Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12884 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 12884 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: D’ANTONIO ENRICA

SENTENZA
sul ricorso 6785-2011 proposto da:
CASA DI CURA SAN GIORGIO S.R.L. C.F. 00915420012, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUNONE
REGINA l, presso lo studio dell’avvocato CARLEVARO
ANSELMO, che la rappresenta e difende unitamente
2014

all’avvocato ARAGONA SERGIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1183

contro
ANDORNO TIZIANA C.F. NDRTZN57S698009M, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 109, presso lo

Data pubblicazione: 09/06/2014

studio

dell’avvocato

BERTOLONE

BIAGIO,

che

la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONACIS
LUCIA, giusta delega in atti;
– controrícorrente

avverso la sentenza n. 56/2010 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 08/03/2010 r.g.n. 744/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 01/04/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA
D’ANTONIO;
udito l’Avvocato CARLEVARO ANSELMO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

RG n 6785/2011

Casa di Cura San Giorgio srl Andorno Tiziana

Svolgimento del processo
Con sentenza dell’8 marzo 2010 la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del
Tribunale di Biella che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento di Tiziana Andomo
intimato in data 13/9/2007 per giusta causa dalla società Casa di Cura San Giorgio srl presso la
quale la ricorrente lavorava dal 1 ottobre 2001 come caposala, con consequenziale ordine di
reintegra e condanna al risarcimento del danno determinato in 7 mensilità .

svolgimento delle mansioni di caposala, l’erronea compilazione del registro stupefacenti e
l’esistenza di un conflitto di interessi in quanto era membro del consiglio di amministrazione della
Cooperativa Arti e Servizi che aveva in appalto la manutenzione delle aree verdi della Casa di Cura.
La Corte territoriale ha rilevato, con riferimento al mancato possesso da parte della lavoratrice del
titolo di infermiera professionale ma quello di vigilatrice di infanzia che la abilitava a svolgere le
mansioni di capo sala unicamente in un reparto pediatrico.che nessun illecito poteva essere imputato
alla lavoratrice in quanto pur in assenza del diploma di infermiera professionale l’assunzione come
caposala e il successivo svolgimento delle sole mansioni amministrative connesse a tale qualifica
non era circostanza che potesse integrare giusta causa di licenziamento in assenza di false
attestazioni della lavoratrice circa il possesso dei titoli professionali ed anzi in presenza dell’esatta
conoscenza dei fatti da parte del datore di lavoro fin da epoca anteriore all’assunzione.
In ordine alla contestazione circa i numerosi errori nella compilazione del registro di carico e
scarico degli stupefacenti e nell’ omissione dei doverosi controlli circa la regolare tenuta del
registro, la Corte ha rilevato che tutti i testi avevano confermato che lo scarico degli stupefacenti
veniva annotato sul registro dall’infermiere che somministrava la sostanza, controfirmato dal
medico che l’aveva prescritto, controllato dalla Andomo e firmato dal direttore sanitario ; che
inoltre le anomalie tOrmali del registro erano note alla Asl che non le aveva sanzionate, mentre non
vi era prova che presso la Casa di Cura si fosse mai verificata un’effettiva mancata corrispondenza
tra giacenze reali e giacenze risultanti dal registro.
1.a Corte pertanto ha concluso che non poteva essere addossato alla Andorno in qualità di caposala
la responsabilità dell’esatta compilazione e corretta tenuta del registro che competevano invece per
legge al dirigente medico e al direttore sanitario .
Con riferimento alla terza contestazione circa il conflitto di interessi a causa della duplice veste di
dipendente della Casa di cura e di amministratore di una Cooperativa che operava per la Casa di
cura . la Corte ha rilevato che la carica di consigliere di amministrazione della Cooperativa era
onoraria non remunerata, senza potere di firma dei contratti della cooperativa e che mancava

La società aveva contestato alla lavoratrice di non essere in possesso dei titoli necessari per Io

pertanto la prova che la ricorrente avesse concorso ad assumere qualsiasi decisione in ordine
all’esecuzione dell’appalto per la manutenzione delle aree verdi della Casa di Cura o che avesse
tratto un vantaggio dalla conclusione dell’appalto o della sua esecuzione.
Infine c irca I a richiesta di c onversione d el I icenziamento p er g iusta causa in I icenziamento p er
giustificato motivo una volta accertata la mancanza del titolo richiesto dalla legge per l’esercizio
della professione di infermiera la Corte ha rilevato l’inammissibilità di tale modifica stante
l’immutabilità dei motivi del licenziamento.

