Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12888 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. III, 26/06/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12888

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32176/2018 proposto da:

M.P., CURATELA FALLIMENTO SOC. (OMISSIS) SAS” E DEL SOCIO

ACCOM. G.S., in persona del curatore, domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato FABIO BUCHICCHIO;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI PERUGIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, P.ZA DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio

dell’avvocato STEFANIA PAZZAGLIA, rappresentato e difeso

dall’avvocato LUCA ZETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 581/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 13/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FABIO BUCHICCHIO;

udito l’Avvocato ZETTI LUCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Avendo Italcos s.a.s. di P.M. & C. in liquidazione convenuto davanti al Tribunale di Perugia il Comune di Perugia chiedendo di dichiararne la responsabilità ex art. 2043 c.c., per mancato tempestivo adeguamento del PRG vigente al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) della Provincia di Perugia – così rendendo inedificabile un lotto per cui l’attrice, sua proprietaria, aveva chiesto un titolo abitativo per costruire un edificio residenziale – e che fosse conseguentemente condannato a risarcirle i danni derivanti dalla lesione di interesse legittimo, per un totale di Euro 267.296,53 oltre accessori, ed essendosi costituito il Comune, resistendo, con sentenza non definitiva n. 1883/2016 il Tribunale dichiarava la responsabilità del Comune e rimetteva la causa in istruttoria per quantificare il danno.

Avendo il Comune di Perugia proposto appello, cui controparte resisteva, la Corte d’appello di Perugia, con sentenza del 13 agosto 2018, lo accoglieva, escludendo che il Comune avesse alcuna responsabilità, e in particolare che non avesse violato alcun obbligo.

2. Hanno presentato ricorso, quali successori ex art. 110 c.p.c., della società Italcos, nelle more cancellata dal Registro delle Imprese, M.P. – già suo socio accomandatario – e il Fallimento di (OMISSIS) s.a.s. e della socia accomandataria illimitatamente responsabile G.S..

Si è difeso con controricorso il Comune di Perugia.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è formulato sulla base di sette motivi.

3.1 Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’appello ha dichiarato di non aderire all’interpretazione dell’art. 36, comma 5, delle NTA (Norme Tecniche di Attuazione) del PTCP adottata dal Tribunale; avrebbe peraltro spiegato le ragioni con una motivazione “perplessa e/o incomprensibile”, di cui non sarebbe ricostruibile l’iter logico.

3.2 Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 2043 c.c., L. n. 1150 del 1042, art. 31 (sic), L. n. 10 del 1977, artt. 1 e 4, L. n. 1497 del 1939, art. 7, D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 151, nonchè violazione della L. n. 1902 del 1952, art. unico.

L’interpretazione del citato art. 36, comma 5, del giudice d’appello violerebbe l’art. 2043 c.c., in rapporto all’insegnamento di S.U. 22 luglio 1999 n. 500. Italcos sarebbe stata infatti titolare di un interesse legittimo pretensivo al rilascio del titolo edilizio, ingiustamente escluso dal Comune con l’omesso adeguamento. Viene descritto il procedimento amministrativo suscitato dalla presentazione da parte della società, il 26 gennaio 1999, della domanda di concessione edilizia, affermando poi che l’inedificabilità assoluta, ex art. 36, comma 5, citato, per il mancato adeguamento, entro un anno dall’entrata in vigore del PTCP, del vigente PRG del Comune di Perugia “non poteva elidere l’interesse legittimo pretensivo” della società: lo jus aedificandi sarebbe, infatti, inerente al diritto di proprietà (art. 832 c.c.), “all’epoca” garantito dalla L. n. 1150 del 1042, art. 31 (sic; è inequivoco peraltro il riferimento alla L. 17 agosto 1942, n. 1050, Legge urbanistica), L. n. 10 del 1977, artt. 1 e 4 – che avrebbero trovato fondamento nell’art. 42 Cost., per cui il privato può chiedere l’edificazione e la pubblica amministrazione ha l’obbligo di rilasciare il titolo se la richiesta è conforme alla normativa urbanistica e di tutela dell’ambiente e del paesaggio. Nel caso in esame vi sarebbe stata conformità alla normativa di tutela del paesaggio: la L. n. 1497 del 1939, art. 7 (vigente quando fu presentata la richiesta di concessione edilizia dalla società) e il D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 151 (applicabile alla scadenza delle misure di salvaguardia) non avrebbero previsto la inedificabilità assoluta dei lotti soggetti a tutela paesaggistica, bensì condizionato l’edificazione rispettivamente all’autorizzazione della Soprintendenza e della Regione, salvo il potere d’annullamento del Ministero competente.

