Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12886 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. III, 26/06/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 19097 del ruolo generale dell’anno

2017 proposto da:

V.G., (C.F.: (OMISSIS)), GRANDI IMPIANTI S.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, V.G.; V.G.

& C. S.n.c. (società che si dichiara cessata con provvedimento

datato 31.12.2007), in persona del legale rappresentante pro

tempore, V.G. rappresentato e difeso, giusta procura in

calce al ricorso, dall’avvocato Antonio Invidia (C.F.:

NVDNTN62R16A496G);

– ricorrenti –

nei confronti di:

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO – BNL S.p.A. (C.F.: (OMISSIS)), in persona

del Direttore della Direzione Legale, legale rappresentante pro

tempore, D.P. rappresentato e difeso, giusta procura in

calce allegata al controricorso, dall’avvocato Carlo Alberto

Giovanardi (C.F.: GVNCLL59A26F205G);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Venezia n.

623/2017, pubblicata in data 21 marzo 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

21 gennaio 2020 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo;

uditi:

il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale

Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, con assorbimento dell’incidentale;

l’avvocato Carlo La Porta, per delega dell’avvocato Antonio Invidia,

per i ricorrenti;

l’avvocato Luigi Occhiuto, per delega dell’avvocato Carlo Alberto

Giovanardi, per la banca controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Per quanto emerge dal ricorso, V.G., in proprio e quale legale rappresentante delle società Grandi Impianti S.r.l. e V.G. & C. S.n.c., ha agito in giudizio nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro – BNL S.p.A. per ottenere il risarcimento dei danni causati dalla violazione di un accordo transattivo che la stessa aveva stipulato con la società denominata GI Grandi Impianti.

La domanda è stata dichiarata inammissibile dal Tribunale di Verona.

La Corte di Appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado, con una integrazione della motivazione.

Ricorre V.G., in proprio e quale legale rappresentante delle società Grandi Impianti S.r.l. e V.G. & C. S.n.c. (che si dichiara peraltro “cessata con provvedimento datato 31.12.2007”), sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la BNL S.p.A., la quale propone a sua volta ricorso incidentale condizionato, sulla base di due motivi.

La banca controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Esso non rispetta infatti il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Tale requisito è considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso e deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di Cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U., Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770-01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918-01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745-01; Sez. 6-3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493-01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U., Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622-01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401-01). Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso in esame, nell’esposizione del fatto, non presenta tale contenuto minimo.

Nel paragrafo intitolato “Svolgimento del processo di merito”, per quanto riguarda la domanda proposta, risultano trascritte esclusivamente le conclusioni dell’atto di citazione, mentre, per quanto riguarda le difese delle convenuta, si fa presente esclusivamente – e del tutto genericamente – che la BNL S.p.A. aveva eccepito l’inammissibilità della domanda, la carenza di legittimazione attiva delle parti attrici e la propria carenza di legittimazione passiva, nonchè, in ogni caso, l’infondatezza della domanda stessa.

Tale esposizione – peraltro non integrata da specifici e più puntuali chiarimenti offerti nell’ambito della narrativa dei singoli motivi di ricorso – è del tutto insufficiente per comprendere effettivamente l’oggetto delle domande proposte ed i fatti posti a base delle stesse, nonchè le difese in concreto opposte dalla banca convenuta e, quindi, l’effettivo thema decidendum ed il correlativo thema probandum (sul quale ultimo sono fondate le censure di cui ai singoli motivi del ricorso).

In particolare, non è possibile intendere con chiarezza, dall’esposizione dei fatti contenuta nel ricorso, l’effettivo pregiudizio di cui sarebbe stato chiesto il risarcimento da parte di ciascuno dei tre soggetti giuridici indicati come attori ( V.G. in proprio, la società Grandi Impianti S.r.l. e la società V.G. & C. S.n.c., che si dichiara peraltro “cessata con provvedimento datato 31.12.2007”).

Nel ricorso si fa riferimento ad una transazione intercorsa tra maggio e ottobre 2002 (tra la banca e la società G.I. Grandi Impianti di V.G. S.n.c., sembrerebbe), in relazione ad un precetto opposto (fondato su un contratto di mutuo) e oggetto di rinuncia, nonchè ad un successivo processo esecutivo che avrebbe dovuto essere abbandonato, con cancellazione del pignoramento, da parte dalla banca, in base alla transazione.

