Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12885 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 05/05/2010, dep. 26/05/2010), n.12885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2966-2005 proposto da:

PRIMULA DI CIABATTONI ALESSANDRA & C. S.N.C. (c.f. (OMISSIS)), in

persona del legale rappresentante pro tempore, C.

A., C.F., C.M., ANTEA

S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliati

in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato CENTOFANTI SIRO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

INTESA GESTIONE CREDITI S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), già IntesaBci

Gestione Crediti s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 45, presso

l’avvocato MARZANO MARCO STEFANO, rappresentata e difesa

dall’avvocato BRIOLINI MARIO, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 696/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 21/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato ALBANESE CLAUDIO, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato MARZANO MARCO STEFANO, per

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 22.06-21.09.2004, la Corte di appello dell’Aquila respingeva il l’impugnazione proposta nei confronti della Intesa BCI Gestione Crediti S.p.A. e contro la sentenza resa il 20.10.2001 dal Tribunale di Teramo, dai soccombenti s.n.c. Primula di Ciabattoni Alessandra & C., C.A., F. e M. e s.r.l. Antea, nel giudizio da loro introdotto nel marzo del 1999.

La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro ed in sintesi:

– che il Presidente del Tribunale di Teramo il 5-7.08.1997 aveva emesso tre decreti ingiuntivi (nn. 226, 225 e 227) in danno rispettivamente della società Primula S.n.c. e dei relativi fideiussori (ossia s.r.l. Antea, C.F., A. e M.), della s.r.l. Antea e dei relativi fideiussori (ossia C.F., A. e M.) e di C. F., con riferimento a rapporti bancari intercorsi sin dal 1992, tra gli ingiunti e l’istante s.p.a. Banca commerciale italiana – filiale di (OMISSIS), e rispetto ai quali Ci.

A., defunto padre di C.F., A. e M., era stato sin dall’inizio autorizzato ad eseguire operazioni con delega poi revocata il 26.04.1996. – che con riferimento sia ai decreti ingiuntivi (nn. 225 e 227) emessi nei confronti della s.r.l. Antea e dei suoi garanti nonchè nei confronti di C.F., passati in giudicato per mancata opposizione, e sia al decreto ingiuntivo emesso nei confronti della società Primula e dei suoi fideiussori, che, invece, era stato opposto, le parti, il (OMISSIS), avevano sottoscritto tre distinte transazioni, con rinegoziazione e rateizzazione dei crediti della banca ingiungente e con contestuale impegno degli ingiunti ad abbandonare il giudizio di opposizione pendente, come in effetti era poi avvenuto in esecuzione degli accordi, unitamente al versamento di alcuni ratei – che con l’appellata sentenza, in data 20.10.2001, il Tribunale di Teramo aveva respinto tutte le domande proposte dagli attori, concernenti anche la nullità e l’annullamento delle transazioni, la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta del relativo rapporto e la revocazione dei decreti ingiuntivi, ed accolto, invece, la domanda riconvenzionale della banca convenuta concernente la condanna degli attori – ciascuno per le obbligazioni assunte con le transazioni suddette – al pagamento delle rate insolute scadute e da scadere al momento della decisione, con i pattuiti interessi.

– che con il gravame, contrastato dalla banca Intesa BCI Gestione Crediti S.p.A, gli attori avevano proposto sette motivi di censura, tutti infondati, dovendosi in via preliminare anche rilevare che tutte le questioni attinenti alle pretese azionate dalla banca coi pregressi ricorsi monitori e di cui ai decreti ingiuntivi divenuti ormai irrevocabili, erano definitivamente coperte dai relativi giudicati, espliciti ed impliciti, ai sensi dell’art. 2909 c.c..

Avverso questa sentenza, notificata il 30.11.2004, la società Primula di Ciabattoni Alessandra & C., C.A., F. e M. nonchè la S.r.l. Antea hanno proposto ricorso per cassazione notificato il 28.01.2005, affidato a sei motivi ed illustrato da memoria. La società Intesa Gestione Crediti S.p.A. ha resistito con controricorso notificato il 5.03.2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno dell’impugnazione i ricorrenti denunziano:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1283, 1321, 1322, 1325, 1363, 1418 e 1965 c.c. nonchè degli artt. 1371 e 1372 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″.

