Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12884 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 04/05/2010, dep. 26/05/2010), n.12884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27648-2005 proposto da:

C.G. (c.f. (OMISSIS)), P.L.,

nonchè PU.LA., F.E., F.A.,

nella qualità di eredi di F.V., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZALE PORTA PIA 121, presso l’avvocato

NAVARRA GIANCARLO, rappresentati e difesi dall’avvocato ALIQUO’

GIUSEPPE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA REGIONALE DI CATANIA;

– intimata –

sul ricorso 32525-2005 proposto da:

PROVINCIA REGIONALE DI CATANIA, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1,

presso l’avvocato NAPOLITANI SIMONA, rappresentata e difesa

dall’avvocato SALEMI ANTONIO, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.G., P.L., nonchè PU.LA.,

F.E., F.A., nella qualità di eredi

di F.V., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZALE PORTA PIA 121, presso l’avvocato NAVARRA GIANCARLO,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALIQUO’ GIUSEPPE, giusta procura

a margine del ricorso principale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 163/2005 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 15/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato GIUSEPPE ALIQUO’ che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale;

rigetto del ricorso incidentale;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

ANTONINO SPINOSO, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G., P.L. e F.V. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Catania la Provincia Regionale di Catania, esponendo che il Consiglio di detta Provincia, con Delib. 28 aprile 1989, n. 166, corretta con successivo provvedimento del 9 maggio 1989 n. 207 a causa dell’omessa indicazione del nominativo dei professionisti incaricati, aveva ad essi conferito l’incarico del collaudo in corso d’opera relativo alla realizzazione di alcuni edifici scolastici nella Provincia di Catania, affidata all’impresa Finocchiaro Costruzioni s.p.a., in regime di concessione; che il Presidente della Provincia, con nota del 13.6.1989 n, 29119, aveva ad essi comunicato il conferimento dell’incarico; che la Provincia, l’8.5.1989, aveva stipulato con la società concessionaria la convenzione che regolava i rapporti dell’affidamento; che essi, con lettere del 30.4.1990 e del 10.1.1991, avevano trasmesso alla Provincia le parcelle relative a due acconti sulle competenze maturate, che erano state pagate dalla Finocchiaro Costruzioni s.p.a., così come previsto dalla convenzione, che poneva l’onere di tale pagamento a carico del concessionario; che essi, dopo avere trasmesso la relazione ed il certificato di collaudo finale con nota del 28.4.1993, avevano inviato con lettera del 28.5.1993 le parcelle a saldo del lavoro espletato, le quali erano state inoltrate al concessionario con nota del 18.11.1995 n. 13006; che il Tribunale di Roma, con sentenza del 5.12.1996, aveva dichiarato il fallimento della Finocchiaro Costruzioni s.p.a.; che, persistendo il silenzio, essi, con altra lettera del 12.4.1997, avevano sollecitato la Provincia a corrispondere quanto dovuto, ottenendo in via informale una risposta negativa, non ritenendosi la stessa obbligata ad un pagamento di esclusiva competenza del concessionario.

Tanto premesso, gli attori chiedevano al giudice adito di dichiarare che la Provincia Regionale di Catania era l’unico soggetto direttamente obbligato al pagamento dei compensi per l’attività prestata dai collaudatori; in subordine, di dichiarare che detta Provincia si era resa gravemente inadempiente all’obbligo di eseguire il contratto di prestazione professionale secondo buona fede e normale diligenza e di avere arrecato un ingiusto danno agli attori stessi; di condannare la Provincia al pagamento, a favore di ciascuno degli attori, della somma di L. 42.702.348, con gli interessi legali dalla data di invio delle parcelle al soddisfo, e di ulteriori L. 640.536 per diritti di segreteria a favore del solo F..

Costituitasi in giudizio la Provincia Regionale di Catania eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva e chiedeva, in subordine, il rigetto della domanda, previa dichiarazione che i collaudatori si erano resi inadempienti all’obbligo di eseguire il contratto di prestazione professionale.

Il Tribunale di Catania rigettava la domanda degli attori.

Detta sentenza veniva impugnata dal C., dal P. e dal F. dinanzi alla Corte d’Appello di Catania.

