Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12887 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. III, 26/06/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3476/2018 proposto da:

P.D., P.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

NOMENTANA 257, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI,

rappresentati e difesi dall’avvocato SILVIO PITTORI;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore

M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO RIZZO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

sul ricorso 3480/2018 proposto da:

P.D., P.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

NOMENTANA 257, presso lo studio dell’avvocato ANDREA CIANNAVEI,

rappresentati e difesi dall’avvocato SILVIO PITTORI;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO RIZZO, che lo rappresenta e difende;

FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, in persona del Curatore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio

dell’avvocato ANTONIO RIZZO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè da

P.A., P.E., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA VITTORIO EMANUELE II 154, presso lo studio dell’avvocato

VINCENZO SPARANO, rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO

MILAZZO;

– ricorrenti –

avverso la sentenza n. 393/2017 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata

il 08/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha chiesto la riunione dei ricorsi n. 4 e 5 –

Ricorso straordinario P.P. + D.: rigetto – Ricorso

(Ordinario e Straordinario) di P.A. + E.: in via

principale inammissibilità e in subordine rigetto;

udito l’Avvocato ANDREA GIANNAVEI per delega orale;

udito l’Avvocato ANTONIO RIZZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Firenze, con sentenza 8.2.2017 n. 393, ha accolto la domanda di revocatoria ordinaria L. Fall., ex art. 66, proposta dalla Curatela del Fallimento Società (OMISSIS) s.r.l., dichiarando inefficaci nei confronti della massa creditoria gli atti di disposizione compiuti da P.P. ed A., con rogiti in data 2.4.2009 ed in data 26.5.2009, aventi ad oggetto il conferimento della nuda proprietà di alcuni beni immobili (appartamenti ad uso abitativo e terreni a destinazione agricola) nel trust denominato “(OMISSIS)”, con intestazione dei relativi diritti e delle competenze gestionali al trustee, società di diritto neozelandese Intrust Trustees Ltd, e con indicazione dei beneficiari individuati nei rispettivi figli, P.D. ed E., ed in V.D. coniuge del secondo disponente.

Il Giudice di primo grado ha ritenuto: 1- non legittimati i disponenti ed i beneficiari ad eccepire la nullità della notifica della citazione nei confronti del trustee; 2- inammissibile in quanto tardiva e comunque infondata, la eccezione di prescrizione dell’azione revocatoria nei confronti del trustee, proposta con atto notificato in data 11.7.2004, essendo stata interrotta la prescrizione con la tempestiva notifica dell’atto introduttivo agli altri litisconsorti; 3- infondata la richiesta di estromissione della V., in quanto l’intervenuta sentenza di divorzio non incideva sulla indicazione e sulla qualità di beneficiaria; 4-fondata la domanda revocatoria sussistendo tanto l'”eventus damni” quanto la “scientia damni”, agendo il Fallimento a tutela di un credito risarcitorio per “mala gestio” degli amministratori della società per condotte illecite agli stessi contestate e realizzate anteriormente alla stipula dei rogiti, che avevano determinato lo stato di dissesto della società: la pendenza del distinto giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. e L. Fall., art. 146, non impediva infatti la tutela revocatoria, nè rendeva necessaria la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., bene potendo essere dichiarata la inefficacia dell’atto pregiudizievole anche in relazione ad un credito ancora non definitivamente accertato; 5- irrilevante l’accertamento della stato soggettivo dei beneficiari trattandosi di atti a titolo gratuito per la revocatoria dei quali non occorreva la “participatio fraudis”.

La Corte d’appello di Firenze con ordinanza resa alla udienza 17.11.2017 ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., depositata in data 20.11.2017, ha dichiarato inammissibile l’atto di appello proposto da P.A., E., P. e D. i quali hanno proposto distinte impugnazioni.

P.P. e D. hanno proposto ricorso per cassazione “per saltum”, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza del Tribunale: la causa è stata iscritta al RG n. 3476/2018 della Cancelleria di questa Corte.

Con autonomo ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, affidato a due motivi, P.P. e D. hanno impugnato la ordinanza dichiarativa di inammissibilità dell’appello pronunciata dalla Corte d’appello, ed anche P.A. ed E. hanno impugnato con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, affidato ad un unico motivo, e con ricorso per cassazione ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, affidato a due motivi, entrambi i provvedimenti giudiziali di prime e seconde cure: la causa è stata iscritta al RG n. 3480/2018 della Cancelleria di questa Corte.

Il Fallimento della Società (OMISSIS) s.r.l. ha resistito, con controricorso, in entrambi i giudizi.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte instando per l’accoglimento dei ricorsi straordinari per cassazione, previa riunione delle cause.

P.P. e D. hanno depositato, in entrambi i giudizi, memorie illustrative ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Alla adunanza in data 28.5.2019, il Collegio attesa la rilevanza nomofilattica delle questioni prospettate con i riscorsi straordinari per cassazione ha disposto con ordinanza interlocutoria il rinvio della causa a nuovo ruolo per essere discussa in pubblica udienza.

Il Fallimento (OMISSIS) s.r.l. ha depositato, in entrambe le cause, memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Preliminarmente va disposta la riunione, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., della causa iscritta al RG n. 3480/2018, a quella anteriormente iscritta al RG n. 3476/2018, avendo entrambe ad oggetto plurime impugnazioni proposte, rispettivamente, avverso la medesima ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., della Corte d’appello di Firenze ed avverso la medesima sentenza del Tribunale di Firenze n. 393/2017.

1.1 Il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso.

Tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 1690 del 18/02/1991; id. Sez. 2, Sentenza n. 3004 del 17/02/2004; id. Sez. 2, Ordinanza n. 26622 del 06/12/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 16221 del 16/07/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 2516 del 09/02/2016).

1.2 Qualora poi i ricorsi avverso la medesima sentenza abbiano dato luogo a distinte cause iscritte a ruolo l’impugnazione proposta per prima assume caratteri ed effetti d’impugnazione principale e determina la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti, con la conseguenza che il ricorso per cassazione, validamente ed autonomamente proposto dopo che altro ricorso sia stato già notificato ad iniziativa della controparte, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale, semprechè siano stati rispettati i relativi termini (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 26723 del 13/12/2011).

1.3 Nella specie il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7 – avverso la ordinanza di inammissibilità della Corte d’appello di Firenze in data 17/20.11.2017 – proposto da P.P. e D. risulta notificato il 15.1.2018, in data anteriore quindi a quello, da qualificarsi – pertanto – incidentale autonomo essendo stati osservati i termini ex artt. 370 e 371 c.p.c., proposto avverso la medesima ordinanza da P.A. e E., notificato in data 19.1.2018.

Analogamente il ricorso ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, proposto da P.P. e D., avverso la sentenza del Tribunale Ordinario di Firenze, in data 8.2.2017 n. 393, risulta notificato in data 17.1.2018, mentre il ricorso “per saltum” proposto da P.A. ed E. avverso la medesima sentenza del Tribunale, risulta notificato successivamente, in data 19.1.2018, e dunque risultando osservati i termini di cui agli artt. 370 e 371 c.p.c. va qualificato come ricorso incidentale autonomo.

p. 2. Occorre rilevare preliminarmente che le questioni pregiudiziali

prospettate con le ordinanze interlocutorie che disponevano il rinvio delle cause per essere discusse in pubblica udienza non hanno trovato idonea risposta neppure all’esito della discussione orale.

2.1 In particolare le parti ricorrenti “per saltum” nella causa RG 3476/2018, P.P. e D., hanno depositato la cartolina AR della notifica effettuata a mezzo posta, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., al trustee, in data 24.1.2018, presso il domicilio in (OMISSIS) – indicato dagli stessi costituenti il Trust – dalla quale emerge che non è stato possibile consegnare l’atto in quanto la società Intrust Trustees (New Zeland Limited) risultava “sconosciuta”.

