Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12894 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. III, 13/05/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 13/05/2021), n.12894

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9410/2018 proposto da:

S.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA 51, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLO ZUCCONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO MARANO’;

– ricorrente –

contro

I.C., DMG CONSULTING S.R.L., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO

ALBERICI, rappresentati e difesi dall’avvocato GABRIELLA PICCOLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2040/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 20/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza camerale del

29/01/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

letta la requisitoria scritta del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.B. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, I.C. e la DMG Consulting s.r.l., chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto di riscatto agrario in relazione ad alcuni terreni agricoli che un tale M.A. aveva venduto allo I..

A sostegno della domanda espose di essere affittuario coltivatore diretto del podere denominato “(OMISSIS)”, di aver ricevuto copia del preliminare di compravendita tra il M. e lo I., comprensivo di quel podere e di due unità abitative non rurali, e di aver esercitato il diritto di prelazione sull’intero compendio offerto in vendita. Aggiunse di aver poi rinunciato a tale prelazione, precisando però che la denuntiatio doveva ritenersi invalida, poichè in essa era stato indicato un prezzo unico relativo sia ai terreni agricoli che ai fabbricati rurali, mentre rispetto a questi ultimi egli non era titolare di alcun diritto di prelazione; ragione per cui egli riteneva di poter esercitare il diritto di riscatto nei confronti dell’acquirente I. e della società DMG Consulting alla quale lo I. aveva conferito i beni acquistati, sottoscrivendo un aumento di capitale della società.

Si costituirono in giudizio entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attore al pagamento delle spese di lite e dell’ulteriore somma di Euro 2.000 ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 20 settembre 2017, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante alla rifusione delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che era pacifico che lo S. avesse ricevuto la richiesta del venditore con la quale egli veniva invitato ad esercitare il diritto di prelazione; nel rispondere positivamente all’offerta, l’appellante aveva dichiarato al venditore di voler acquistare la proprietà dell’intero compendio immobiliare, per cui non era sostenibile che egli volesse, in realtà, esercitare la prelazione sui soli fondi da lui condotti come affittuario. Dopo di ciò, lo S. non aveva pagato la somma indicata nella denuntiatio e da lui accettata come prezzo di acquisto ed aveva poi espressamente rinunciato all’esercizio del diritto di prelazione. Doveva perciò essere escluso che egli potesse agire in riscatto in relazione ai medesimi fondi, perchè il diritto di riscatto è esercitabile solo a condizione che il retraente non sia stato posto in condizioni di esercitare la prelazione; cosa che, nella specie, non era avvenuta.

Quanto, poi, alla condanna di cui all’art. 96 c.p.c., la Corte d’appello ha osservato che lo S. aveva agito in evidente mala fede, essendosi rifiutato di rilasciare il fondo alla società DMG Consulting, la quale era stata costretta ad agire giudizialmente per il rilascio, mentre l’unica ragione per proseguire nella detenzione era la circostanza di aver (senza fondamento) esercitato il preteso diritto di riscatto.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Firenze ricorre S.B. con atto affidato a due motivi.

Resistono I.C. e la DMG Consulting s.r.l. con un unico controricorso.

Il ricorso, fissato per la trattazione presso la Sesta Sezione Civile di questa Corte, è stato da questa rimesso, con ordinanza interlocutoria 10 novembre 2020, n. 25168, alla pubblica udienza della Terza Sezione Civile.

Fissato quindi per l’udienza pubblica del 29 gennaio 2021, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176, senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il Procuratore generale ha presentato le sue conclusioni per iscritto, chiedendo che venga accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8.

Sostiene il ricorrente che la proposta di acquisto a lui indirizzata comprendeva anche due appartamenti di civile abitazione per i quali egli non aveva alcun diritto di prelazione, per cui la sua accettazione non poteva essere considerata come valido esercizio della prelazione. Secondo un orientamento della giurisprudenza, infatti, se il fondo oggetto di affitto viene posto in vendita insieme ad altri beni, il diritto di prelazione dell’affittuario riguarda solo il fondo affittato; per cui, non avendo la proposta di alienazione indicato prezzi distinti per il bene ammesso alla prelazione e per quelli che non lo erano, quella proposta non poteva essere considerata come valida denuntiatio. La conseguente accettazione della proposta da parte del ricorrente, quindi, non costituiva valido esercizio della prelazione, ma era solo una mera proposta contrattuale, perciò revocabile; con la conseguenza che la successiva rinunzia non poteva far venire meno il diritto di riscatto nei confronti dei beni per i quali non c’era stata una valida proposta di acquisto.

