi a detenere l’immobile senza titolo;

b) da allora essa aveva continuato a pagare una somma di denaro inferiore al canone di locazione che sarebbe stato dovuto, “come ben rappresentato dall’Inps nell’estratto conto in atti”;

c) l’Inps aveva nondimeno offerto alla C. la possibilità di regolarizzare la propria posizione, ossia di eliminare gli effetti realizzatisi a seguito della scadenza della locazione, mediante il pagamento delle rate di canone ad essa successive (in pratica, come se la locazione non fosse mai terminata), ma la C. non vi aveva aderito;

– era priva di pregio la tesi dell’appellante secondo cui il comportamento tenuto dall’ente successivamente alla disdetta della locazione avrebbe comportato la rinnovazione tacita del rapporto, non potendosi desumere la volontà negoziale della p.a. da comportamenti concludenti ma dovendo essere espressa in forma scritta a pena di nullità.

2. Avverso la sentenza d’appello C.A.L. propone ricorso per cassazione articolando cinque motivi, cui resiste l’intimato depositando controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti, nè il Procuratore Generale, fatto richiesta di trattazione orale.

2. Con il primo motivo la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100,101,112,113,115,116,339 e segg., art. 347 c.p.c., art. 72 disp. att. c.p.c., omesso esame di fatti decisivi del giudizio già oggetto di discussione tra le parti”.

2.1. Lamenta che la Corte d’appello ha erroneamente affermato che nessuno dei due litiganti aveva provveduto a depositare il fascicolo di parte, conseguentemente ritenendo di poter decidere sulla base del mero contenuto degli atti di causa del secondo grado.

Osserva di contro che il fascicolo di parte relativo al giudizio di primo grado era stato da essa depositato all’atto dell’iscrizione a ruolo della causa in appello, materialmente incorporato nel fascicolo di parte di secondo grado, e che lì ancora materialmente si trova.

2.2. Soggiunge che nessuna delle parti o dei rispettivi difensori, nel corso del giudizio di appello, aveva mai provveduto al ritiro dei propri fascicoli, nemmeno alle due successive udienze di precisazione delle conclusioni del 15 marzo 2016 e del 21 novembre 2017, come comprovato dai relativi verbali d’udienza.

Osserva che riscontrata ipoteticamente l’assenza di tali fascicoli di parte senza che alcuno risultasse tuttavia averli ritirati, la Corte d’appello avrebbe dovuto tutt’al più chiedere chiarimenti alle parti o autorizzarle alla ricostituzione dei fascicoli.

2.3. Contesta, infine, l’assunto secondo cui la causa poteva comunque essere decisa anche in mancanza di quella documentazione, per essere “incontestati” i documenti e le circostanze di fatto oggetto di decisione.

Rileva di contro che trattavasi di documentazione decisiva – alla stregua di quanto dedotto con i successivi motivi di ricorso – per l’esatta comprensione delle vicende che ci occupano (segnatamente con riguardo alla corrispondenza intercorsa tra le parti documentata dagli allegati da 1 a 17 del fascicolo di primo grado).

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1331 e 1332 c.c., art. 2741 c.c., artt. 100,101,112,113,115,116,339 e segg., art. 347 c.p.c., D.Lgs. n. 104 del 1996, artt. 6 e segg., L. n. 410 del 2001, artt. 3 e segg.; omesso esame di fatti decisivi del giudizio già oggetto di discussione tra le parti”.

Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che la comunicazione dell’ente pubblico datata 8 febbraio 2000 avesse valore di formale offerta di vendita.

Premesso che, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 1996, art. 6, comma 5 e L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 109, la comunicazione dell’Ente non deve avere necessariamente la forma della proposta contrattuale, nè contenere l’indicazione del prezzo, bastando che essa si connoti come atto da cui si possa concretamente desumere una manifestazione di volontà, da parte dell’Ente, di dismettere l’immobile, e premesso ancora che la Circ. Lav. 6/4/PS/31573 del 26 agosto 1999, emanata proprio per fornire le linee guida interpretative del suddetto D.Lgs. n. 104 del 1996, ha specificamente indicato la procedura da seguire da parte degli enti, evidenziando in particolare che la comunicazione deve avvenire mediante apposito formulario cui deve seguire la risposta del conduttore nel termine indicato; ciò premesso, rileva che precisamente questo è il modus operandi seguito nella specie dall’Inpdap.

Afferma che tanto poteva ricavarsi dal contenuto della comunicazione inviata in data 8 febbraio 2000 (richiamata in ricorso come doc. 1 allegato alla citazione del primo grado) – con la quale l’ente, nel richiedere alla sig.ra C. la compilazione del modello allegato, specificava chiaramente che esso era finalizzato a segnalare l’eventuale intenzione di esercitare il diritto di prelazione – e dalla successiva compilazione e risposta positiva, poi rimandata all’Inpdap (indicata in ricorso come doc. 1 allegato alla citazione del primo grado).