2.1.1 Alcun rinnovo della notifica del ricorso per saltum, viziata da nullità, era stato poi effettuato nei confronti di V.D..

2.2 Quanto alla causa iscritta al RG n. 3480/2018, nessuna delle parti ricorrenti aveva dato seguito alle attività di integrazione del contraddittorio nei confronti del trustee (ricorso straordinario principale di P.P. e D.; ricorso straordinario incidentale e ricorso incidentale “per saltum” di P.A. ed E.) e della V. (riscorso straordinario principale) evidenziate nella relativa ordinanza interlocutoria di questa Corte.

2.3 Ritiene, tuttavia il Collegio che non occorre procedere preventivamente all’esame di tali questioni pregiudiziali, così come del pari la questione concernente la tempestività della proposizione dei ricorsi straordinari e per saltum di P.A. ed E. rispetto al termine di decadenza della impugnazione decorrente dalla data della lettura in udienza della ordinanza della Corte d’appello dichiarativa della inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., potendo essere definiti i giudizi riuniti in base alla “ragione più liquida”.

p. 3. Assume carattere logicamente preliminare l’esame del ricorso straordinario per cassazione, proposto invia principale da P.P. e D. (RG 3480/2018), avverso la ordinanza della Corte d’appello di Firenze dichiarativa di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c..

3.1 I ricorrenti deducono la nullità della ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., per violazione degli artt. 102,331,348 bis e ter c.p.c., art. 350 c.p.c., sostenendo che i Giudici di appello non avrebbero potuto pronunciare sulla inammissibilità della impugnazione, in difetto di rituale costituzione del contraddittorio, in quanto non risultava regolarmente citata la società neozelandese Intrust Trustees Ltd – che rivestendo la qualità di “trustee” doveva ritenersi litisconsorte necessario – ed avendo chiesto inutilmente, gli stessi appellanti, alla prima udienza, termine per il rinnovo della notifica dell’atto di impugnazione.

3.2 Il motivo supera il vaglio di ammissibilità.

3.2.1 Priva di fondamento e solo defatigatoria è, infatti, la eccezione di inammissibilità del ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, proposta dal Fallimento, in relazione alla asserita mancanza di “definitività” della ordinanza prognostica di inammissibilità, sull’assunto – non condiviso dal Collegio – di una nozione di “definitività” sostanzialmente coincidente con – quella di “decisorietà”, ipotesi avanzata inizialmente nel precedente di questa Corte Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8940 del 17/04/2014, ma, successivamente, esplicitamente disattesa dalla sentenza delle Sezioni Unite (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 1914 del 02/02/2016), cui questo Collegio aderisce, secondo cui la “definitività” di un provvedimento – in rito o di merito – va ricollegata esclusivamente all’esaurimento dei rimedi impugnatori apprestati dall’ordinamento, prescindendo, quindi, dalla sua idoneità al giudicato sostanziale (del tutto inconferente è, invece, il richiamo del Fallimento all’altro precedente di questa Corte Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 19944 del 22/09/2014 che afferma il principio per cui “quando l’ordinanza di inammissibilità ex art. 348-ter c.p.c., venga emanata entro il suo ambito applicativo proprio (ndr ossia in esito alla valutazione prognostica negativa dei motivi di gravame, e tale valutazione venga ad essere contestata dalla parte), non vi è spazio per un’autonoma ricorribilità per cassazione della stessa, neppure con il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost. (in quanto)… una volta emessa l’ordinanza di inammissibilità, il ricorso per cassazione può essere rivolto avverso il provvedimento di primo grado, secondo quanto dispone l’art. 348-ter, comma 3”: risulta, infatti, del tutto evidente la inapplicabilità di tale principio al “ricorso straordinario per cassazione”, mezzo di impugnazione attraverso il quale non si contesta la valutazione prognostica sul merito, compiuta dal Giudice di appello, ma il vizio di nullità procedimentale o la invalidità strutturale del provvedimento).

Se è pur vero che la norma processuale dell’art. 348 ter c.p.c., introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), conv. in L. n. 134 del 2012, individua quale oggetto della impugnazione soltanto il “provvedimento di primo grado”, con ciò intendendo negare una impugnazione “ordinaria” diretta a criticare la valutazione prognostica resa “ex ante” dalla Corte d’appello, e se non pare dubbio che la ordinanza della Corte d’appello dichiarativa della inammissibilità dell’atto di appello, giusta il sistema normativo che la disciplina, non è idonea ad acquistare efficacia di giudicato quanto alla situazione giuridica sostanziale controversa, attesa la espressa previsione di impugnabilità del provvedimento di primo grado, pur tuttavia questa Corte ha ritenuto di dovere individuare specifici e limitati casi in cui la ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., comma 1, può essere impugnata con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, in quanto, diversamente, potrebbero determinarsi pregiudizi inemendabili per la parte che, a fronte di un provvedimento invalido quanto a requisiti legali costitutivi essenziali, si vedrebbe precluso “in limine” il riesame della causa di merito.

Tali casi sono stati ravvisati esclusivamente negli “errores in procedendo” afferenti la stessa ordinanza (estranei alla ipotesi di violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la delibazione sul “fumus boni juris” dell’atto di appello è onnicomprensiva e non si dirige specificamente a ciascun singolo motivo di gravame) ed attinenti sia ad i limiti legali di esercizio del potere che alla disciplina del procedimento descritto negli artt. 348 bis e ter c.p.c.: vizi processuali in cui sia incorso il Giudice di appello e che l’appellante non potrebbe altrimenti far valere in sede impugnazione della sentenza di primo grado (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 20758 del 04/09/2017; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 20861 del 21/08/2018).

3.2.2. Del pari infondata è la medesima eccezione di inammissibilità, sollevata dal Fallimento, sul presupposto della omessa trascrizione, nel ricorso straordinario, dei motivi di gravame dedotti con l’atto di appello dichiarato inammissibile. Il principio che viene invocato dal controricorrente non concerne, infatti, il ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, proposto averso la ordinanza della Corte d’appello, ma trova applicazione con esclusivo riferimento al ricorso per cassazione proposto “per saltum” ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3 e che può accedere all’esame della Corte soltanto nel caso in cui il ricorrente abbia assolto all’onere, della integrale trascrizione dei motivi di gravame dedotti con l’atto di appello dichiarato inammissibile dalla Corte distrettuale ex art. 348 bis c.p.c., comma 1, in quanto adempimento prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) e ritenuto indispensabile per consentire a questa Corte di effettuare il controllo in ordine alla insussistenza di un giudicato interno, per omessa impugnazione in grado di appello, formatosi sulle statuizioni della sentenza di primo grado, sottoposte al vaglio del giudice di legittimità (cfr. Corte Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 8942 del 17/04/2014; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 10722 del 15/05/2014; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 6140 del 26/03/2015; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 18623 del 22/09/2016; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 26936 del 23/12/2016).

3.3 Il primo motivo (“nullità della ordinanza per violazione degli artt. 102,331,348 bis e ter, 350 c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) dedotto con il ricorso straordinario per cassazione è fondato.

L’assunto difensivo dei ricorrenti si sostanzia nella tesi secondo cui l’attività di controllo della rituale costituzione del contraddittorio deve, comunque, precedere la pronuncia prognostica ex art. 348 bis c.p.c., ed in difetto di tale previa verifica, la pronuncia – resa in carenza di contraddittorio regolarmente instaurato con una delle parti processuale rivestenti la qualità di litisconsorte necessario – deve ritenersi “inutiliter data”, attesa l’oggettiva inidoneità della decisione a produrre effetti nei confronti di tutti i soggetti coinvolti in una situazione giuridica unitaria e plurilaterale: con la conseguenza che il vizio, non sanato con la integrazione successiva del contraddittorio, determina la nullità dello stesso procedimento e del provvedimento che lo definisce.

