Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12890 del 23/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12890 Anno 2015
Presidente: CARLEO GIOVANNI
Relatore: PELLECCHIA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 29923-2011 proposto da:
BUSATO

ALBERTO

BSTLRT27S22G4790,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55, presso lo
studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato POTITO
MARIA PASQUARELLA giusta procura a margine del
2015

ricorso;
– ricorrente –

350
contro

BRASCHI NEREO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
PANAMA 88, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

1

Data pubblicazione: 23/06/2015

SPADAFORA, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO
ARGINELLI giusta procura in calce al controricorso;
BRASCHI ALESSANDRO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3, presso lo studio
dell’avvocato SAVERIO GIANNI, che lo rappresenta e

giusta procura a margine del controricorso;
– controri correnti –

avverso la sentenza n. 586/2011 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 04/05/2011 R.G.N.
2644/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/02/2015 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PELLECCHIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

difende unitamente all’avvocato CHIARA ANDREUCCI

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
1. Nell’aprile del 2000, Busato Alberto convenne in giudizio Braschi Nereo ed
Alessandro, al fine di far dichiarare la nullità e l’inefficacia della procura
speciale rilasciata, il 7 gennaio 1991, in favore di Braschi Nereo, nonché dell’atto
di compravendita con il quale quest’ultimo per nome e conto dell’attore aveva
ceduto al proprio figlio Braschi Alessandro l’immobile di via Monte Grappa 13,

per un prezzo molto inferiore a quello effettivo.
Sostenne l’attore, che aveva rilasciato una serie di procure speciali al Braschi che
si era offerto di aiutarlo in un periodo di grave difficoltà economica. Tra le varie
procure c’era anche quella con cui gli affidava l’immobile di Via Montegrappa,
con l’intesa che tale immobile sarebbe ritornato a lui e alla sua famiglia. Pertanto
il Braschi Nereo vendendo l’immobile in questione al proprio figlio, ad un
prezzo inferiore a quello di mercato, aveva agito con frode in suo danno
arrecandogli grave pregiudizio. E che in ogni caso l’atto sopraindicato era nullo,
invalido ed inefficace, al pari delle procure speciali, per mancanza di causa e
posto in violazione del divieto del patto commissorio e comunque per
simulazione.
Il Tribunale di Forti sezione di Cesena con sentenza del 29 settembre 2004 n.
241, rigettò le domande del Busato e tutte le riconvenzionali.
2. La decisione è stata confermata dalla corte di appello di Bologna con
sentenza n. 586 del 4 maggio 2011.
3. Avverso tale decisione Alberto Busato propone ricorso in Cassazione sulla
base di due motivi.

3.1 Resistono con autonomi controricorso i Braschi padre e figlio.

MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, il Busato lamenta “Violazione di legge e,

segnatamente, delle norme di cui all’art. 183 5°c, c.p.c.. Tempestività della
riconvenzionale”.
Il ricorrente ritiene illegittima la declaratoria di inammissibilità della domanda
riconvenzionale da lui proposta in I grado nella memoria ex art. 183 comma 5
3

g

c.p.c.. Sostiene a tal proposito che la proposizione della domanda
riconvenzionale non era disposta, con formula di inderogabilità entro la prima
udienza, né tantomeno costituiva eccezione rilevabile d’ufficio.
Il motivo è infondato.
A parte gli evidenti profili di genericità del motivo, deve osservarsi che la
riformulazione dell’art. 183 cod. proc. civ., così come da ultimo novellato

dicembre 1995, n. 534, consente all’attore di proporre nella prima udienza di
trattazione domande diverse rispetto a quella originariamente proposta solo ove
trovino giustificazione nelle domanda riconvenzionale o nelle eccezioni proposte
dal convenuto (cfr sul punto Cass. 14581/2004). Ed invero, la norma allude con
tutta evidenza ai casi tipici della reconventio reconventionis e della domanda di
accertamento incidentale. L’esigenza delle domande diverse da quelle
originariamente proposte deve, quindi, nascere dalla dialettica processuale, nel
senso che l’interesse a proporle deve scaturire dalla posizione assunta dal
convenuto e deve essere soddisfatta, giusta l’espressa previsione del quinto
comma, immediatamente, nell’udienza di trattazione ovvero in quella
eventualmente fissata ai sensi del terzo comma dell’art.183 cpc: presupposto,
quest’ultimo, rimasto nella specie assolutamente insoddisfatto.
Pertanto correttamente il giudice del merito ha dichiarato inammissibile la
domanda nuova proposta dal Busato, con la memoria ex art. 183, 5 comma,
c.p.c.. Né vale osservare in senso contrario che la proposizione della domanda
riconvenzionale non fosse stata disposta, con formula di inderogabilità entro la
prima udienza. E’ appena il caso di aggiungere infatti che, dovendo ritenersi che
il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario riformato sia inteso
non solo a tutela dell’interesse di parte ma anche dell’interesse pubblico al
corretto e celere andamento del processo, ne deriva che la questione circa la
novità delle domande è del tutto sottratta alla disponibilità delle parti e
ricondotta esclusivamente al rilievo d’ufficio da parte del giudice. (v. Cass.
n.947/2012, n.14625/2010, 24606/06).

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dall’art. 5 D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella legge 20

4.2. Con il secondo motivo, il Busato lamenta “violazione di legge art. 360 n. 3
c.p.c. e, segnatamente, delle norme di cui al combinato disposto artt. 2724 e
2725 c.c. difetto di motivazione art. 360 n. 5 c.p.c.”.
Sostiene il ricorrente che i giudici dell’Appello sono incorsi nella violazione
delle predette norme non ammettendo la prova testimoniale sull’esistenza di un
contratto, del quale è stato offerto principio di prova mediante la produzione
della puntazione, volta a dimostrare la violazione del divieto del patto

commissorio.
Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto la Corte Territoriale ha fatto buon governo delle norme di cui agli
artt. 2724 e 2725 c.c. motivando correttamente a quale vincolo di forma sia
soggetta la scrittura privata, non sottoscritta, prodotta da controparte contenente
il patto di retrovendita. Nel vigente sistema normativo, in materia di contratti per
i quali è richiesta “ad substantiam” la forma scritta, la perdita incolpevole del
documento contenente la manifestazione della volontà contrattuale costituisce
necessario presupposto di qualsiasi prova in ordine al contenuto del documento
andato perduto o distrutto, e ciò mediante la dimostrazione di un fatto positivo,
concretantesi nella prova rigorosa di avere usato, nella custodia del documento
stesso, ogni possibile diligenza. Pertanto, in mancanza di detta dimostrazione, ne
deriva l’inammissibilità della prova testimoniale avente ad oggetto l’esistenza del
negozio. E se la prova sia stata espletata, l’inammissibilità può essere dedotta in
qualsiasi stato e grado del giudizio ed è rilevabile anche d’ufficio (Cass.
144/2002).
Ma a parte ciò, va ribadito ed è principio consolidato di questa Corte, che la
censura contenuta nel ricorso per Cassazione relativa alla mancata ammissione
della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, non trascrive e i capitoli
di prova e indica i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a
testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio
richiesto – ed inoltre non alleghi e indichi la prova della tempestività’ e ritualità
della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di
consentire “ex actis” alla Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione
(C ass. 19138/04).
5

/t

Niente di ciò, nel caso di specie, è stato riportato.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del presente
giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti che liquida in complessive

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della
Corte suprema di Cassazione in data 6 febbraio 2015.

7.800 Euro, di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

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