Che lo jus aedificandi potesse essere sospeso dal Comune durante l’approvazione del nuovo strumento urbanistico sarebbe stato ammissibile soltanto rispettando i presupposti dell’allora vigente della L. 3 novembre 1952, n. 1902, art. unico, qui insussistenti, avendo le misure di salvaguardia perso efficacia. Pertanto l’interesse della società all’esame della sua richiesta secondo lo strumento urbanistico vigente, essendo decadute le misure di salvaguardia, non avrebbe potuto essere impedito – e per di più senza scadenza temporale – “da un atto amministrativo o comunque da una disposizione secondaria” come l’art. 36 delle NTA del PTCP in quanto, altrimenti, l’atto amministrativo/norma secondaria abrogherebbe norme primarie di legge sull’edificazione, anche per quando sussista un vincolo paesaggistico, ed eluderebbe la L. n. 1902 del 1952, perchè sospenderebbe lo jus aedificandi al di fuori delle sue tassative ipotesi.

Dunque l’art. 36, comma 5, non sarebbe stato idoneo ad elidere l’interesse legittimo pretensivo all’esame della richiesta del titolo abitativo e al rilascio di quest’ultimo secondo i requisiti del PRG vigente. Si dovrebbe altrimenti sostenere la sussistenza della cosiddetta pregiudizialità amministrativa, qui inapplicabile, e comunque esclusa dal Tribunale in un capo non appellato.

Anche se si considerasse l’art. 36, comma 5, “atto o norma” disapplicabile in questo giudizio risarcitorio, lo si dovrebbe interpretare come norma di relazione, disciplinante anche i rapporti tra il Comune e i privati titolari dei lotti nelle zone omogenee B sotto vincolo paesaggistico (quale era il lotto di Italcos), e imponente alla pubblica amministrazione l’obbligo di adeguamento dello strumento urbanistico in vigenza entro il termine concesso proprio dall’art. 36, comma 5. Infatti il mancato adeguamento entro il termine di un anno ivi concesso “vanifica” l’esercizio delle facoltà connesse al diritto di proprietà (esercizio che sarebbe stato possibile in forza della L. n. 1902 del 1952) garantite dalle norme primarie sopra evocate. Pertanto il giudice d’appello avrebbe interpretato violando l’art. 2043 c.c. e giungendo ad una interpretatio abrogans delle norme di tutela dello jus aedificandi e della temporaneità delle misure di salvaguardia nonchè dei requisiti di ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c..

3.3 Il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione del combinato disposto della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 31,L. 28 gennaio 1977, n. 10, artt. 1 e 4, L. n. 1497 del 1939, art. 7, D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 151, nonchè della L. n. 1902 del 1952, art. unico e dell’art. 36, comma 5, delle NTA del PTCP.

L’omessa considerazione dell’interesse legittimo pretensivo sarebbe sufficiente per accogliere il ricorso. Si ritiene comunque di aggiungere “un’ulteriore doglianza”.

Quando fu proposta la richiesta di concessione edilizia il 12 gennaio 1999 da Italcos vigeva la L. 1497/1939, e quando vi fu decadenza delle misure di salvaguardia, il 22 marzo 2002, vigeva il D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490. Pur essendo il lotto della società un’area paesaggisticamente vincolata, entrambe le norme non prevedevano la inedificabilità assoluta dei lotti in questione, esigendo soltanto per l’edificabilità l’autorizzazione rispettivamente della Soprintendenza e della Regione, salvo il potere d’annullamento del Ministero. Sia in data 12 gennaio 1999, sia in data 22 marzo 2002, ai sensi della L. n. 1150 del 1942, art. 31,L. n. 10 del 1977, artt. 1 e 4 (all’epoca vigenti) il potere amministrativo di rilascio della concessione edilizia apparteneva al Comune, salva la verifica sulla tutela del vincolo paesaggistico, delegata comunque al Comune stesso dall’allora vigente della L.R. 21 ottobre 1997, n. 31, art. 39. La previsione di inedificabilità assoluta in forza del citato art. 36, comma 5, avrebbe quindi determinato l’impossibilità del Comune a rilasciare, pur se previa autorizzazione, titoli riabilitativi in aree edificabili. L’interpretazione della corte territoriale, pertanto, non terrebbe in conto che, se sussiste mancato adeguamento, i Comune viene privato di tale potere, pur vigendo il PRG e pendendo il procedimento per un nuovo strumento urbanistico, e pur dopo la decadenza delle misure di salvaguardia, “come invece consentiva della L. n. 1902 del 1952, art. unico”.