Costituitasi in giudizio, la Provincia chiedeva il rigetto dell’appello e, proponendo appello incidentale, reiterava l’eccezione di carenza di legittimazione passiva.

La Corte adita rigettava sia l’appello principale che quello incidentale.

Avverso tale sentenza C.G., P.L., nonchè gli eredi di F.V.: Pu.La., F.E., F.A. hanno proposto ricorso per cassazione fondato su sei motivi. La Provincia Regionale di Catania ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di un unico motivo. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3).

Violazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17 e del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 91 e segg..

Deducono i ricorrenti che avrebbe errato la corte di merito nell’affermare che l’incarico per le operazioni di collaudo debba essere conferito con contratto scritto a pena di nullità, firmato dal rappresentante dell’ Ente e dal professionista e che sia del tutto irrilevante l’esistenza della delibera di nomina emanata dall’organo collegiale dell’Ente, atteso che tale assunto contrasterebbe con l’art. 91 e segg. della legge sui lavori pubblici.

L’atto di nomina del collaudatore non sarebbe un qualsiasi contratto di locatio operis, bensì l’atto amministrativo con il quale si opera un conferimento di poteri, anche se in forma temporanea e straordinaria, ad un soggetto che si inserisce funzionalmente nell’apparato organizzativo del medesimo Ente.

Atto di nomina ed operazioni di collaudo non sarebbero atti autonomi, ma atti che si inseriscono in un procedimento amministrativo più complesso che si concluderebbe con l’approvazione del collaudo da parte dell’Ente appaltante.

Non avrebbe pertanto natura contrattuale e, quindi, avrebbe errato il giudice d’appello nel ritenere applicabili, nel caso di specie, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17 che prescrivono l’obbligo per l’Amministrazione di stipulare contratti in forma scritta. Con il secondo motivo denunciano omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio (art. 360 c.p.c., n. 5). Contraddittorietà della motivazione.

La Corte d’Appello, pur essendo partita dalla premessa che i collaudatori devono essere pagati dall’Amministrazione committente, poichè gli stessi sono inseriti funzionalmente nell’apparato organizzativo della P.A., avrebbe, poi, contraddittoriamente ritenuto necessaria l’esistenza di un contratto, che, per contro, non sarebbe previsto dalla legge.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3).

Violazione degli artt. 166 e 167 c.p.c..

Deducono i ricorrenti che l’Amministrazione avrebbe proposto tardivamente la domanda riconvenzionale, con la quale aveva chiesto al giudice di accertare l’inadempimento dei collaudatori nell’espletamento della loro attività.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4). Violazione dell’art. 112 c.p.c..

I ricorrenti avevano eccepito la decadenza dalla domanda di inadempimento, con la quale la Amministrazione aveva inteso paralizzare la pretesa degli stessi, perchè tardiva.

Il giudice avrebbe omesso di pronunciarsi su detta eccezione, incorrendo così nella denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c..

Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3) Violazione dell’art. 2697 c.c..

La P.A. non avrebbe fornito la prova dell’inadempimento dei collaudatori.

La prova dell’inadempimento sarebbe stata ravvisata in una lettera dell’ingegnere capo (del 24.10.1995) con cui l’Amministrazione era stata invitata a procedere all’approvazione del collaudo in forma parziale, avendo ravvisato alcune manchevolezze nell’operato dell’impresa e non dei collaudatori, senza che fosse stata prodotta in atti una qualche deliberazione, dalla quale evincere che il collaudo era stato approvato parzialmente o non era stato approvato affatto.

Per affermare la responsabilità del collaudatore sarebbe stato necessario accertare il collegamento tra l’agire del collaudatore e le ragioni che avrebbero indotto l’Amministrazione a rinnovare le operazioni di collaudo.

Con il sesto motivo i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3).

Violazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 102.

Nell’indicare le ragioni per le quali dovrebbe ritenersi l’inadempimento dei collaudatori il giudice a quo avrebbe dimostrato di non avere ben chiaro quale sia la funzione del collaudo e quali siano i compiti e/o i doveri dei collaudatori, avendo ravvisato l’inadempimento nel fatto di non avere i ricorrenti indicato, nel dettaglio, la tipologia di lavori da eseguire per ovviare al difetto riscontrato.