Assume, di contro, la difesa del Fallimento che, dall’espresso tenore della norma di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 1, che dispone “all’udienza di cui all’art. 350, il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’art. 348 bis, comma 1…”, si evincerebbe la volontà del Legislatore di collocare “ante omnia” la fase di delibazione di manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione, e solo nel caso in cui tale valutazione preliminare non risulti preclusiva dello svolgimento del processo il Giudice di appello sarebbe tenuto a procedere alle verifiche pregiudiziali e preliminari di rito e quindi alla trattazione del giudizio.

3.3.1. L’elemento cardine sul quale poggia la ricostruzione del sistema normativo sottoposto all’esame di questa Corte è la qualità di litisconsorte necessario del “trustee” nel giudizio revocatorio ex art. 2901 c.c., in quanto “soggetto che dispone del diritto a lui formalmente intestato” ed unico responsabile degli atti di disposizione del diritto, nei rapporti con i terzi (ex pluribus, Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 28363 del 22/12/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 10105 del 09/05/2014; id. Sez. 5, Sentenza n. 25478 del 18/12/2015; id. Sez. 3, Sentenza n. 2043 del 27/01/2017; id. Sez. 3, Sentenza n. 19376 del 03/08/2017; id. Sez. 3, Sentenza n. 13388 del 29/05/2018).

Non può, pertanto, essere condivisa la diversa lettura delle norme prospettata dal Procuratore Generale nella requisitoria orale, il quale ha inteso dare seguito alla tesi generale, concernente la rilevanza della integrità del contraddittorio, esposta nelle conclusioni scritte rassegnate nella fase del procedimento svoltosi con adunanza non partecipata, divergendo poi da essa, nell’esame della fattispecie concreta, sostenendo, da un lato che al trustee non dovrebbe riconoscersi la qualità di litisconsorte necessario nel giudizio revocatorio ex art. 2901 c.c. e che, dall’altro, in ogni caso, non sussisterebbe la esigenza ex art. 331 c.p.c., della partecipazione necessaria del trustee anche alla fase valutativa prognostica dell’atto di appello, non potendo escludersi che la norma, con la espressione “sentite le parti”, abbia inteso riferirsi soltanto a quelle effettivamente già costituite e non anche alle altre parti, e ben potendo applicarsi anche in tale fase il principio di elaborazione giurisprudenziale cd. della “ragione più liquida”.

3.3.2. Il “thema decidendum”, come definito dal motivo di ricorso, richiede di esaminare:

a) la relazione ordinatoria che intercorre tra le questioni pregiudiziali e le questioni di merito, come configurata dalle norme processuali che regolano il procedimento di valutazione prognostica dell’atto di appello;

b) le eventuali deroghe a tale relazione, determinate dalla speciale disciplina del cd. filtro al giudizio di appello.

Occorre premettere che l'”ordine logico di trattazione” delle diverse questioni pregiudiziali e di merito – che il Giudice è tenuto ad esaminare secondo una sequenza di passaggi logico-giuridici strumentali ed indispensabili alla realizzazione dello scopo cui tende il processo volto ad assicurare in tempi ragionevoli la tutela del diritto controverso, mediante una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale, direttamente od indirettamente, dedotta in giudizio – trova riscontro normativo nell’art. 276 c.p.c., comma 2, relativo al giudice collegiale (applicabile al giudice monocratico in virtù degli artt. 281 bis e 281 quater c.p.c., al giudice di appello in base all’art. 131 disp. att. c.p.c., ed alla Corte di cassazione stante la previsione dell’art. 141 disp. att. c.p.c.) ed assolve alla funzione di garantire la efficiente tenuta dell’esercizio della “potestas decidendi”, evitando il “trascinamento occulto”, nei diversi gradi del giudizio, del vizio processuale insanabile rilevabile anche “ex officio”- che, eccepito dalla parte interessata “secundum eventum litis”, verrebbe a vanificare e travolgere l’intera attività giudiziale fino allora svolta, o comunque verrebbe a far regredire il processo – ove fosse ancora consentito – alla fase inziale del primo grado di giudizio (vedi: Corte Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25254 del 25/10/2017 secondo cui è possibile rinvenire nell’ordinamento processuale -interpretato alla stregua delle norme costituzionali sopra richiamate- il fondamento di un vincolo per il Giudice di merito nell’ordine di esame delle questioni pregiudiziali e di merito, non limitato al disposto dell’art. 276 c.p.c., comma 2, ma esteso anche all’interno di ciascun gruppo di questioni, in quanto risulta funzionale alla realizzazione del “giusto processo” ed alla attuazione dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo – artt. 97 e 111 Cost., dovendo stigmatizzarsi il frazionamento delle decisioni sulle questioni “pregiudiziali di rito” e “preliminari di merito” ritualmente dedotte o rilevate).

Allo scopo di eliminare il rischio di lungalatenza del vizio processuale insanabile, capace di demolire o far regredire l’intero giudizio alla fase iniziale, la giurisprudenza di questa Corte ha fatto leva sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo “cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia” (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 18125 del 13/09/2005; vedi: Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 1521 del 23/01/2013 che subordina il provvedimento di riunione delle cause, comunque, alle ragioni di economia processuale), da un lato, sterilizzando i vizi di nullità processuale non tempestivamente fatti valere o rilevati – attraverso il giudicato Implicito sulla questione pregiudiziale formatosi in conseguenza della omessa impugnazione della pronuncia espressa resa sulla domanda di merito e rispetto alla quale la soluzione della questione pregiudiziale si pone in relazione di implicazione necessaria (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 24883 del 09/10/2008; id. Sez. U, Sentenza n. 29523 del 18/12/2008); dall’altro lato, giustificando la decisione adottata in base alla “ragione più liquida”, in quanto rispondente al criterio per cui l’ordine di trattazione delle questioni pregiudiziali processuali e preliminari di merito può essere postergato dal Giudice – in conformità ad una interpretazione dell’art. 276 c.p.c., costituzionalmente orientata all’art. 111 Cost., comma 1, volta ad evitare inutili sprechi di attività processuale che incidono sulla durata del processo – laddove sussista la possibilità di pervenire direttamente ad una pronuncia definitoria dell’intero giudizio, senza arrecare pregiudizio alcuno alle ragioni delle parti (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 9936 del 08/05/2014; id. Sez. 6-L, Sentenza n. 12002 del 28/05/2014), essendo stato ancora di recente ribadito che “il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti”. Di conseguenza in presenza di un ricorso “prima facie” infondato, “appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti” (cfr. Corte Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 12515 del 21/05/2018; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 16141 del 17/06/2019).

3.3.3 In relazione proprio a tale ultimo aspetto – e cioè alla assenza di un pregiudizio al diritto di difesa delle parti ex art. 24 Cost. – trova il suo limite giustificativo la deroga alla rilevabilità ex officio dei vizi di nullità insanabili del processo, come individuati nel precedente di Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 26019 del 30/10/2008 secondo cui “Il potere di controllo delle nullità (non sanabili o non sanate), esercitabile in sede di legittimità, mediante proposizione della questione per la prima volta in tale sede, ovvero mediante il rilievo officioso da parte della Corte di cassazione, va ritenuto compatibile con il sistema delineato dall’art. 111 Cost., allorchè si tratti di ipotesi concernenti la violazione del contraddittorio – in quanto tale ammissibilità consente di evitare che la vicenda si protragga oltre il giudicato, attraverso la successiva proposizione dell’actio nullitatis o del rimedio impugnatorio straordinario ex art. 404 c.p.c., da parte del litisconsorte pretermesso – ovvero di ipotesi riconducibili a carenza assoluta di “potestas iudicandi” – come il difetto di legitimatio ad causam o dei presupposti dell’azione, la decadenza sostanziale dall’azione per il decorso di termini previsti dalla legge, la carenza di domanda amministrativa di prestazione previdenziale, od il divieto di frazionamento delle domande, in materia di previdenza ed assistenza sociale (per il quale la legge prevede la declaratoria di improcedibilità in ogni stato e grado del procedimento) -; in tutte queste ipotesi, infatti, si prescinde da un vizio di individuazione del giudice, poichè si tratta non già di provvedimenti emanati da un giudice privo di competenza giurisdizionale, bensì di atti che nessun giudice avrebbe potuto pronunciare, difettando i presupposti o le condizioni per il giudizio” (costanti sono le pronunce in tema di nullità del procedimento e del provvedimento, reso in difetto del contraddittorio, in violazione dell’art. 102 c.p.c.: Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8225 del 11/04/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 23572 del 17/10/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 18496 del 21/09/2015; id. Sez. 1, Sentenza n. 3621 del 24/02/2016).