Inoltre il Comune viene privato anche del potere di rilasciare, L.R. n. 31 del 1997, ex art. 39, le autorizzazioni paesaggestiche.

Nell’art. 36, comma 5, sarebbero quindi presenti sanzioni per il Comune nel caso di non adeguamento, ovvero della inedificabilità assoluta, come la decadenza dall’esercizio di alcuni poteri di governo del territorio, sanzioni che invece il giudice d’appello avrebbe negato.

3.4 Il quarto motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, falsa applicazione dell’art. 36, comma 5, delle NTA del PTCP approvate con Delib. Consiglio Provinciale di Perugia 22 luglio 2000, n. 76.

La corte territoriale ritiene che l’interesse qui tutelato sarebbe del Comune. La censura ricostruisce quella che definisce invece l’interpretazione necessaria di tutto l’art. 36 affermando che l’interpretazione del giudice d’appello sarebbe stata invece atomistica -, per dedurne che l’adeguamento dettato dal comma 5, “secondo un criterio probabilistico”, “consentiva il mantenimento delle medesime potenzialità edificatorie già previste dallo strumento urbanistico non adeguato”. La Corte d’appello pertanto avrebbe errato nel ritenere che l’adeguamento tutelasse soltanto interessi del Comune, e non anche dei proprietari dei lotti di zone B assoggettati a vincolo paesaggistico.

3.5 Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 324 c.p.c..

La corte territoriale afferma che la propria decisione è conforme alla “lettura offerta dal Tar”, che al mancato adeguamento non consegue sanzione alcuna (come rilevato anche dal Tar) e che non si è dinanzi ad un obbligo, ma piuttosto a inerzia del Comune come mera condizione di efficacia di una norma del PTCP.

Pur non conformandosi formalmente alla sentenza n. 113/2008 del Tar dell’Umbria, la corte territoriale avrebbe ritenuto “decisive” “alcune statuizioni” del Tar “insuscettibili di giudicato”, che non avrebbero potuto invece vincolarla nè essere fonte del suo convincimento, avendo il Tar declinato la giurisdizione, onde ogni ulteriore considerazione giuridica sarebbe tamquam non esset (S.U. 20 febbraio 2007 n. 3840).

3.6 Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Afferma il giudice d’appello che per un’inerzia di oltre cinque anni l’originaria concessione sarebbe divenuta tamquam non esset, per cui il privato non sarebbe stato “titolare di una particolare tutela”, perchè non titolare di concessione edilizia essendo stata questa rilasciata ai suoi danti causa, “ossia in quanto non poteva dedurre una situazione di interesse legittimo oppositivo”.

In realtà, Italcos non avrebbe mai prospettato la titolarità di un interesse legittimo oppositivo, bensì di un interesse legittimo pretensivo in relazione alla richiesta di concessione edilizia del 12 gennaio 1999, che sarebbe stata rigettata solo per il mancato adeguamento del PRG vigente al PTCP, e che non sarebbe stata mai più accoglibile per il differente PRG successivamente approvato nel 2002. Quindi il “fatto storico” della titolarità dell’interesse legittimo pretensivo, fatto pur discusso e “ammesso tra le parti”, non sarebbe stato preso in considerazione dalla corte territoriale.

3.7 Il settimo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, falsa e/o errata applicazione dell’art. 36 NTA del PTCP, nonchè violazione dell’art. 2043 c.c..