Orbene, in primo luogo, per quanto attiene al piano “soggettivo”, la società in nome collettivo che aveva stipulato la transazione non sembrerebbe potersi identificare con nessuna delle società attrici: risultano avere infatti agito una società a responsabilità limitata con analoga denominazione ed una società in nome collettivo con diversa denominazione, che peraltro si dichiara cessata anteriormente all’inizio del giudizio di merito, ma non sono affatto precisati nel ricorso i rapporti che intercorrerebbero tra dette società, nè a quale titolo avrebbe agito il V., legale rappresentante di tutte tali società, anche in proprio. Si aggiunga che la sentenza impugnata ha dichiarato espressamente il difetto di legittimazione attiva della G.I. Grandi Impianti S.r.l. (su tale punto della decisione non vi è censura specifica nel ricorso) e che la V.G. & C. S.n.c., oltre ad essere “cessata” (per dichiarazione della stessa parte ricorrente) non risulta neanche avere conferito mandato al difensore per il presente giudizio di legittimità (cfr. la procura in calce al ricorso, conferita dal V. esclusivamente in proprio e quale legale rappresentante della G.I. Grandi Impianti S.r.l., con la conseguenza che la S.n.c. non può ritenersi regolarmente costituita nella presente fase del giudizio). A maggior ragione, quindi, sarebbe stato necessario – per poter accedere al merito del ricorso – quanto meno comprendere le ragioni della specifica domanda proposta in proprio da V.G. (unico soggetto apparentemente legittimato ad agire, sul piano processuale, nel presente giudizio di legittimità, per quanto appena osservato), che però non è in alcun modo possibile desumere dal ricorso stesso.

Altrettanto è a dirsi sul piano “oggettivo”. Il processo esecutivo “da abbandonare”, cui si fa riferimento nel ricorso, sembrerebbe essere in realtà iniziato solo successivamente alla transazione del 2002 (quanto meno nel 2003) e sembrerebbe altresì che in esso la banca avesse semplicemente spiegato intervento (e addirittura che avesse comunque abbandonato la procedura, a seguito della cessione del relativo credito). Vi sono peraltro riferimenti anche ad un addebito su un conto corrente, che sembrerebbe oggetto delle contestazioni degli attori, ma non sono adeguatamente chiariti i rapporti tra la transazione, tale addebito, l’intervento della banca nel processo esecutivo del 2003 ed i danni di cui si chiede il risarcimento (in particolare, quelli eventualmente risentiti in proprio dal V., unico soggetto apparentemente legittimato ad agire nel presente giudizio di legittimità, per quanto si è esposto in precedenza).

In definitiva, anche in virtù delle specifiche notazioni che precedono, è evidente che la sommaria esposizione dei fatti contenuta nel ricorso principale non è sufficiente perchè possa considerarsi rispettato il requisito di ammissibilità del ricorso stesso richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Di conseguenza il ricorso principale va dichiarato inammissibile (con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato), il che rende superflua l’esposizione dei singoli motivi posti a base dello stesso.

2. Solo a scopo di completezza espositiva, può comunque rilevarsi che i singoli motivi del ricorso principale risulterebbero comunque inammissibili, anche se esaminati sulla base della lacunosa esposizione contenuta nel ricorso stesso.

Con il primo motivo si denunzia “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5: violazione o falsa applicazione di norme di diritto: A) in relazione agli artt. 1199,2732 c.c., art. 2733 c.c., comma 2 e art. 2735 c.c., comma 1”.

Con il secondo motivo si denunzia “B) in relazione alla valutazione delle prove di cui agli artt. 115 – 116 e 215 c.p.c.”.

Con il terzo motivo si denunzia “art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; omessa e comunque contraddittoria motivazione riguardante un fatto decisivo del giudizio consistente nella mancata istruttoria del giudizio di primo e secondo grado e violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti”.

I tre motivi risultano logicamente connessi e quindi da esaminare congiuntamente.

Le censure – sebbene presentate, almeno in parte, come denunzia di violazione di norme di diritto – si risolvono tutte nella sostanza, e per quanto è possibile comprendere nonostante la già rilevata insufficienza dell’esposizione dei fatti di causa, nella contestazione di accertamenti di fatto operati dai giudici di merito e sostenuti da adeguata motivazione (non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente) e nella richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.

Anche i riferimenti al valore probatorio della quietanza costituiscono solo in apparenza censure di violazione di norme di diritto. Nella sentenza impugnata non è infatti negato il suddetto valore probatorio alla quietanza, ma è semplicemente ricostruito ed interpretato l’effettivo contenuto del documento prodotto, anche sulla base della valutazione degli ulteriori elementi di prova, mentre le contestazioni dei ricorrenti riguardano il risultato del processo interpretativo, cioè ancora una volta una questione di fatto, non deducibile in sede di legittimità.

3. Il ricorso principale è dichiarato inammissibile, assorbito l’incidentale condizionato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso principale, assorbito l’incidentale;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.800,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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