Si è, infatti, osservato come, in assenza di alcun pregiudizio per la parte pretermessa, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost., impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o di una manifesta infondatezza dello stesso, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio (cfr. Corte Cass. Sez. U., Ordinanza n. 22818 del 24/10/2006; id. Sez. U., Ordinanza n. 6826 del 22/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 690 del 18/01/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 19630 del 3.10.2016, in motivazione).

3.3.4 Tanto premesso, si tratta di verificare se gli indirizzi giurisprudenziali sopra richiamati possano essere calati anche nel procedimento di delibazione sommaria, delineato dal Legislatore della “semplificazione ed accelerazione del processo”, ed in che limiti debba essere intesa – nell’ambito della sequenza delle fasi processuali – la limitazione cronologica, espressamente prevista, al cd. filtro preliminare all’accesso al grado di appello, dagli artt. 348 bis e ter c.p.c. (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134), essendo richiesto dalla norma che tale accertamento di ammissibilità preceda inderogabilmente la “trattazione” della causa che è, invece, disciplinata dall’art. 350 c.p.c..

Ritiene il Collegio che la soluzione esegetica propugnata dal Fallimento, fondata sull’argomento funzionale, desunto dalla “ratio legis” della riforma legislativa del 2012, avente l’obiettivo di deflazionare il processo, secondo cui tutte le verifiche delle “questioni pregiudiziali” ed i relativi provvedimenti da assumere alla udienza di trattazione dal Giudice di appello, debbano essere postergati – sempre e comunque – alla delibazione sulla inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., possa trovare accoglimento nei soli limiti in cui non venga a porsi irrimediabilmente in conflitto con valori assoluti tutelati dalla Costituzione, quali la garanzia dell’esercizio del diritto di difesa della parte in giudizio e l’effettività della tutela giurisdizionale.

Occorre considerare che la opzione legislativa intesa a qualificare la pronuncia prognostica sulla infondatezza dei motivi di gravame come pronuncia “in limine” di rito (inammissibilità: art. 348 bis c.p.c., comma 1), inidonea a determinare l’effetto sostitutivo della decisione di prime cure e dunque insuscettibile di passaggio in giudicato, è strettamente correlata alla espressa prescrizione normativa secondo cui la valutazione di inammissibilità dell’appello deve essere compiuta “prima di procedere alla trattazione, sentite le parti” (art. 348 ter c.p.c., comma 1). Poichè nel giudizio di appello, alla udienza di trattazione ex art. 350 c.p.c., il Collegio -o il giudice monocratico-deve espletare gli accertamenti preliminari indicati nel secondo e comma 3, adottando i conseguenti provvedimenti (1- verifica la regolare costituzione del giudizio; ed ove occorra: 2- ordina la integrazione del contraddittorio ex artt. 331 e 332 c.p.c.; 3- dispone la rinnovazione della notifica dell’atto di appello; 4- dichiara la contumacia dell’appellato; 5- provvede alla riunione degli appelli proposti avverso la medesima sentenza; 6- rocede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorra, la comparizione personale delle parti), potrebbe trarsi la conclusione che il Legislatore, fissando il termine per la valutazione prognostica “prima” di tali adempimenti, abbia avuto l’intento assolutamente prioritario di sottrarre energie processuali al compimento di quelle verifiche pregiudiziali – pure altrimenti essenziali, in quanto idonee, se negative, ad impedire lo stesso svolgimento del giudizio – che si rivelerebbero del tutto inutili ove l’appello risultasse “prima facie” inaccoglibile: se così fosse si dovrebbe pervenire ad affermare che la fase del filtro è anteposta allo stesso rapporto processuale, in quanto si risolverebbe in una verifica “interna” preprocessuale che vedrebbe come unici interlocutori la parte appellante ed il Giudice.

3.3.5 Ritiene il Collegio che tale conclusione non possa essere accolta – non apparendo dirimente il criterio ermeneutico letterale tratto dal mero elemento cronologico indicato dell’art. 348 ter c.p.c., comma 1 – per le seguenti ragioni che concorrono ad evidenziare ed a chiarire l’ineludibile esigenza della corretta instaurazione del contraddittorio già nella fase del filtro, non essendo diversamente interpretabile l’apparente antitesi “prima della trattazione” e “sentite le parti”.

A-) L’art. 348 ter c.p.c., al comma 2, dispone che la ordinanza è pronunciata “solo quando, sia per la impugnazione principale che per quella incidentale di cui all’art. 333, ricorrono i presupposti di cui dell’art. 348 bis, comma 1”, con ciò presupponendo – riferendosi all’ordinario svolgimento del processo – la regolarità degli atti introduttivi del giudizio di appello ed, in particolare, la regolare attuazione degli adempimenti connessi alla “vocatio in jus” dell’appellato, in relazione tanto (ove effettuata) alla notifica della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per proporre impugnazione, quanto alla valida notifica dell’atto di appello, idonea a determinare per il destinatario la insorgenza dei termini di decadenza previsti dagli artt. 333 e 343 c.p.c.. Ne segue che il riferimento, contenuto nella disposizione processuale, ad un atto (appello incidentale) proprio dell’appellato ed innescato dalla rituale notifica dell’appello principale, induce a ritenere che la corretta instaurazione del contraddittorio costituisca necessario presupposto per il vaglio del filtro, non essendo coerente ipotizzare che la norma abbia inteso limitare la estensione della pronuncia prognostica alle impugnazioni incidentali proposte soltanto da quelle parti destinatarie di una “rituale” notifica dell’appello principale od ancora abbia inteso riferirsi all’evento, del tutto eccentrico e marginale, della autonoma iniziativa della parte che proponga prima ancora di avere ricevuto la consegna dell’atto di appello notificatole dal primo impugnante – una distinta impugnazione avverso la medesima sentenza che – in quanto cronologicamente successiva – viene a qualificarsi per ciò stesso incidentale, pretermettendo – in modo del tutto irragionevole – di tenere conto anche del diritto, spettante alle altre parti – cui la notifica della impugnazione principale fosse stata del tutto omessa od invalidamente eseguita – di proporre autonome impugnazioni incidentali, tanto più se tali parti rivestissero la qualità di litisconsorti necessari, in quanto coinvolte nel medesimo unico rapporto controverso, od in quanto parti in cause inscindibili.