1.1. Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che la denuntiatio rivolta al titolare del diritto di prelazione è atto finalizzato all’esclusivo interesse del coltivatore, al fine di consentirgli di valutare la convenienza o meno di esercitare il diritto stesso (v. sentenza 19 gennaio 2007, n. 1192); ed ha anche precisato che è irrituale e priva di effetti la denuntiatio effettuata mediante trasmissione di un contratto preliminare indicante un prezzo unitario per il fondo agricolo nel suo complesso (irrilevante in tal caso essendo che oggetto del detto preliminare sia un fondo condotto in affitto, per porzioni separate, da una pluralità di affittuari ovvero un fondo solo parzialmente oggetto di affitto, per essere la residua parte nella piena disponibilità della parte alienante), giacchè l’avente diritto, che nel caso può esercitare la prelazione attribuitagli dalla legge solo relativamente ad una porzione del più ampio appezzamento di terreno, non risulta a tale stregua posto nelle condizioni di esercitare il proprio diritto (sentenze 22 gennaio 2004, n. 1103, 7 marzo 2014, n. 5414, 29 agosto 2013, n. 19862, e 14 novembre 2019, n. 29485).

1.2. Ciò premesso, osserva la Corte che è incontestata tra le parti, nella specie, la circostanza per la quale tra i beni offerti in prelazione vi erano anche alcuni immobili per i quali il diritto di prelazione non era esercitabile (il ricorrente parla di due unità abitative non rurali); ne deriva che è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), sulla base della circostanza che il ricorrente avrebbe richiamato il contenuto di una serie di documenti (preliminare, accettazione e rinuncia) senza indicare come e dove essi siano stati messi a disposizione di questa Corte. Ciò che conta, infatti, è la circostanza suindicata, da assumere come non contestata, per cui la mancanza di precisione nell’indicazione dei beni diventa irrilevante.

Nel caso in esame è pacifico che l’odierno ricorrente – come ha rilevato la Corte d’appello – ha ricevuto la proposta di acquisto dell’intero compendio ad un determinato prezzo (unitario) ed ha dichiarato di voler esercitare la prelazione su tutti i beni al prezzo indicato nella denuntiatio; dopo di che egli non ha pagato il prezzo ed ha rinunciato alla prelazione, agendo successivamente per il riscatto.

La Corte rileva, quindi, che la denuntiatio era da considerare inidonea ad assumere la funzione ad essa devoluta dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, in quanto si risolveva nella denuncia di un negozio del tutto diverso da quello per il quale l’art. 8, prevede la comunicazione. Tale era, infatti, l’indicazione della volontà di vendere il fondo oggetto di affitto e i due immobili estranei al diritto di prelazione. Qualora, infatti, la denuntiatio riguardi sia il fondo in affitto sia altri beni per i quali il diritto di prelazione non sussiste ed indichi, però, separatamente il prezzo dei cespiti, il titolare della prelazione può manifestare la volontà di acquistare soltanto il bene in affitto e non anche il bene estraneo, in tal modo rendendo effettiva la prelazione soltanto per il primo; e in questo caso si avrà una manifestazione idonea a determinare gli effetti del positivo esercizio della prelazione, con quanto ne consegue. Se, invece, com’è accaduto nel caso di specie, l’offerta non indica i prezzi diversificati per i beni assoggettati a prelazione rispetto agli altri, l’eventuale accettazione non potrà ritenersi come valida manifestazione di volontà all’interno dell’esercizio del diritto di prelazione.

Ne deriva come corollario che la vendita dei beni stessi ad un soggetto terzo consente al titolare del diritto di prelazione la facoltà di esercitare il diritto succedaneo di riscatto, non essendo stato egli messo in condizioni di far valere validamente il diritto di prelazione.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, sostenendo che la sentenza avrebbe errato nel respingere il motivo di appello col quale si era censurata la condanna emessa dal Tribunale ai sensi della citata norma.

2.1. Il motivo rimane evidentemente assorbito dall’accoglimento del primo.

3. In conclusione, è accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo.

La sentenza impugnata è cassata e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi ai principi richiamati nella presente sentenza.

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione personale, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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