I collaudatori, invece, avrebbero appieno osservato quanto loro imposto dalla legge, avendo prescritto dove intervenire e quali fossero i lavori di riparazione da eseguire al fine di eliminare le infiltrazioni di acqua meteorica, lasciando all’impresa la scelta delle modalità per raggiungere lo scopo.

L’inadempimento sarebbe consistito, inoltre, nell’avere attribuito alla P.A. il compito di verificare l’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa, quando è la legge, invece, che attribuisce tale compito all’Amministrazione.

Qualora la stazione appaltante non condivida la conclusione del collaudatore potrebbe ordinare un nuovo collaudo, oppure, senza disporre un nuovo collaudo, potrebbe negare l’approvazione dei lavori e, quindi, rifiutare l’opera; in nessuna di queste ipotesi potrebbe, però, negare il compenso al collaudatore.

Con il ricorso incidentale la Provincia Regionale di Catania censura la sentenza impugnata per avere rigettato la eccezione di carenza di legittimazione passiva, da ritenersi, invece, fondata, atteso che con nota del 13.6.1989 il Presidente della Provincia, nel comunicare ai collaudatori l’incarico, aveva richiamato la convenzione stipulata con l’impresa appaltante, nella quale era espressamente previsto che nel corrispettivo della concessione era compreso il collaudo definitivo. Preliminarmente ricorso principale e ricorso incidentale, essendo proposti contro la medesima sentenza, devono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, che essendo logicamente connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

La Corte d’Appello, dopo avere affermato che il rapporto che lega i collaudatori con la P.A. è un rapporto di servizio e che debbono considerarsi quali organi tecnici straordinari dell’amministrazione, in contrasto con questa affermazione di principio afferma che il rapporto che lega la Provincia ed i collaudatori ha natura contrattuale e come tale ricade sotto il disposto del R.D. n. 2240 del 1923, artt. 16 e 17 in virtù dei quali tutti i contratti della pubblica amministrazione ed in genere degli enti pubblici, anche quando essi agiscono “iure privatorum” debbono essere stipulati per scritto a pena di nullità.

Tale affermazione è smentita da R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 92 (regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato, che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici), relativo alla nomina del collaudatore, dal quale si evince chiaramente che l’incarico al collaudatore viene conferito con un provvedimento di nomina; è smentita, altresì, dal costante orientamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte che ha più volte affermato che i compiti e le funzioni dei collaudatori di un’opera pubblica non possono qualificarsi come prestazione d’opera professionale, oggetto di un rapporto meramente privatistico (cfr.

cass. n. 1528 del 1996; cass. sez. un. n. 3358 del 1994; cass. sez. un. n. 4060 del 1993; cass. sez un. n. 2686 del 1976), essendo essi chiamati a svolgere compiti assunti in virtù di un rapporto connotato dall’esercizio di potestà amministrative operanti direttamente sui diritti ed interessi di terzi ed implicanti il compimento di atti d’ufficio, con poteri tecnici ed amministrativi nell’interesse della P.A. (cfr. Corte dei Conti n. 364 del 1991).

Pertanto è errata la affermazione della impugnata sentenza che la Delib. Consiglio Provincia Regionale Catania del 1989, con la quale è stato conferito ai professionisti su indicati l’incarico di collaudo, è un atto autorizzatorio del conferimento dell’incarico al professionista con efficacia meramente interna, dovendo essere, poi, seguito dalla stipula del contratto sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente e dal professionista.

Nel caso che ne occupa non si verte in una ipotesi di accordo con un professionista per la prestazione di un’opera professionale, ma in una ipotesi di conferimento di poteri che comportano l’inserimento, sia pur temporaneo, del professionista nell’apparato organizzativo della pubblica amministrazione, il che porta necessariamente a ritenere che alla base di tale inserimento vi sia un atto amministrativo (la nomina) e non un contratto della P.A..

Non può parlarsi, pertanto, di nullità del contratto di prestazione di opera professionale, perchè non stipulato in forma scritta, dovendosi ritenere che l’incarico è stato conferito con la delibera di cui sopra, solo atto necessario e sufficiente per il conferimento dello stesso.

il terzo ed il quarto motivo, che perchè connessi, possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

La Corte d’Appello ha ritenuto, dopo avere accertato quale fosse la data di costituzione della convenuta nel giudizio di primo grado, che detta costituzione era avvenuta entro i venti giorni antecedenti l’udienza di prima comparizione e che, quindi, fosse tempestiva, per cui la domanda riconvenzionale doveva ritenersi ammissibile. A questa specifica motivazione i ricorrenti non hanno rivolto altrettante specifiche censure, essendosi limitati a denunciare genericamente la tardività della domanda e l’omissione di una pronuncia sulla sollevata eccezione di decadenza. Ne deriva la inammissibilità di detti motivi di ricorso.