Si dolgono in sintesi del rigetto del loro gravame e segnatamente della domanda di nullità e annullamento degli atti stipulati il (OMISSIS), sostenendo sia che tali accordi sono stati erroneamente qualificati come transazioni, integrando, invece, atti di autonomia privata privi dei requisiti del negozio di transazione di cui agli art. 1965 e ss. c.c., di tal che in appello avrebbe dovuto essere rilevata d’ufficio l’illegittimità, anche ai sensi dell’art. 1972 c.c., comma 1, della pretesa della banca, in essi intrinsecamente contenuta, di applicare sin dall’inizio dei rapporti bancari la capitalizzazione trimestrale degli interessi, in violazione dell’art. 1283 c.c., in tema di anatocismo, e sia che, con riguardo al rigetto del loro quarto motivo di appello, la valutazione della denunciata temerarietà ex art. 1971 c.c. della medesima pretesa della banca alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, sia stata condotta “in termini meramente storicizzanti”, avulsa dalla considerazione complessiva del quadro e dei valori ordinamentali. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La qualificazione degli accordi del (OMISSIS) come di natura transattiva non è ridiscutibile in questa sede, atteso il giudicato interno formatosi sul punto a seguito della mancata impugnazione in appello di tale qualificazione, peraltro aderente alla stessa prospettazione introduttiva dei ricorrenti ed alle proposte domande.

Quanto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi e con riguardo al credito azionato con il decreto ingiuntivo all’epoca non ancora divenuto definitivo, la Corte ha ineccepibilmente chiarito, nel rispetto dei limiti del suo potere decisorio ancorato al dato normativo, le ragioni, d’indole oggettiva e soggettiva, per le quali la relativa applicazione non poteva integrare ipotesi di temerarietà della pretesa ai sensi dell’art. 1971 c.c., ragioni che evidentemente ostavano anche a rilievi officiosi di nullità delle clausole che tal meccanismo avevano contemplato negli originari accordi, peraltro pure preclusi per i restanti crediti portati dagli altri due decreti ingiuntivi (nn. 225 e 227), dal passaggio in giudicato di tali provvedimenti.

2. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 61,62, 191, 194 e 198 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte e rilevabile d’ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″.

Si dolgono, anche per erroneità della motivazione, del diniego di ammissione della chiesta CTU contabile per la ricostruzione dei rapporti contabili fra le parti, sostenendo che esso non poteva essere giustificato dal riferimento alle mere finalità esplorative dell’indagine, che costituiva, invece, il mezzo istruttorio per eccellenza onde individuare l’ammontare degli importi dal 1992 in poi calcolati progressivamente dalla banca per capitalizzazione trimestrale degli interessi e confluiti negli importi successivamente determinati negli accordi del (OMISSIS).

La censura non ha pregio, posto che nel contesto l’indagine non ammessa non avrebbe che potuto assumere inammissibili connotati esplorativi, come ritenuto dai giudici di merito, anche superflui per quanto già detto sub 1) con specifico riguardo agli interessi capitalizzati e maturati nel corso del rapporto, in tesi riassunti nei decreti ingiuntivi ormai definitivi.

3. Violazione e falsa applicazione della L. 7 marzo 1996, n. 108, artt. 2 e 3 e degli artt. 1284, 1418 e 1815 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″.

Sostengono in sintesi che con riguardo agli accordi intervenuti il (OMISSIS), l’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 e l’adozione dei successivi decreti ministeriali in materia di usura, avrebbero dovuto precludere l’applicazione degli interessi al tasso del 9,50% al credito determinato in rapporto al capitale originario incrementato sino al (OMISSIS) dell’ammontare degli interessi a tassi elevatissimi e trimestralmente capitalizzati già maturati e ricapitalizzati, non potendo la citata legge consentire la convalida di tali situazioni, e che, pertanto, avrebbe dovuto anche essere accolta l’istanza di ammissione di CTU, invece disattesa. La censura non è fondata.

I giudici di merito si sono ineccepibilmente attenuti sia al principio dell’intangibilità del giudicato e sia al principio in tema di usura, secondo cui con riferimento a fattispecie anteriore all’entrata in vigore della L. 7 marzo 1996, n. 108, la pattuizione di interessi elevati non costituisce di per se motivo di illiceità del contratto che li preveda, questa sussistendo nel caso in cui si ravvisino gli estremi del reato di usura, a norma dell’art. 644 cod. pen. (nella previgente formulazione), estremi che nella specie non erano risultati provati. La L. 28 febbraio 2001, n. 24, di conversione del d.l. 29 dicembre 2000 n. 394, di interpretazione autentica della L. 7 marzo 1996, n. 108, che ha fissato la valutazione della natura usuraia dei tassi d’interesse al momento della convenzione e non a quello della dazione, si applica a tutte le fattispecie negoziali che possano contenere la pattuizione d’interessi usurari, salvo che il rapporto contrattuale, come nella specie, non si sia esaurito anteriormente alla data di entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, senza che rilevi la pendenza successiva di una controversia riguardante le ragioni di credito di una delle parti, dovendo trovare applicazione, in tale fattispecie, l’ordinaria disciplina della successione delle leggi nel tempo (in tema cfr cass. 2900715621). Conseguentemente si rivelano irreprensibili anche le ragioni per le quali la CTU è stata denegata.