Nella denegata ipotesi in cui non fosse accolto il motivo “articolato con il numero uno” si propone questa doglianza, rilevando che il giudice d’appello ha osservato che inizialmente il Comune con un atto avrebbe manifestato volontà di adeguamento. Si tratterebbe della Delib. Consiliare 26 novembre 2001, n. 146. Ricostruendo la vicenda, il giudice d’appello “vorrebbe in buona sostanza evidenziare” che l’adeguamento avrebbe comunque reso inedificabile l’area di Italcos. Non sarebbe così, perchè tale Delib. avrebbe introdotto nelle NTA del PRG del Comune di Perugia l’art. 1 bis, che ammetteva l’edificabilità.

Si osserva inoltre che la Delib. Consiliare 6 maggio 2012, n. 57, avrebbe preso atto della decadenza delle misure di salvaguardia ma, anzichè procedere all’adeguamento del PRG vigente (il che avrebbe reso edificabile il lotto), avrebbe illegittimamente revocato quanto dell’adeguamento era già stato compiuto con l’atto 146/2001. Così sarebbe stato posto in essere un comportamento colposo (perchè privo di rispetto nei confronti dei principi di imparzialità e di correttezza) lesivo dell’interesse legittimo pretensivo.

4.1 Il primo motivo si dimostra infondato, in quanto la motivazione che la corte territoriale offre nell’impugnata sentenza è ben comprensibile, non risultando afflitta da alcuna ambiguità o addirittura oscurità tali da non consentire la ricostruzione dell’iter logico percorso, dispiegandosi questo ictu oculi nella interpretazione dell’art. 36, comma 5, delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP) per escludere ogni illiceità che riconduca all’art. 2043 c.c. il mancato adeguamento del PRG da parte del Comune di Perugia per il quale la suddetta norma aveva conferito un termine.

4.2 Censura sostanzialmente la motivazione anche il quinto motivo, che pure i ricorrenti tentano di sussumere in una violazione dell’art. 324 c.p.c..

La doglianza, in realtà, attiene ad alcuni passi della motivazione di una sentenza che non ha raggiunto alcun effetto di giudicato nella interpretazione dell’appena citato art. 36, comma 5, cioè la sentenza 113/2008 con cui il Tar dell’Umbria ha declinato la giurisdizione sulla presente vertenza. Tali passi, però” nella sentenza qui impugnata, costituiscono esclusivamente mere argomentazioni sussidiarie all’interpretazione che la corte territoriale non si è astenuta dal compiere essa stessa, manifestandola poi con basilari argomentazioni proprie.

Anche questo motivo, pertanto, risulta infondato.

5. Possono essere vagliati, a questo punto, tutti gli altri motivi congiuntamente, in quanto, nella loro reale sostanza, vertono sulla sussistenza o meno di un illecito da parte del Comune di Perugia che – si sostiene – avrebbe leso l’interesse legittimo pretensivo della società di cui i ricorrenti sono i successori, così facendo insorgere il diritto risarcitorio dei conseguenti danni.

5.1 In sintesi, la condotta illecita sarebbe consistita proprio nel non avere il Comune provveduto all’adeguamento del PRG che era vigente quando la società Italcos presentò la sua richiesta della concessione edilizia su un lotto assoggettato a vincolo paesaggistico ma, secondo tale strumento urbanistico, non inedificabile in misura assoluta: adeguamento che il già citato art. 36, comma 5, sopravvenuto alla richiesta di concessione edilizia (questa fu presentata il 26 gennaio 1999, mentre il PTCP della Provincia di Perugia fu approvato il 18 luglio 2000), avrebbe reso oggetto di un obbligo per il Comune stesso; e l’inadempimento dell’obbligo avrebbe reso del tutto inedificabile il terreno, in applicazione della sanzione prevista dalla norma stessa per l’ipotesi di mancato adeguamento. I ricorrenti, allora, in questi motivi hanno variamente censurato l’interpretazione dell’art. 36, comma 5, adottata in difformità da quella scelta dal giudice di prime cure – dalla corte territoriale, la quale ha negato l’esistenza di un obbligo di adeguamento del Comune, ravvisando previsto nella norma soltanto un onere, e così giungendo ad escludere ogni illiceità della condotta della pubblica amministrazione appellante.