Rimarca inoltre che, come anche affermato dal precedente di Cass. n. 21596 del 2013, la dicitura “indagine conoscitiva” contenuta nella comunicazione dell’ente proprietario (in quel caso INPS), non impedisce di considerare tale comunicazione come una chiara manifestazione di volontà di dismettere l’unità immobiliare, ove si abbia riguardo sia al contenuto obiettivo della stessa missiva, sia agli atti della pubblica amministrazione seguiti al suo invio, quali la successiva inclusione delle unità immobiliari nell’operazione di cartolarizzazione e la conferma della volontà di vendere da parte del medesimo ente proprietario.

4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1331 e 1332 c.c., aert. 2741 c.c., artt. 100, 101, 112,113,115,116 c.p.c., artt. 163 c.p.c. e segg., artt. 183 c.p.c. e segg., artt. 339 e segg., art. 347 c.p.c., D.L. n. 351 del 2001, artt. 3 e segg., D.Lgs. n. 104 del 1996, artt. 6 e segg., L. n. 410 del 2001, artt. 3 e segg., L. n. 488 del 1999, artt. 2 e segg., L. n. 140 del 1997, D.L. n. 79 del 1997, artt. 7 e segg., D.L. n. 203 del 2005, convertito in L. n. 248 del 2005, artt. 7-bis e segg.; omesso esame di fatti decisivi del giudizio già oggetto di discussione tra le parti”.

Le censure investono la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non validamente esercitato il diritto di opzione, in risposta alla successiva comunicazione inviata dall’ente previdenziale il 18 luglio 2008.

4.1. La ricorrente contesta infatti, anzitutto, l’assunto secondo cui sarebbe stato a tanto di ostacolo, nella specie, l’insussistenza tra le parti, a quella data, di un rapporto di locazione, rilevando che, in base alla normativa suindicata, al conduttore deve ritenersi concesso l’esercizio del diritto di opzione per il solo fatto che egli sia, o sia stato, locatario del relativo immobile e ne abbia ancora in corso la detenzione, a prescindere dalla persistente validità ed efficacia temporale del precedente contratto, ovvero del suo formale e già avvenuto rinnovo.

Soggiunge che, del resto, anche l’ente previdenziale aveva riconosciuto la sua legittimazione indicandola, nell'”estratto conto dal 1/1/1960 al 28/2/2014″ (documento indicato come allegato n. 14 alla comparsa conclusionale depositata in primo grado), come locataria di un contratto di locazione ancora in essere, e poi ancora invitandola, con la comunicazione del 18 luglio 2008, ad esercitare il diritto di opzione in tale qualità.

4.2. In secondo luogo la ricorrente, pur riconoscendo in astratto la rilevanza ostativa dell’eventuale mancato regolare pagamento dei canoni, censura il convincimento espresso in sentenza circa la sussistenza in concreto di tale impedimento, poichè – afferma -“totalmente illogico” e “smentito dalle risultanze in atti”. Richiama in tal senso documenti che afferma essere stati prodotti in primo grado come allegati nn. 7, 14, 16 e 17.

Contesta, inoltre, l’assunto secondo cui tale morosità sarebbe comprovata dallo “estratto conto in atti”, rilevando che non di estratto conto si tratta ma di una lettera del 14 novembre 2008, con la quale l’ente, “in via del tutto unilaterale e senza alcun contraddittorio con la controparte, ha ricalcolato in via del tutto autonoma l’entità presunta dei canoni mensili, senza peraltro l’ancoraggio ad alcun obiettivo criterio aritmetico di calcolo, ovvero a qualsivoglia contratto in quel momento in essere”.

Rimarca che la stessa parte avversa aveva dato atto del protratto pagamento del canone concordato di Euro 371,45; ciò bastava ad escludere la sussistenza di alcuna morosità, non rilevando che tale pagamento fosse imputato ad “indennità di protratta occupazione”.

4.3. Rileva infine che è “erroneo e contrario alle risultanze in atti” l’assunto espresso in sentenza secondo cui essa si sarebbe comunque “rifiutata” di provvedere al pagamento della somma aggiuntiva di Euro 18.528,77, dal momento che invece si era resa disponibile a pagare tale importo con riserva di ripetizione (come dimostra, assume, il doc. n. 12 allegato alla seconda memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, del 15.12.2009).

5. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100,101,112,113,115,116 c.p.c., art5t. 339 e segg. e art. 347 c.p.c., D.L. n. 351 del 2001, artt. 3 e segg., D.Lgs. n. 104 del 1996, artt. 6 e segg., L. n. 410 del 2001, artt. 3 e segg., L. n. 488 del 1999, artt. 2 e segg., L. n. 140 del 1997, D.L. n. 79 del 1997, artt. 7 e segg.; omesso esame di fatti decisivi del giudizio già oggetto di discussione tra le parti”.

Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che nessuna “rinnovazione tacita” del contratto di locazione potrebbe darsi dopo la sua formale disdetta, posto che, per consolidata giurisprudenza, non è consentito alla pubblica amministrazione dare corso a rinnovazioni tacite di qualsivoglia rapporto contrattuale per facta concludentia, essendo comunque necessaria in tal senso, a pena di nullità, una manifestazione di volontà in forma scritta.

Rileva di contro che, da un lato, la pubblica amministrazione manifestò espressamente ed in forma scritta la propria volontà di considerare la sig.ra C. locataria dell’immobile in questione, e ciò anche successivamente alla disdetta, e, dall’altro, che la mera detenzione dell’immobile era comunque condizione necessaria e sufficiente per il valido esercizio del diritto di opzione sull’immobile.

6. Con il quinto motivo la ricorrente infine denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 100,101,112,113,115,116 c.p.c., artt. 339 e segg. e 347 c.p.c., D.L. n. 351 del 2001, artt. 3 e segg., L. n. 410 del 2001, D.L. n. 269 del 2003 artt. 26 e segg., L. n. 350 del 2003 artt. 3 e segg., D.Lgs. n. 104 del 1996, artt. 6 e segg., L. n. 662 del 1996, artt. 3 e segg., D.L. n. 41 del 2001, artt. 1 e segg., L. n. 104 del 2004, D.L. n. 223 del 2006, artt. 37 e segg., D.L. n. 351, artt. 3 e segg.; omesso esame di fatti decisivi del giudizio già oggetto di discussione tra le parti”.

Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto assorbita la doglianza relativa alla mancata determinazione del prezzo di compravendita, aggiungendo comunque che trattavasi di questione sottratta alla giurisdizione del giudice ordinario.

7. Il primo motivo è fondato e va accolto, con il conseguente assorbimento degli altri.

7.1. La premessa da cui muove la sentenza (pag. 3, p. 4) secondo cui “nessuno dei due litiganti ha provveduto a depositare il fascicolo di parte” appare obiettivamente incomprensibile in quanto intrinsecamente contraddetta dalla costituzione in appello, di cui ovviamente si dà atto implicitamente in sentenza, di entrambe le parti.

Questa, invero, a norma degli artt. 165 e 167 c.p.c., richiamati per l’appello dall’art. 347 c.p.c., postula (ovvero non può non avvenire se non attraverso) il deposito del fascicolo di parte (v. anche art. 72 disp. att. c.p.c.).

Ciò rende la sentenza sul punto inficiata da motivazione mancante o apparente, vizio che, al di là dell’ininfluente riferimento nell’intestazione ad altre tipologie di vizio cassatorio, può ritenersi nella sostanza (v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931) attinto dalle censure svolte nel primo motivo che, proprio in ragione della oscurità del rilievo, ipotizzano un ampio spettro di possibili e alternative interpretazioni.

7.2. La contraddittorietà di tale rilievo non può essere sciolta ipotizzando che invece che all’attività di “deposito” del fascicolo (la quale tecnicamente indica, come detto, quella preliminare che occorre compiere al momento ed al fine della costituzione in giudizio) la corte bolognese intendesse riferirsi a quella di “restituzione” degli stessi, non facendosi menzione in sentenza del necessario preventivo accertamento che gli stessi fossero stati volontariamente ritirati.

7.3. Se tale comunque fosse stato l’intendimento della Corte coglierebbe nel segno il secondo dei rilievi censori svolti dalla ricorrente.

Occorre al riguardo, invero, rammentare che, poichè il ritiro e la restituzione dei fascicoli di parte devono necessariamente avvenire per il tramite del cancelliere che custodisce l’incartamento processuale, ove non risulti alcuna attestazione (nè venga offerta dalla controparte la prova rigorosa e precisa) dell’avvenuto ritiro del fascicolo, deve presumersi che le attività delle parti e dell’ufficio si siano svolte nel rispetto delle norme processuali e che dunque il fascicolo non sia mai stato ritirato, con conseguente obbligo del giudice di disporre le opportune ricerche in cancelleria e, in caso di esito negativo, di promuovere la ricostruzione della documentazione mancante (v. Cass. 31/10/2016, n. 22021; 18/04/2016, n. 7630; 12/12/2008, n. 29262).

Soltanto in caso di insuccesso delle ricerche da parte della cancelleria, ovvero in caso di inottemperanza della parte all’ordine di ricostruire il proprio fascicolo, il giudice potrà pronunciare sul merito della causa in base agli atti a sua disposizione (Cass. n. 12369 del 03/06/2014).

8. La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio al giudice a quo, al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il primo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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