B-) L’art. 348 bis c.p.c., comma 1, dispone che la impugnazione “Fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l’inammissibilità o la improcedibilità dell’appello”, è dichiarata inammissibile con ordinanza “quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”. Tale disposizione non definisce una gerarchia nell’ordine logico di esame delle questioni pregiudiziali in relazione al tipo di provvedimento definitorio, nè definisce tanto meno una obbligatoria scansione tra fasi processuali volta a riservare ad una apposita udienza l’esame della prognosi di ammissibilità – merito dell’atto di appello: l’esplicito richiamo alle altre pronunce di inammissibilità od improcedibilità previste dagli artt. 325-327, 342 e 348 c.p.c., che richiedono l’esaurimento delle attività di verifica delle questioni “litis ingressum impedientes” da svolgere alla “udienza di trattazione” e – se negative – comportano l’invito alle parti a precisare le proprie conclusioni (art. 352 c.p.c., comma 1), non consente di espungere la fase relativa al vaglio di ammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. dalla “udienza di trattazione” ex art. 350 c.p.c., collocandola in una fase anticipata e comunque “al di fuori” di tale udienza (come peraltro appare confermato dall’incipit dell’art. 348 ter c.p.c., comma 1, “Alla udienza di cui all’art. 350, il giudice, prima di procedere alla trattazione….”), se non altro perchè il provvedimento di inammissibilità – merito deve essere adottato con ordinanza nel contraddittorio delle parti (“sentite le parti”) e la previsione di una udienza diversa ed “anticipata” rispetto a quella di trattazione, verrebbe a contrastare con lo stesso scopo di semplificazione ed accelerazione perseguito dalla riforma legislativa del 2012.

L’inciso iniziale della disposizione processuale di cui all’art. 348 bis c.p.c. (“Fuori dei casi in cui…”), si limita infatti ad evidenziare soltanto la differente tipologia provvedimentale che caratterizza le diverse pronunce in rito, terminative del processo di secondo grado, da adottare nella forma della ordinanza o della sentenza in relazione a ciascuno dei diversi “casi”: la ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., è provvedimento diverso dalle altre pronunce di inammissibilità e di improcedibilità dell’appello (ex artt. 325,327,342 c.p.c.), da adottare “in limine” alla medesima “udienza di trattazione”, come emerge dell’art. 348 ter c.p.c., comma 1, che richiede però che il vaglio-filtro preceda la “successiva” attività di “trattazione” – in senso stretto – della causa (art. 348 ter c.p.c., comma 1, “….prima di procedere alla trattazione”).

E’ necessario, quindi, intendersi sul significato da attribuire a tale espressione normativa, dovendo individuarsi quali tra le attività demandate al Giudice di appello, alla udienza ex art. 350 c.p.c., debbano – e possano essere ritenute residuali rispetto alla valutazione prognostica del filtro di ammissibilità ex art. 348 bis c.p.c..

C-) Questa Corte nell’esaminare la diversa questione attinente la sovrapponibilità dell’oggetto della pronuncia prognostica di inaccoglibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c., con quello della pronuncia sulla misura cautelare – relativo alla valutazione del “fumus boni juris” dei motivi di impugnazione – resa alla adunanza camerale ex art. 351 c.p.c., comma 3, sulla istanza di sospensione di efficacia esecutiva della sentenza di primo grado ex art. 283 c.p.c., ha osservato, fornendo un’ampia ricostruzione del sistema, che “La riforma del 2012 – diretta come le precedenti novelle del 2006 e del 2009 a introdurre nel sistema giustizia civile, in rispetto dei valori costituzionali e delle reali esigenze tanto pubbliche quanto private, una semplificazione acceleratoria – ha inserito nella preesistente struttura dell’appello gli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., per aggiungere, a quelle di dichiarazione con sentenza di inammissibilità dell’appello per motivi di diritto e di improcedibilità dell’appello, una – antecedente nella sequenza procedurale – fattispecie di dichiarazione “con ordinanza succintamente motivata” di inammissibilità di merito Questa valutazione è collocata “all’udienza di cui all’art. 350”, e precisamente “prima di procedere alla trattazione, sentite le parti” la valutazione dell’ammissibilità dell’appello sotto il profilo prognostico del merito non è rimessa a una scelta discrezionale di opportunità del giudice o a un’istanza dell’appellato, bensì (art. 348 bis, comma 1) è oggetto di un vaglio dal quale il giudice comunque non può distogliersi, venendo a completare la parimenti obbligatoria verifica di rito sull’ammissibilità e sulla procedibilità. Non è pertanto qualificabile come un nuovo elemento frutto di un impulso di parte o di un’iniziativa ufficiosa, bensì è riconducibile alle obbligatorie verifiche da cui prende le mosse la concreta vicenda procedurale proprio perchè, allora, questo vaglio dell’ammissibilità dell’appello in punto di merito si trova ontologicamente in limine sarebbe senz’altro illegittimo, dopo avere già avviato la “trattazione stricto sensu”, regredire per rivalutare questa questione preliminare, già decisa, anche implicitamente, nel senso della ammissibilità procedendo oltre la fase delle verifiche iniziali: esplicito è al riguardo l’art. 348 ter, che al comma 1 stabilisce che la decisione sull’inammissibilità “di merito” deve essere presa “prima di procedere alla trattazione”, identificando così un insuperabile punto di arrivo che conferisce una stabilità procedurale, di natura in senso lato preclusiva.” (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12293 del 15/06/2016, in motivazione).

La Corte nella sentenza in rassegna è pervenuta, quindi, a concludere che, attenendo entrambi i provvedimenti ad una medesima valutazione inerente il “fumus boni juris” della impugnazione, l’eventuale anticipazione del vaglio-filtro (dalla udienza di trattazione) alla adunanza camerale fissata ai sensi

– dell’art. 351 c.p.c., comma 3, non violasse la garanzia del contraddittorio;

– essendo comunque assolto l’obbligo di sentire le parti, andando in conseguenza esente da vizi per “errores in procedendo” la ordinanza della Corte territoriale non adottata “alla” udienza di trattazione ex art. 350 c.p.c., ma comunque “prima” della trattazione (Corte Cass. n. 12293/2016 cit.).

La questione esaminata nel precedente di legittimità è strettamente rilevante alla soluzione della questione posta avanti questo Collegio, atteso che se è pur vero che l’adunanza camerale di cui all’art. 351 c.p.c., comma 3, costituisce una fase meramente eventuale e potrebbe anche non tenersi, è altrettanto vero che qualora, invece, venga fissata l’adunanza camerale, si richiede comunque la previa notificazione del ricorso per la “comparizione delle parti” e dunque la necessaria integrità del contraddittorio (indipendentemente dal rilievo che questa sia richiesta per la fase del subprocedimento incidentale introdotto dalla istanza di sospensione, e venga tenuta distinta dalla integrità del contraddittorio nel successivo giudizio di appello), essendo pertanto imposto al Giudice di verificare eventuali nullità o difetti della notifica del ricorso, ordinandone la rinnovazione ed indicando i litisconsorti pretermessi. E non pare dubbio, allora, che risulta del tutto incompatibile l’ipotesi – formulata sull’assunto che le parti da “sentire” ex art. 348 ter c.p.c., siano solo quelle ritualmente citate – di una diversa considerazione della integrità del contraddittorio nella adunanza camerale ex art. 351 c.p.c., comma 3, ed invece nella fase del filtro di ammissibilità alla udienza di trattazione ex art. 348 ter c.p.c., comma 1 e art. 350 c.p.c., ipotesi che oltre a non trovare alcuna giustificazione logica o sistematica, esporrebbe la norma processuale sul filtro a fondati rilievi di illegittimità costituzionale. Tenuto conto, pertanto, che il vaglio di ammissibilità – merito è collocato alla udienza di trattazione e quindi “all’interno” e non “fuori e prima” del giudizio di appello, il limite cronologico previsto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 1 (“prima di procedere alla trattazione”) non può ritenersi assoluto ma deve essere necessariamente ridimensionato, non potendo essere riferito al compimento di tutte indistintamente quelle attività di verifica pregiudiziale o preliminari che sono contemplate dall’art. 350 c.p.c., rimanendo sottratte quelle attività, indicate dell’art. 350 c.p.c., comma 2, indispensabili a controllare e realizzare la corretta instaurazione del contraddittorio tra tutte le parti che debbono partecipare al giudizio di appello.