Sotto questo aspetto del perseguimento di una corretta interpretazione dell’art. 36, comma 5, in effetti, la prospettazione dei ricorrenti non appare priva di consistenza.

5.2 L’art. 36, comma 5, invero, come anche il giudice d’appello integralmente riporta, recita che “l’adeguamento del PRG alla presente norma deve avvenire entro un anno dall’entrata in vigore del PTCP; trascorso tale termine senza che i PRG siano stati adeguati, in tali ambiti tutelati è esclusa la nuova edificazione…” (la norma si conclude con riferimenti a fattispecie diverse da quella in esame).

La corte territoriale, dopo avere riassunto la difforme interpretazione del Tribunale – per cui sussisterebbe un obbligo, come discendente dal verbo “deve”, e l’inedificabilità assoluta sarebbe la conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo, considerato inoltre che “solo tale conclusione potrebbe evitare di pregiudicare l’interesse legittimo pretensivo di cui è portatore il privato “che, avendo già ottenuto la concessione edilizia, agisca in maniera oculata e prudente”,e che si “troverebbe così a perdere il bene della vita a fronte di condotte rispetto alle quali non ha alcun potere di intervenire in senso con formativo” ” -, si impegna a “smontare” quanto osservato dal giudice di prime cure. Definisce allora l’espressione “deve” “certo compatibile con la configurazione dell’attività come “onere”, piuttosto che come “obbligo” “: riflessione semantica alquanto singolare, dal momento che, se è condivisibile qualificare compatibile l’espressione “deve” con la previsione di onere, desta notevoli perplessità reputare incompatibile la stessa espressione con la previsione di un obbligo. E’ infatti noto che proprio il verbo “dovere” è quello maggiormente utilizzato per esprimere la sussistenza di un obbligo.

5.3 Prosegue la corte territoriale asserendo che “dell’onere la disposizione ha tutte le caratteristiche, posto che, da un lato, l’interesse che verrebbe salvaguardato nel caso in cui venisse tenuto il comportamento richiesto è proprio quello del Comune, e, dall’altro, alcuna sanzione viene ad essere prevista nel caso della sua inosservanza, solo non realizzandosi l’effetto giuridico favorevole. Il Comune avrebbe cioè potuto ritagliarsi spazi di autonomia maggiore se avesse deciso di adottare misure di adeguamento”; ma “la conseguenza prevista non è chiaramente una sanzione” bensì “l’esclusione di nuova edificazione, che di per sè non può neanche escludersi che potesse essere corrispondente alla volontà del Comune”, onde “deve giocoforza ritenersi di trovarsi al di fuori dello schema classico dell’obbligo, la cui violazione determina inadempimento, connotandosi al più l’inerzia comunale”.

Premesso che l’inadempimento include anche il concetto di inerzia, come il più contiene il meno, questa struttura ermeneutica disegnata dalla corte territoriale per interpretare la norma è palesemente fragile.

In primo luogo, infatti, l’inesistenza della “sanzione” logicamente non può non connettersi con il precedente asserto che il Comune avrebbe “potuto ritagliarsi spazi di autonomia maggiore”. In realtà, vista la conformazione normativa che è stata ampiamente illustrata nei motivi del ricorso, il Comune, effettuando l’adeguamento, non si sarebbe ritagliato “spazi di autonomia maggiore”, bensì avrebbe contenuto la deminutio inferta alla sua autonomia nel governo del territorio dal nuovo PTCP della Provincia. L’inedificabilità assoluta lo ha, invece, privato di ogni spazio, sia dal punto di vista urbanistico (impedendo di mantenere per quanto possibile gli effetti del vigente PRG sulle zone paesaggisticamente tutelate) sia dal punto di vista paesaggistico (espungendo, in sostanza, il potere autorizzativo conferito al Comune dalla legge regionale). E che nulla di questo sia riconducibile al genus della sanzione è assai difficile sostenerlo.