Il quinto ed il sesto motivi, che perchè connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

La corte di merito ha ritenuto sussistente l’inadempimento dei collaudatori ed affermato, pertanto, che questi non avevano diritto a pretendere il saldo dell’attività di collaudo dagli stessi espletata, per il fatto che gli stessi, riscontrata la esistenza di difetti dell’opera da collaudare, consistenti nelle infiltrazioni di umidità e di acqua, avevano proceduto al collaudo dell’opera, sottoponendolo alla condizione sospensiva della eliminazione dei difetti, la cui verificazione avrebbe dovuto essere accertata da parte della pubblica amministrazione, senza indicare dettagliatamente all’impresa, che aveva realizzato gli edifici scolastici, i lavori di riparazione che avrebbe dovuto effettuare per eliminare detti difetti e fissare il termine entro il quale avrebbero dovuto essere eseguiti.

Ciò in violazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 102 (che detta il regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici), il quale prevede che, nella ipotesi di difetti di poca entità e riparabili in breve tempo (tra i quali il giudice di merito ha incluso i difetti in questione), il collaudatore è tenuto a prescrivere specificamente all’appaltatore i lavori di riparazione e di completamento da eseguirsi assegnandogli un termine per compierli e a non rilasciare il certificato di collaudo sino a che da apposita dichiarazione dell’ingegnere capo risulti che l’appaltatore abbia completamente e lodevolmente eseguiti i lavori prescrittigli.

I collaudatori, violando tale disposizione con l’omettere di prescrivere specificamente i lavori da effettuare ed il termine in cui l’appaltatore avrebbe dovuto eseguirli, non avevano reso possibile alla Provincia accertare, tramite l’ingegnere capo, se i lavori prescrittigli fossero stati effettivamente completamente e lodevolmente eseguiti.

I ricorrenti assumono che la Provincia Regionale di Catania non avrebbe fornito la prova, che ad essa incombeva, dell’inadempimento, essendosi basata esclusivamente su di una nota del 24.10.1995 dell’ingegnere capo, con la quale l’Amministrazione era stata invitata a procedere all’approvazione del collaudo in forma parziale, ravvisando alcune manchevolezze nell’operato dell’impresa e non dei collaudatori.

Il collegio al riguardo osserva che dalla sentenza impugnata risulta che il giudice a quo non si è basato esclusivamente su detta nota, ma anche e soprattutto sulla relazione di collaudo per ritenere provati i fatti, in base ai quali ha ritenuto i collaudatori inadempienti.

Inoltre il giudice a quo non ha ritenuto i collaudatori inadempienti, secondo l’assunto dei ricorrenti, soltanto per non avere prescritto in dettaglio i lavori che l’appaltatore avrebbe dovuto eseguire per eliminare i difetti riscontrati dagli stessi collaudatori, ma anche per non avere assegnato all’appaltatore il termine entro il quale i difetti dovevano essere eliminati, e per il fatto che la mancanza di prescrizioni dettagliate e la prefissione di un termine precludevano alla amministrazione provinciale di poter verificare, poi, se i lavori erano stati eseguiti a regola d’arte con riferimento alle specifiche prescrizioni date dai col laudatori.

Sostengono ancora i ricorrenti che, qualora il collaudatore ritenga l’opera collaudabile e la stazione appaltante non ne condivida la conclusione, quest’ultima potrebbe ordinare un nuovo collaudo oppure, senza disporre una nuova collaudazione, potrebbe negare l’approvazione e, quindi, rifiutare l’opera; in entrambe le ipotesi non potrebbe mai negare il compenso al collaudatore, essendo questo collegato esclusivamente all’assolvimento dell’incarico e, quindi, alla emissione del certificato. Il collegio osserva che non può fondatamente ritenersi che il collaudatore abbia assolto l’incarico nella ipotesi in cui, come avvenuto nel caso di specie, non si sia attenuto integralmente alla normativa che disciplina il collaudo delle opere pubbliche; osserva inoltre che non è sufficiente, perchè sorga il diritto al compenso la effettuazione dell’attività di collaudo, ma è necessario che sia intervenuta anche l’approvazione del l’amministrazione.