D-) Un corretto inquadramento dello strumento processuale previsto dall’art. 348 bis c.p.c., non può prescindere dalla considerazione che tanto il vaglio-filtro, quanto le altre pronunce di inammissibilità previste per gli “altri casi” (la pronuncia di inammissibilità per difetto di specificità ex art. 342 c.p.c., ed ex art. 345 c.p.c., comma 1; od ancora per difetto di legittimazione attiva della parte appellante non soccombente; o per carenza di interesse, non essendo state investite tutte le diverse “rationes decidendi” idonee a sostenere il capo di sentenza impugnato), hanno ad oggetto i medesimi motivi dell’atto di appello, e più esattamente la capacità “a monte” di tali motivi di veicolare un nuovo giudizio di merito. Tale circostanza tende a rendere meramente teorica la postergazione delle altre attività di verifica pregiudiziale e preliminare (tra cui anche la verifica della competenza ex art. 341 c.p.c.) rispetto alla valutazione prognostica di inaccoglibilità dell’appello: non pare dubbio, infatti, che, nella pratica, il Giudice di merito, alla udienza di trattazione, verrà ad esaminare il fumus boni juris dei motivi di gravame in quanto, sulla base degli stessi elementi di valutazione, si riconosca anche competente a conoscere della impugnazione; l’appellante si sia costituito tempestivamente (art. 348 c.p.c.); i motivi appaiano sufficientemente specifici e comprensibili e non introducano domande od eccezioni nuove (diversamente non potendo il Giudice di merito che risolversi a pronunciare la inammissibilità ex artt. 342 o 345 c.p.c.), ed investano compiutamente le “rationes decidendi” sui capi impugnati (verifica del giudicato interno rispetto al “quantum devolutum”). Il frazionamento tra le diverse attività relative al filtro ed alle predette verifiche pregiudiziali, fondato su una rigida sequenza gerarchica tra le stesse, imposto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 1, può apparire allora appare del tutto enfatico ed il limite cronologico indicato nella norma (“prima della trattazione”) sembra più che stabilire un ordine gerarchico tra le questioni pregiudiziali, soltanto fornire al Giudice un’ulteriore “opzione” di definizione del giudizio di appello, da preferire ove le altre verifiche pregiudiziali richiedano una maggiore complessità di indagine (o, nel caso ad esempio dell’art. 342 c.p.c., vengano a precludere, per difetto di specificità, soltanto uno o soltanto alcuni tra plurimi motivi di gravame).

In tale caso la “opzione” viene ad essere rimessa al Giudice in base a mere ragioni di convenienza e speditezza nell’esame delle diverse questioni pregiudiziali processuali, tutte egualmente incidenti sulle condizioni di accesso dei motivi di appello all’esame del merito, dovendo quindi escludersi che la norma sia espressione di una scelta legislativa volta a costruire il filtro prognostico come autonomo procedimento rispetto al giudizio di appello, disciplinato secondo criteri del tutto indipendenti rispetto alla verifica delle questioni pregiudiziali inerenti quel giudizio e che attribuiscono assoluta prevalenza allo scopo acceleratorio e deflattivo dei processi di impugnazione, a discapito anche delle esigenze attinenti alla regolare costituzione del contraddittorio (e dunque delle attività previste dall’art. 350 c.p.c., comma 2), e dovendo, piuttosto, riconoscersi alla disposizione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 1, una funzione di “normativizzazione” del principio giurisprudenziale di definizione del processo in base alla “ragione più liquida”, che, come è stato posto in rilievo precedentemente, può trovare applicazione esclusivamente laddove non risulti in alcun modo pregiudicato l’interesse sostanziale ed il diritto di difesa delle altre parti in causa: con la conseguenza che la norma processuale, nella parte in cui prescrive che la valutazione prognostica sull’ammissibilità-merito dell’atto di appello debba prescindere dalla attività di trattazione, non può sottrarsi alla interpretazione costituzionalmente orientata all’art. 24 Cost. (nella sua applicazione processuale di cui all’art. 101 c.p.c.) e dunque alla salvaguardia dei diritti attribuiti alla parte.

Ciò non toglie di riconoscere alla scelta compiuta da Giudice, tra la panoplia degli indicati strumenti di verifica pregiudiziale, carattere conformativo della successiva attività processuale: tale scelta opera in funzione del principio della ragionevole durata del processo, sicchè la preclusione all’ulteriore svolgimento del giudizio di appello determinata dalla opzione per la pronuncia di maggiore estensione (quale è la ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c.) non consente poi al Giudice di appello – come peraltro delineato dal sistema normativo, che rende ricorribile “per saltum” la sentenza di primo grado avanti la Corte di cassazione – di rilevare preclusioni determinate da altri impedimenti pregiudiziali per così dire di minore ampiezza (ad es. per difetto di specificità dei singoli motivi di gravame), e così del pari, ritenuto di definire con sentenza di inammissibilità od improcedibilità il giudizio di appello, il Giudice di secondo grado cui fosse rimessa la causa a seguito di cassazione della pronuncia in rito, non potrebbe riesaminare nuovamente in via pregiudiziale ex art. 348 bis c.p.c., la ammissibilità-merito dell’atto di appello, essendo tenuto invece a procedere all’esame dei motivi di gravame pervenendo alla pronuncia sul merito.

3.4 Questa sembra al Collegio l’unica strada percorribile ove si intendano eliminare i sospetti in ordine alla legittimità costituzionale della norma processuale con riferimento ai parametri dell’art. 24 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, dubbi di costituzionalità che verrebbero ad insorgere nel caso in cui si dovesse privilegiare in modo assoluto l’interesse alla rapida definizione dei processi, consentendo che la ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., possa essere adottata prescindendo del tutto: a) dall’assegnazione del termine ex art. 291 c.p.c., per il rinnovo della notifica dell’appello invalidamente eseguita; b) dalla integrazione – anche necessaria – del contraddittorio ex artt. 331 e 332 c.p.c..

La diversa soluzione prospettata dalla difesa del Fallimento, dovrebbe logicamente condurre, infatti, alla necessitata conclusione che il sistema del filtro prognostico ideato dal Legislatore si dovrebbe configurare – anche in assenza della instaurazione di un rapporto processuale tra le parti appellanti ed appellate – come una sorta di “fase monistica” (analoga a quella della introduzione del giudizio attraverso il deposito nella Cancelleria del Giudice del ricorso) che instaura – soltanto tra la parte appellante ed il Giudice di appello un procedimento separato diretto esclusivamente ad un mero controllo documentale di congruità tra i capi di sentenza impugnati ed i motivi di gravame proposti, indipendentemente quindi dalla verifica di tutte le altre condizioni e requisiti processuali richiesti dalla legge per l’esercizio della “potestas decidendi” ed indipendentemente dall’esame delle controdeduzioni e degli appelli incidentali eventualmente proposti dalle parti appellate: procedimento pertanto avulso dal giudizio di appello, e nel quale l’appellato non è chiamato ad interloquire in ordine alla pronuncia del Giudice di ragionevole probabilità di accoglimento dell’atto di appello.

Tale ricostruzione della disciplina del filtro viene infatti a contrastare, come si è evidenziato in precedenza, con lo stesso disposto letterale della norma del codice che, se per un verso non consente di delineare affatto un autonomo procedimento “ante causam”, per l’altro verso richiede quale presupposto di validità della pronuncia sull’ammissibilità-merito che le parti – e quindi anche l’appellato od i litisconsorti appellati – siano sentite (art. 348 ter c.p.c., comma 1, e che, se l’appellato ha proposto impugnazione incidentale, il Giudice è tenuto ad estendere il controllo preventivo del filtro anche ai motivi del gravame incidentale (art. 348 ter c.p.c., comma 2): previsioni che introducono modalità e condizioni procedimentali, che se disattese bene possono veicolare contestazioni volte a fare valere i vizi di validità della ordinanza di inammissibilità.