5.3 Ma è ancora più inconsistente l’asserto che l’interesse che sarebbe stato “salvaguardato nel caso in cui venisse tenuto il comportamento richiesto” fosse “proprio quello del Comune” – da intendersi: soltanto quello del Comune -, asserto da correlarsi a quanto poco dopo la corte territoriale espone in ordine alla “tutela dell’interesse privato”: secondo il giudice d’appello l’adeguamento del PRG alle prescrizioni del PTCP sarebbe “più che altro funzionale alla regolamentazione dei rapporti tra autorità, piuttosto che in riferimento alle vicende dei privati”. Allora, se salvaguardato dall’adeguamento è (solo) l’interesse del Comune, è contraddittorio affermare che la conseguenza del mancato adeguamento possa anche “essere corrispondente alla volontà del Comune” stesso, prospettando in tal modo l’esistenza di una sorta di autolesionismo cui la pubblica amministrazione sarebbe interessata.

D’altronde, al di là della qualificazione dottrinale – e già in dottrina discussa – della norma d’azione e della norma di relazione, è indiscutibile l’esistenza in questo tipo di fattispecie di interessi legittimi dei privati, in rapporto ai loro progetti edificatori. E tale esistenza, a ben guardare, in astratto non viene negata quanto all’interesse legittimo oppositivo neppure dalla corte territoriale, laddove esclude che Italcos “fosse titolare di una particolare tutela” per aver già ottenuto la concessione edilizia, essendo stata questa ottenuta dai suoi danti causa che l’avevano resa tamquam non esset rimanendo inerti per oltre cinque anni.

Quanto, poi, alla titolarità di interesse legittimo pretensivo non può negarsi che essa sia configurabile qualora sussista un apprezzabile affidamento al contenuto dello strumento urbanistico vigente al momento della proposizione della richiesta del titolo abilitativo (cfr. tra i molti arresti discesi dalla fondamentale S.U. 27 luglio 1999 n. 500, p. es. Cass. sez. 1, 13 ottobre 2011 n. 21170: “In tema di responsabilità della P.A. per l’esercizio illegittimo della funzione pubblica, sempre che il privato non deduca espressamente la violazione degli obblighi comportamentali sorti da un “contatto amministrativo qualificato”, il diritto al risarcimento del danno ha attuazione diversa a seconda della natura dell’interesse legittimo: infatti, quando esso è oppositivo, occorre accertare se l’illegittima attività dell’Amministrazione abbia leso l’interesse alla conservazione di un bene o di una situazione di vantaggio, mentre, se l’interesse è pretensivo, concretandosi la lesione nel diniego o nella ritardata assunzione di un provvedimento amministrativo, occorre valutare a mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, la fondatezza o meno della richiesta della parte, onde stabilire se la medesima fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva negato il diritto al risarcimento per il mancato rilascio di una concessione edilizia, nonostante l’annullamento del diniego da parte del giudice amministrativo, osservando che il provvedimento permissivo non poteva essere rilasciato e che, quindi, il bene della vita richiesto non era comunque realizzabile, perchè impedito dallo strumento urbanistico comunale)”.

6. Tuttavia, non è questo il centro della questione.

6.1 Proprio quanto si è da ultimo rilevato insegna che il background risiede nell’affidamento alla conformazione dello strumento urbanistico vigente. Peraltro, lo strumento urbanistico può essere cambiato, ed è ovvio che la decisione della pubblica amministrazione sulla richiesta del titolo abilitativo deve essere assunta non alla luce dello strumento vigente quando fu proposta, bensì in riferimento a quello vigente nel momento della decisione. Ed è implicitamente correlata a questa variabilità in rapporto all’interesse legittimo pretensivo del richiedente la previsione normativa di una tutela in ordine alla durata temporale del procedimento amministrativo, tutela rilevante appunto ai fini risarcitori.

La pubblica amministrazione deve rispettare determinati limiti temporali nell’espletare il procedimento avviato dalla richiesta. E infatti, ciò è stato introdotto nella regiudicanda.