Il collaudo delle opere pubbliche, come si evince dalla relativa normativa, il R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 91 e segg. integra un procedimento amministrativo, richiedente da un lato l’emissione del cd. certificato di collaudo, il quale racchiude il giudizio finale del collaudatore intorno all’opera e contiene la liquidazione del corrispettivo spettante all’appaltatore e, dall’altro, l’approvazione del collaudo da parte dell’amministrazione, che esprime sostanzialmente l’accettazione dell’opera per conto del committente e rende definitiva la predetta liquidazione. E’ in quest’ultimo momento e solo in questo momento che si perfeziona la fattispecie procedimentale della collaudazione di opere pubbliche generativa del diritto del collaudatore al compenso (cfr. in tal senso in motivazione cass. n. 2676 del 1976, resa a sezioni unite).

Per quanto precede il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale devono essere respinti.

La reiezione di questi motivi, nonostante l’accoglimento del primo e del secondo motivo, comporta il rigetto del ricorso, atteso che con le censure non accolte i ricorrenti censurano una delle due rationes decidendi (il ritenuto inadempimento dei collaudatori) idonea e sufficiente da sola per giustificare autonomamente la decisione del giudice di merito.

Con il ricorso incidentale la Provincia ha riproposto in appello l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, deducendo in proposito che “Il rapporto contrattuale è intercorso tra i collaudatori e la Finocchiaro Costruzioni”, che “la Provincia si è limitata esclusivamente alla designazione dei membri della Commissione di Collaudo ” e che “vi è prova in atti che gli acconti sono stati pagati dalla Impresa Finocchiaro “. La Corte d’Appello ha escluso che parte del “rapporto contrattuale” sia stata la società e non la Provincia, osservando che “i collaudatori di un ‘opera pubblica, i cui compiti e le cui funzioni comportano, da una parte, esercizio di poteri autoritativi nei confronti dell’appaltatore e , dall’altra, assoggettamento alle direttive della pubblica amministrazione committente ed alle istruzioni di un organo sovraordinato, quale l’ingegnere capo, sono soggetti inseriti funzionalmente nell’apparato organizzatorio deh pubblica amministrazione. Essi, quali organi tecnici straordinari, svolgono la propria attività nell’ambito di un rapporto di servizio in senso lato con la pubblica amministrazione, anche quando le predette funzioni siano affidate a privati estranei agli uffici tecnici dell’ente, come è avvenuto nella fattispecie.

Nè l’esistenza della clausola, inserita nel contratto stipulato tra la Provincia e la Società, con la quale le parti hanno convenuto che nel prezzo forfettario sono comprese anche le spese relative al collaudo definitivo nè l’avvenuto pagamento degli acconti relativi al compenso dei collaudatori da parte del concessionario possono indurre ad una diversa conclusione, essendo l’amministrazione concedente comunque obbligata nei confronti dei collaudatori al pagamento del compenso, Peraltro i collaudatori hanno richiesto il pagamento dei compenso sempre ed esclusivamente alla Provincia”.

A questa motivazione la Provincia ricorrente non ha mosso specifiche censure, essendosi limitata genericamente ad affermare che la convenzione con l’impresa prevedeva espressamente che nel corrispettivo della concessione era compreso anche il collaudo definitivo e che tale convenzione era stata richiamata nella comunicazione dell’incarico fatta ai collaudatovi, senza peraltro riportare, ai fini della autosufficienza del ricorso, la relativa clausola contrattuale ed il contenuto espresso di detta comunicazione.

La genericità della censura e la mancanza di autosufficienza comporterebbero la inammissibilità del ricorso incidentale. Tale ricorso, però, può ritenersi assorbito per difetto di interesse in considerazione dell’esito negativo del ricorso principale. Per quanto precede il ricorso principale deve essere rigettato; l’incidentale deve essere dichiarato assorbito, il che giustifica la compensazione delle spese giudiziali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito l’incidentale; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

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