4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 61, 62, 191, 194, 198, 214 e 215 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Si dolgono, anche per il profilo motivazionale, che non siano state accolte le loro istanze di ammissione di CTU grafica e contabile con riferimento alle disconosciute operazioni a carico della S.n.c., Primula, eseguite dalla banca su incarico del Ci.Al. o a firma sua o da lui falsificata, dopo il (OMISSIS), data in cui la banca era stata posta a conoscenza della revoca da parte dei correntisti della delega allo stesso conferita.

Il motivo non ha pregio. In primo luogo si rivela inammissibile perchè generico e nuovo, il profilo di censura inerente alle operazioni, non meglio specificate, a firma propria del delegato, successive alla revoca della delega a lui conferita, in alcun modo contemplate, a differenza delle altre, nella sentenza d’appello, sicchè il silenzio su di esse serbato dai giudici di merito avrebbe dovuto semmai essere impugnato ai sensi del 112 c.p.c. e non per difetto di motivazione.

Per quelle invece a firma eventualmente falsa la motivazione anche in ordine al diniego delle ctu è congrua e logica, non potendosi in effetti ritenere idoneo e produttivo di effetti un disconoscimento della scrittura privata, che sia carente di specificità (cfr. ex plurimis, cass. 200411911; 200803474) nè utilizzare la CTU grafica a fini individuativi delle scritture a firma falsa o fare ricorso a CTU contabile per individuare il dovuto, indagine che in tale situazione logicamente si palesa esplorativa e superflua e, quindi, inammissibile.

5. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1467 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″.

Con riferimento alle clausole delle transazioni del (OMISSIS) inerenti alla determinazione nella misura del 9,50% del tasso da applicare ai regolati rapporti, i ricorrenti si dolgono, anche per vizi motivazionali, del rigetto della loro domanda di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta per effetto dello squilibrio contrattuale derivato dagli avvenimenti straordinari ed imprevedibili verificatisi sin dal (OMISSIS), costituiti dalla drastica discesa dell’inflazione e riduzione del saggio degli interessi legali e dal contenimento dei tassi creditori e debitori applicati dalle banche alla clientela. Sostengono che i giudici di merito non avrebbero dovuto disattendere la domanda per via della presunta genericità ed apoditticità della censura ma considerare i dati che in primo grado loro avevano allegato ed i suddetti notori fenomeni.

Il motivo è inammissibile, dal momento che non investe la ratio decidendi dell’avversata conclusione.

I giudici di merito, infatti, sottolineata la genericità e l’apoditticità della formulazione del relativo motivo di appello, lo hanno disatteso nel merito osservando che a fronte dell’affermazione resa dal primo giudice secondo cui nel periodo successivo agli accordi del (OMISSIS) e sino alla domanda di risoluzione, i tassi avevano subito oscillazioni non consistenti, contenute nell’ordine di un paio di punti percentuali, gli appellanti non avevano offerto allegazione e prove a smentita di tale specifica asserzione, come sarebbe stato loro onere.

6. Violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., n. 3 e n. 4, artt. 167, 183 e 189 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Si dolgono che la Corte distrettuale abbia respinto il motivo di appello concernente l’inammissibilità della domanda riconvenzionale della banca, riferita al fatto che, in violazione del loro diritto di difesa, erano mancate sia la tempestiva indicazione dei titoli che fondavano la pretesa creditoria azionata per la parte eccedente i crediti portati dai provvedimenti monitori, la specificazione essendo intervenuta solo all’udienza di precisazione delle conclusioni, e sia qualsiasi indicazione contabile dei richiesti ricarichi, successivi al (OMISSIS), segnatamente in ordine al residuo dovuto dalla C.F..

La censura è inammissibile, perchè involge questioni che non risultano in precedenza dibattute e non attiene alla ratio decidendi.

La Corte ha ritenuto che l’eccezione d’inammissibilità della domanda riconvenzionale, già disattesa in primo grado, fosse stata fondata sulla genericità della formulata pretesa (e non sul diverso profilo della sua tardività, sia pure inerente alla specificazione del credito preteso), confermando a sostegno del rigetto della censura sul punto svolta in appello dai ricorrenti le ragioni che avevano indotto il primo giudice a disattenderla, costituite dalla sostanziale mancata contestazione degli importi pretesi e dall’assoluta mancanza della prova sull’estinzione (totale o parziale) dei crediti, sottolineando anche che ben potevano transazioni ed effettuate produzioni consentire la corretta quantificazione delle somme, determinate e determinabili con semplice calcolo matematico, ragioni che non sono state tempestivamente impugnate. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna in solido dei ricorrenti, soccombenti, al pagamento in favore della società Intesa Gestione Crediti S.p.A. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla società resistente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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