6.2 Dalla premessa del ricorso, invero, emerge che Italcos aveva chiesto al Tribunale “il risarcimento del danno conseguente all’impossibilità di esercitare lo jus aedificandi, come invece sarebbe stato possibile se l’Amministrazione avesse tempestivamente adeguato il PRG vigente al momento della richiesta… ed avesse esaminato l’istanza di concessione prima dell’entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico” (ricorso, pagina 7). E infatti il giudice di prime cure aveva affrontato tale questione, dato che, ovviamente, il Comune su di essa si era specificamente difeso, adducendo che “non sarebbero stati superati i limiti temporali previsti dalla L. n. 398 del 1993, art. 4, per il rilascio del titolo edilizio”: e aveva affermato che “un ritardo sia comunque verificato” (motivazione della sentenza di primo grado, pagine 11-12; e v. pure la disposizione della vicenda processuale nella sentenza di secondo grado, a pagina 5; va precisato che si tratta, in realtà, del D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, art. 4, convertito con modificazioni in L. 4 dicembre 1993, n. 493). E la questione, quindi, era stata devoluta alla corte territoriale nell’appello del Comune, integrando una delle doglianze proposte, il secondo motivo del gravame.

La corte territoriale ha esaminato esclusivamente il primo motivo, attinente appunto all’interpretazione del citato art. 36, comma 5, di cui sopra si è detto, affermando poi che il suo accoglimento “determina l’assorbimento di tutte le altre questioni, oggetto dei restanti motivi di gravame” (motivazione della sentenza impugnata, pagina 16). Il che non è, evidentemente: quando fu decisa, rigettandola, la richiesta del titolo abilitativo, il PRG era cambiato, e rendeva assolutamente inedificabile il lotto di Italcos.

Se, pertanto, il mutamento del PRG non fosse intervenuto oltre la durata stabilita dalla legge per il procedimento, ciò avrebbe reso del tutto irrilevante la sopravvenienza del PTCP durante il procedimento stesso, non potendo certo qualificarsi nè illegittima nè tantomeno illecita l’emanazione di un diverso PRG, dal cui contenuto derivava, a questo punto, la inaccoglibilità della richiesta della concessione edilizia. Qualora, invece, il nuovo PRG fosse sopravvenuto oltre la durata legale del procedimento, avrebbero assunto incidenza le conseguenze del mancato adeguamento del precedente PRG al PTCP.

L’approccio del giudice d’appello, dunque, avrebbe dovuto essere l’inverso di quello adottato. In primis, la corte territoriale avrebbe dovuto verificare se, come addotto in quello che formalmente era stato presentato come secondo motivo di gravame, ma che sostanzialmente il primo, il procedimento era stato adempiuto nel termine di legge, dal momento che era pacifica la vigenza del nuovo PRG – che era pure pacifico avesse reso inedificabile il lotto di Italcos quando fu negato il titolo abilitativo alla società richiedente. Soltanto se questo motivo fosse risultato infondato, si sarebbe dovuto esaminare il motivo attinente all’interpretazione

dell’art. 36, comma 5, cui invece la corte territoriale ha dedicato tutto il suo vaglio.

Comunque, il ricorso non ha veicolato in nessuno dei motivi la questione dell’art. 4, sopra citato, il che, in sostanza, ha reso priva di interesse ogni censura attinente all’interpretazione dell’art. 36, comma 5, delle NTA del PTCP della Provincia di Perugia. Infatti la questione dell’art. 4 non è stata investita da alcun giudicato interno nel senso in cui l’ha risolta il giudice di prime cure, essendo stata oggetto di motivo d’appello da parte del Comune, ed avendo la Corte d’appello operato una “riforma integrale” (così inequivocamente si esprime il dispositivo della sentenza impugnata) della pronuncia del Tribunale.

In realtà, l’attuale ricorrente avrebbe dovuto denunciare che non si era verificata alcuna fattispecie di assorbimento in riferimento a quello che, formalmente, era stato proposto come secondo motivo di gravame, onde la corte territoriale era incorsa in omessa pronuncia. In difetto di una siffatta censura, i motivi versati in relazione all’interpretazione del citato art. 36, comma 5, e sin qui congiuntamente esaminati, non avrebbero patito inammissibilità per difetto di interesse, come invece deve ora dichiararsi: irrilevante a questo punto è il mancato adeguamento al PTCP del PRG vigente al momento della proposta della richiesta se il diniego della concessione edilizia è derivato dal PRG sopravvenuto, quale esito di un procedimento rispettoso dei termini di legge.

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, la peculiarità della vicenda giustificando la compensazione delle spese processuali.

Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

PQM

Rigetta il ricorso compensando le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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