I “vizi propri”, di natura processuale, che affliggono l’ordinanza prognostica dichiarativa di inammissibilità sono stati, peraltro, indicati in senso solo esemplificativo nel precedente di questa Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016, avendo evidenziato le Sezioni Unite che, oltre alle violazioni desumibili dalla stessa disciplina normativa che regola i presupposti legali (sia positivi: insussistenza di ragionevoli probabilità di accoglimento, che negativi: cause con intervento obbligatorio del PM; cause condotte con rito di sommario cognizione) ed il procedimento (verifica in “limine litis” e “sentite le parti”), “alla luce delle considerazioni finora espresse circa il fondamento e le ragioni della ricorribilità della ordinanza in esame ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, non può escludersi la denunciabilità degli errores in procedendo nei limiti della compatibilità logica e/o strutturale dei medesimi con il contenuto tipico della decisione espressa nell’ordinanza suddetta…”.

E dunque tra tali “errores in procedendo” non vi è ragione di escludere l’irrituale instaurazione del rapporto processuale e del contraddittorio tra appellante ed appellati.

Può dunque affermarsi il seguente principio:

“la disposizione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 1, laddove prescrive che “All’udienza di cui all’art. 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l’appello, a norma dell’art. 348 bis, comma 1…” deve essere interpretata nel senso che il Giudice di appello è tenuto, in ogni caso, a procedere alla preliminare verifica della corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti, solo così potendo darsi effettiva attuazione al disposto della norma che richiede di sentire previamente le parti.

Ne segue che se dall’esame degli atti risultano vizi di invalidità della notifica dell’atto di appello, o risulta che sia stata pretermessa la notifica della impugnazione a taluno dei litisconsorti necessari o delle altre parti che abbiano interesse a contraddire, il Giudice di appello è tenuto ad adottare i provvedimenti di cui all’art. 350 c.p.c., comma 2, in difetto dovendo ritenersi impugnabile con ricorso straordinario per cassazione la ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., in quanto affetta da vizio di nullità processuale insanabile”.

p. 4. Si deve ora procedere all’accertamento, nel concreto, della lamentata lesione del diritto di difesa della parte nei confronti della quale risulta invalidamente eseguita la notifica dell’atto di appello.

Al riguardo occorre osservare che:

a) l’azione revocatoria L. Fall., ex art. 66 (art. 2901 c.c.) ha per oggetto la inefficacia relativa dell’atto dispositivo (nella specie il trasferimento, con atti notarili in data 2 aprile e 22 maggio 2009, della proprietà formale degli immobili in capo al trustee)

b) il trustee società di diritto neozelandese Intrust Trustees (New Zeland) Ltd è litisconsorte necessario unitamente ai disponenti P.P. ed A.: risulta che il trustee in primo grado è stato ritualmente citato e non si è costituito, venendo dichiarato contumace; mentre in secondo grado il trustee non è stato validamente citato, e non vi è stata sanatoria, in difetto di spontanea costituzione ed in difetto di ordine di rinnovazione della notifica dell’atto di appello ai sensi dell’art. 331 c.p.c..

4.1 Orbene, diversamente da quanto sostenuto dal Procuratore Generale, non sembra possa dubitarsi della partecipazione necessaria al giudizio revocatorio ex art. 2901 c.c., del trustee. Le parti contraenti degli atti dispositivi della proprietà degli immobili conferiti in Trust, sono i soggetti naturalmente destinatari della pronuncia dichiarativa della inefficacia del trasferimento del diritto in danno dei creditori concorsuali, rappresentati dal curatore fallimentare, consentendo tale pronuncia a quest’ultimo, in base al titolo esecutivo ottenuto nel distinto giudizio di accertamento del credito, di agire esecutivamente effettuando il pignoramento degli immobili predetti, come se tali beni non fossero fuoriusciti dal patrimonio dei disponenti-debitori (che le parti contraenti dell’atto revocando, avente ad oggetto il trasferimento di diritti, siano parti necessarie è affermazione consolidata in giurisprudenza: Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11150 del 16/07/2003; id. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 23068 del 07/11/2011).

4.2 Diversa è invece la posizione chi i beneficiari finali dei beni destinati in

Trust possono rivestire nel medesimo giudizio nel caso in cui l’atto dispositivo preveda contestualmente l’attribuzione ad essi di diritti parziari o facoltà di godimento attuale sui beni conferiti in Trust, solo in quest’ultimo caso venendo in questione la necessità della partecipazione al giudizio anche dei beneficiari (cfr. Corte Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 19376 del 03/08/2017), od ancora nel caso di atti di disposizione “a titolo oneroso” – tenuto conto che, in quel caso, tra gli elementi della fattispecie è indicato anche lo stato soggettivo dell’acquirente – legittimandosi la estensione del litisconsorzio necessario anche ai beneficiari, in considerazione della funzione peculiare dell’istituto (come delineato dalla L. 16 ottobre 1989, n. 364, recante la ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai “trusts” e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1 luglio 1985) attraverso il quale si realizza la scissione, nell’atto dispositivo, dell’aspetto formale, che legittima passivamente il titolare formale del diritto sul bene, da quello sostanziale, che legittima passivamente il titolare effettivo dell’interesse sostanziale della operazione negoziale voluta dal disponente, da individuarsi appunto nel beneficiario quale destinatario finale dell’attribuzione del diritto patrimoniale, dovendo riferirsi la verifica della gratuità od onerosità all’interesse sostanziale che permea la causa della complessiva operazione negoziale e non alla intestazione formale del diritto che assume carattere meramente strumentale rispetto al risultato finale voluto (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13388 del 29/05/2018).

4.3 Senza dover ripercorrere la evoluzione giurisprudenziale in materia è

sufficiente rammentare che l’istituto in questione realizza, attraverso lo strumento della segregazione dei beni rispetto al patrimonio, tanto del disponente, quanto del trustee, lo scopo di sottrarre il bene in Trust dall’azione esecutiva dei creditori personali dell’uno e dell’altro: a tal fine indipendentemente dal legame obbligatorio tra il disponente ed il trustee che trova fondamento nel rapporto gestorio e fiduciario avente ad oggetto la amministrazione dei beni e l’incarico di destinarli al termine del Trust ai beneficiari eventualmente indicati – la titolarità dei poteri di disposizione inerenti la proprietà dei beni viene formalmente attribuita al trustee, il quale proprio in base all’acquisto di detta titolarità è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 28363 del 22/12/2011; Sez. 1, Sentenza n. 10105 del 09/05/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 3456 del 20/02/2015; id. Sez. 5, Sentenza n. 25478 del 18/12/2015; id. Sez. 1, Sentenza n. 25800 del 22/12/2015; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 2043 del 27/01/2017).

Dunque nella individuazione delle parti necessarie del giudizio ex art. 2901 c.c., non può prescindersi dal rilievo per cui la intestazione formale del diritto sul bene conferito in Trust comporta la “legittimazione passiva” del trustee, in quanto titolare del diritto ceduto in base all’atto dispositivo e del quale si domanda l’inefficacia relativa.

p. 5. Tanto premesso la Corte d’appello non risulta essersi uniformata al principio di diritto enunciato, avendo omesso di disporre la integrazione necessaria del contraddittorio nei confronti del trustee. La ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., in quanto affetta dal vizio di nullità denunciato dai ricorrenti, deve essere pertanto cassata con rinvio della causa al Giudice di appello in altra composizione che provvederà ad emendare il vizio di invalidità riscontrato, ed a liquidare anche le spese relative al giudizio di legittimità.

p. 6. Con il secondo motivo del ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., comma 7 (RG 3480/2018), P.P. e D. deducono la nullità della ordinanza dichiarativa di inammissibilità della Corte d’appello, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 3, sul presupposto che, avendo la ordinanza-filtro ex art. 348 bis c.p.c., carattere “decisorio” e dunque avendo natura sostanziale di sentenza, la stessa doveva essere sottoscritta non soltanto dal “presidente” del Collegio ma anche dal “giudice estensore”.

Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di compiuta descrizione del fatto processuale, e comunque infondato.

6.1 I ricorrenti hanno omesso di riferire quale fosse il Giudice relatore nel Collegio.

Dal verbale della udienza 17.11.2017, cui è allegata anche la ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., sottoscritta dal solo presidente, non è dato infatti rilevare se e quale tra i Giudici a latere fosse stato nominato relatore, ovvero se invece lo stesso presidente fosse relatore. In difetto il motivo di ricorso si palesa del tutto carente in ordine alla descrizione del “fatto processuale” rimanendone quindi precluso l’accesso al sindacato di legittimità, atteso che il Giudice di legittimità, in caso di ricorso inteso a far valere vizi inerenti l’attività processuale, è investito del potere di esame diretto agli atti del giudizio di merito, purchè il vizio di nullità processuale sia stato ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 8008 del 04/04/2014; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 14107 del 07/06/2017; id. Sez. L -, Sentenza n. 20924 del 05/08/2019).

6.2 Il motivo è in ogni caso infondato.

Il principio giurisprudenziale che ricollega il tipo di mezzo impugnatorio alla natura sostanziale del provvedimento giudiziale, indipendentemente dalla forma in cui risulta emesso (si veda, con specifico riferimento all’impiego improprio della ordinanza ex art. 348 bis c.p.c.: Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 1914 del 02/02/2016. Vedi Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15776 del 29/07/2016; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 15644 del 23/06/2017; id. Sez. 1-, Ordinanza n. 23151 del 26/09/2018; id. Sez. 3, Sentenza n. 3980 del 12/02/2019; id. Sez. 2, Sentenza n. 20926 del 05/08/2019), sicchè un provvedimento adottato – erroneamente – con ordinanza, che avrebbe invece dovuto assumere la forma di sentenza, deve essere gravato nei termini e con le forme previsti per le impugnazione delle sentenze (e salvo che il Giudice non abbia inteso espressamente qualificare – sebbene erroneamente – il rito applicabile, con conseguente legittimazione della parte ad avvalersi del mezzo impugnatorio che quel rito prevede, prevalendo in tal caso il principio di apparenza posto a tutela dell’affidamento della parte processuale), non trova applicazione qualora sia la stessa norma di legge a definire espressamente la forma del provvedimento in relazione all’effetto da produrre: nella specie la “voluntas legis” è inequivoca nell’aver prescelto la forma della ordinanza per definire in limine il giudizio di appello, in quanto coerentemente correlata all’effetto – pregiudiziale in rito – di precludere l’accesso al sindacato di merito sui motivi di gravame.

6.2.1 La peculiarità dei caratteri – solo parzialmente ed eccezionalmente riconoscibili nella ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. – della decisorietà e di definitività che caratterizzano in senso sostanziale la sentenza, esclude una assimilabilità totale della ordinanza dichiarativa di inammissibilità al regime formale della sentenza: ed infatti questa Corte ha precisato come “una pronuncia a carattere decisorio – siccome emessa in un giudizio che verte su situazioni di diritto soggettivo o delle quali è comunque prevista la piena giustiziabilità – che non sia in sè altrimenti modificabile ma che tuttavia non possa ritenersi “definitiva” con riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio rappresenta di fatto ipotesi particolarissima, essenzialmente connessa all’assoluta novità che il meccanismo costituito dagli artt. 348 bis e ter c.p.c.. rappresenta nel nostro ordinamento” (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 1914 del 02/02/2016, in motivazione). Con la conseguenza che proprio a causa di tale assoluta peculiarità e della inaccettabilità delle conseguenze, incompatibili con il dettato costituzionale, cui condurrebbe la rilevata assenza di entrambi i requisiti indispensabili a riconoscere la natura sostanziale di sentenza, consente di giustificare la ricorribilità ex art. 111 Cost., comma 7, della ordinanza-filtro, diversamente non potendo la parte far valere con la impugnazione della decisione di primo grado i vizi di nullità propri di un provvedimento non oggetto di impugnazione: “Se tale ordinanza non fosse impugnabile non sarebbe perciò in alcun modo sindacabile la decisione che “nega” alla parte il giudizio d’appello, ossia l’impugnazione idonea a provocare un riesame della causa nel merito non limitato al controllo di vizi specifici ma inteso ad introdurre un secondo grado in cui li giudizio può essere interamente rinnovato non in funzione dell’esame della sentenza di primo grado ma come nuovo esame della controversia, sia pure nei limiti del proposto appello” (ibidem).

Questa stessa Corte, con riferimento ad analoga “ordinanza di inammissibilità-merito” (art. 360 bis c.p.c.) ha, peraltro, rilevato come “non è più ormai condivisibile l’idea secondo la quale l’inammissibilità del ricorso potrebbe sussistere solo in presenza di difetti attinenti alla struttura formale del ricorso medesimo o alle modalità in cui il suo contenuto è espresso, restando estranea alla figura dell’inammissibilità ogni valutazione che attinga il merito. Al contrario, il legislatore ha fatto mostra di utilizzare a più riprese la categoria dell’inammissibilità, per facilitare una decisione in limine litis, anche in presenza di ragioni di merito che risultino agevolmente percepibili e siano perciò suscettibili di un più snello iter motivazionale: si pensi all’art. 348-bis c.p.c., dettato per il giudizio d’appello, pur nell’evidente differenza che quell’ipotesi d’inammissibilità presenta rispetto a quella qui in esame (se ne farà cenno in seguito), ma si pensi anche all’art. 606 c.p.p., in materia d’inammissibilità del ricorso per cassazione in campo penale.” (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 7155 del 21/03/2017).

6.2.2 Non vi è dunque ragione di privare il provvedimento di cui all’art. 348 bis c.p.c., così come disciplinato dal Legislatore nel voluto raccordo di forma ed effetto, dei caratteri strutturali previsti per la ordinanza collegiale, per la quale è prescritta dall’art. 134 c.p.c., la sottoscrizione soltanto del “presidente”.

p. 7. L’accoglimento del primo motivo del ricorso straordinario per cassazione principale proposto da P.P. e D. (RG n. 3480/2018), infondato il secondo motivo, determina la cassazione della ordinanza della Corte d’appello di Firenze in data 17.11.2017 n. 869 dichiarativa di inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., con conseguente rinvio della causa al medesimo Giudice in grado di appello, in diversa composizione, che provvederà ad emendare il vizio processuale riscontrato conformandosi al principio di diritto enunciato, ed a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità.

La cassazione della ordinanza dichiarativa di inammissibilità dell’appello, determina l’assorbimento dell’esame delle questioni relative al ricorso straordinario per cassazione incidentale proposto da P.A. ed E. (RG n. 3480/2018) ed il venire meno dell’obbligo di pronuncia di questa Corte, per sopravvenuto difetto del presupposto legale previsto dall’art. 348 ter c.p.c., comma 3, sui motivi dei ricorsi per cassazione “per saltum”, proposti dai medesimi ricorrenti, principali ed incidentali, avverso la sentenza n. 393/2017 del Tribunale di Firenze.

P.Q.M.

Dispone la riunione della causa iscritta al RG n. 3480/2018 alla causa iscritta al RG n. 3476; accoglie il primo motivo del ricorso straordinario per cassazione principale proposto da P.P. e D., dichiarato infondato il secondo motivo; dichiara assorbito l’esame del ricorso straordinario per cassazione incidentale proposto da P.A. ed E., nonchè l’esame dei ricorsi per cassazione “per saltum” proposti dai medesimi ricorrenti, principali ed incidentali, avverso la sentenza n. 393/2017 del Tribunale di Firenze; cassa la ordinanza in data 17.11.2017 n. 869 della Corte d’appello di Firenze, in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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