Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12886 del 22/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/05/2017, (ud. 02/03/2017, dep.22/05/2017),  n. 12886

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10067/2016 proposto da:

AGRICOLA BONSAI A.C. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato COSIMO FORTUNATO;

– ricorrente –

contro

P.G., PA.GI., F.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE MARESCIALLO PILSUDSKI 118 presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO STANIZZI;

– controricorrente –

contro

A.O.L., + ALTRI OMESSI

– intimati –

avverso il provvedimento Proc. n. 1969/2015 R.G.E. del TRIBUNALE di

CASTROVILLARI, depositato il 17/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata el 02/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA

BARRECA.

Fatto

RILEVATO

Che: con il provvedimento impugnato il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Castrovillari ha dichiarato improcedibile l’opposizione proposta da Agricola Bonsai A.C. s.a.s. avverso l’ordinanza del 10 luglio 2015 con la quale il giudice dell’esecuzione aveva disposto, ai sensi dell’art. 560, comma 3, la liberazione, per la fine dell’annata agraria in corso, dei fondi oggetto della procedura esecutiva immobiliare n. 65/1989 R.G.E., condotti in affitto dall’opponente in forza di contratto agrario in deroga stipulato il 4 gennaio 1994 con il custode giudiziario, Dott. A.O.L., previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione; col provvedimento qui impugnato, depositato il 17 dicembre 2015, il giudice dell’esecuzione, sciogliendo la riserva assunta il 10 novembre 2015, dato atto di avere assegnato all’opponente un termine perentorio per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti della procedura esecutiva e dato atto che il ricorso in opposizione non risultava notificato ai creditori intervenuti FINECO SPA, IFIM S.R.L., S.F. e ISAGRO SPA, ha ritenuto che, non essendo stato regolarmente instaurato il contraddittorio, il giudizio di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (così espressamente qualificato nell’ordinanza) fosse improcedibile e perciò ne ha dichiarato l’improcedibilità;

avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione la Agricola Bonsai A.C. s.a.s. propone ricorso con tre motivi; resistono con controricorso P.G., P.C.G. e F.A.;

gli altri intimati non si sono difesi;

ricorrendo uno dei casi previsti dall’art. 375, comma 1, su proposta del relatore della sezione sesta, il presidente ha fissato con decreto l’adunanza della Corte, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

il decreto è stato notificato come per legge.

Diritto

CONSIDERATO

Che: il ricorso straordinario per cassazione è inammissibile, poichè proposto avverso un provvedimento che non è definitivo nè decisorio;

esso è stato emesso a conclusione della fase svoltasi dinanzi al giudice dell’esecuzione del giudizio di opposizione, introdotto dalla società per ottenere la revoca dell’ordinanza resa ai sensi dell’art. 560 c.p.c., comma 3. Con il provvedimento impugnato il giudice dell’esecuzione ha dichiarato improcedibile l’opposizione, senza decidere sull’istanza di sospensione avanzata dall’opponente, senza concedere il termine per l’instaurazione del giudizio di merito e senza provvedere in alcun modo in merito alla spese di lite;

malgrado il giudice dell’esecuzione non abbia fissato il termine per l’inizio del giudizio di merito, come disposto dall’art. 618 c.p.c., il provvedimento impugnato non si può reputare definitivo, quindi suscettibile di ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost.;

invero, non può reputarsi precluso l’accesso della società ricorrente, già opponente, alla tutela a cognizione piena, per le ragioni di cui appresso:

– il giudizio di opposizione agli atti esecutivi è soggetto alla disciplina di cui agli artt. 617 – 618 c.p.c., nel testo sostituito, con decorrenza dal 1 marzo 2006, dalla L. n. 52 del 2006; la seconda di tali norme prevede che il giudice dell’esecuzione fissa un termine perentorio per l’introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163-bis c.p.c., o altri se previsti, ridotti della metà;

– la norma va letta in combinato disposto con l’art. 617 c.p.c. e con la prima parte dello stesso art. 618 c.p.c., che prevedono che sia il giudice dell’esecuzione a provvedere sull’istanza di sospensione del processo esecutivo ovvero di adozione di provvedimenti indilazionabili;

– il sistema di norme modificate dalla L. n. 52 del 2006, ha innovato rispetto al regime precedente, secondo il quale era lo stesso giudice dell’esecuzione che all’udienza disponeva la prosecuzione del giudizio (relativo all’opposizione agli atti esecutivi) con le forme della cognizione ordinaria;

– le nuove norme hanno escluso l’automatismo della prosecuzione con la cognizione piena; il giudice dell’esecuzione, dopo avere provveduto sull’istanza di sospensione, si limita a fissare un termine per l’introduzione della causa di merito ed è quindi rimesso all’iniziativa della parte interessata l’effettivo inizio di tale giudizio nel termine fissato;

– il provvedimento di fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito, concretandosi in una autorizzazione (peraltro dovuta ex lege) all’introduzione del giudizio di merito siccome ricollegato alla precedente fase sommaria e diretto anche alla discussione sugli eventuali provvedimenti sommari adottati in quella fase, si connota come provvedimento lato sensu istruttorio, cioè sull’ordine del procedimento (così, tra le tante, Cass. ord. n. 20532/2009 e n. 15630/2010);

– il vizio del provvedimento consistente nell’omessa concessione del termine in parola trova un rimedio nell’ordinamento, precisamente nell’art. 289 c.p.c., secondo il cui comma 1, i provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali, possono essere integrati su istanza di parte o d’ufficio, entro il termine perentorio di sei mesi dall’udienza in cui i provvedimenti furono pronunciati, oppure dalla loro notificazione o comunicazione se prescritte;

– la ricorrente, dunque, avrebbe dovuto chiedere al giudice dell’esecuzione di integrare il provvedimento ai sensi dell’art. 289 c.p.c. e non ricorrere per cassazione;

– peraltro, in fattispecie quale quella oggetto della presente decisione, il ricorso al rimedio dell’art. 289 c.p.c., non è neppure obbligato, dal momento che la stessa ricorrente, anche a prescindere dalla formulazione di un’istanza ai sensi dell’art. 289 c.p.c., avrebbe potuto iscrivere la causa di opposizione al ruolo contenzioso (cfr. Cass. ord. n. 20532/2009 cit. e numerose altre successive);

– in proposito, non può che farsi integrale rinvio alla motivazione del precedente di questa Corte n. 22033/2011, che si è occupato funditus della questione (nonchè all’univoco conforme orientamento di questa Corte espresso, tra le più recenti, da Cass. ord. n. 25111/15 e ord. n. 12170/16). Appare qui sufficiente ribadire che, se è vero che il giudice dell’esecuzione ha definito, davanti a sè, il giudizio col provvedimento oggi impugnato, percontro, tale provvedimento, essendo stato emesso da un giudice investito di una cognizione sommaria e, pertanto, destinata a sfociare in provvedimenti ridiscutibili secondo le regole della cognizione piena e, dunque, del tutto provvisori, “non può acquisire una forza diversa a cagione della sua irritualità e, quindi, non può considerarsi definitivo dell’azione, nonostante che l’irritualità consista proprio nella chiusura illegittima del procedimento. Questa chiusura è essa stessa del tutto provvisoria e non definitiva” poichè riguarda solo la fase sulla quale il giudice doveva provvedere, in via appunto provvisoria, in vista della possibile evoluzione dell’azione con la cognizione piena; cognizione, nient’affatto preclusa alla ricorrente, che si sarebbe potuta avvalere dei rimedi sopra richiamati;

perciò, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore dei controricorrenti nella somma di Euro 1900,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali IVA e CPA come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2017

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