che dall’interrogatorio e dalla documentazione era già emersa l’attività svolta dalla lavoratrice ed i
compensi percepiti.
Avverso la sentenza ricorre la Casa di Cura formulando cinque motivi. Resiste la lavoratrice
depositando controricorso.
Motivi della decisione.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’articolo 137 del regio decreto n.
1265 del 1934, nonché dell’articolo 2106 c.c.
Richiama la normativa che impone per assumere l’incarico di caposala di essere in possesso del
diploma di infermiera professionale , normativa dalla quale emergeva la differenza rispetto al titolo
posseduto dalla lavoratrice di vigilatrice d’infitnzia, limitata all’assistenza dei minori.
Lamenta che la Corte non ha adeguatamente valutato la gravità del mancato possesso da parte della
Andorno del titolo idoneo previsto dalla legge per la qualifica di capo sala .
Con il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione all’articolo 360
n.4 c.p.c.
Rileva che la Corte aveva emesso una pronuncia in violazione dell’art 112 cpc in quanto la
ricorrente in primo grado si era limitata a dedurre il pieno possesso dei requisiti e titoli di legge per
l’espletamento delle mansioni . La Corte d’appello invece aveva posto a base della decisione
circostanze del tutto diverse non ritualmente dedotte in causa e cioè il mancato esercizio di attività
infermieristiche da parte della lavoratrice e la mancata attestazione da parte della Andorno circa la
qualifica non posseduta.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’articolo 3 della legge n. 604 del
1966. L amenta la mancata conversione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per
giustificato motivo oggettivo sul presupposto dell’immutabilità dei motivi del licenziamento.
Osserva che risultava ampiamente accertata la mancanza dei titoli per lo svolgimento della
mansione di caposala e che tale mancanza costituiva il più rilevante degli addebiti e dunque ben

Con riferimento all’eccezione sollevata dalla Casa di cura circa raliunde perccouni ha affermato

avrebbe la Corte potuto procedere d’ufficio alla conversione del relativo provvedimento di
licenziamento in giustificato motivo oggettivo.
Con il quarto motivo la Casa di Cura denuncia vizio di motivazione. Censura la sentenza
della Corte, avendo fornito una motivazione solo apparente, nella parte in cui non aveva addotto
ragioni di sorta in merito alla pacifica mancanza del titolo professionale .
Quanto poi all’esclusione di qualsiasi responsabilità della lavoratrice circa la tenuta del registro
degli stupefacenti rileva che la Corte si era limitata a riportare alcune deposizioni anche qui senza

registro.
Quanto al conflitto di interessi , lamenta che la Corte aveva omesso di prendere in considerazione i
numerosi elementi che emergevano ed in particolare che la Andorno partecipava alla Cooperativa
dal 2002 che dall’unica dichiarazione dei redditi depositata relativa al 2007 emergeva un reddito di
curo 80.000 di cui t 40.000 derivanti da lavoro autonomo . sicuramente provenienti da soggetti terzi
presumibilmente dalla Cooperativa e che il richiamo alle prove testimoniali risultava del tutto
inadeguato ad escludere la sussistenza del conflitto di interessi.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione in merito all’aliunde
perceptum. Lamenta il rigetto dell’ordine di esibizione e di richiesta di informazioni riproposto in
appello e sul quale la Corte non aveva motivato .
Le censure congiuntamente esaminate in quanto connesse , sono infondate .
Circa la mancanza del titolo di infermiera professionale la Corte ha rilevato che la Andorno, come
pacificamente ammesso dalla lavoratrice, era priva di detto diploma ; che all’epoca dell’assunzione
il datore di lavoro era consapevole dei titoli posseduti dalla stessa ( laurea in psicologia e diploma
di vigilatrice di infanzia ) come ampiamente dimostrato dall’istruttoria svolta e richiamata dalla
Corte: che fu assunta con qualifica di caposala per svolgere mansioni amministrative e non
infermieristiche e che di fatto aveva svolto solo dette mansioni amministrative .
La Corte ha, altresì. precisato che la Andorno non si era mai qualificata come infermiera
professionale e che mai aveva svolto le relative mansioni richiamando a tal proposito) le
dichiarazioni dei testi .
La ricorrente ha eccepito che il colpevole o doloso esercizio della mansione di caposala con la
consapevolezza di non possedere il titolo costituiva un illecito e rileva che la legge, allorché
sanziona l’esercizio abusivo di una professione, non richiede affitto né la spendita dell’abilitazione ,
né il verificarsi di un danno, ma soltanto il mero) esercizio dell’attività in mancanza dei categorici
requisiti di legge .

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valutarne la contraddittorietà e comunque senza valutare l’accertata ed evidente cattiva gestione del

I rilievi non sono fondati in relazione alla presente fattispecie in cui risulta ampiamente motivato
dalla Corte che la Andomo non ha svolto mansioni infermieristiche in ordine alle quali il titolo
posseduto la abilitava a svolgere attività solo nel settore della pediatria .
Non è , pertanto, censurabile quanto affermato dalla Corte secondo cui non sussisteva alcun illecito
nei confronti del datore di lavoro atteso che l’assunzione come capo sala e lo svolgimento delle sole
mansioni amministrative protrattosi per sei anni , l’assenza di false attestazioni ed anzi la
conoscenza da parte del datore di lavoro dei titoli professionali posseduti escludeva , sotto tale

Deve rilevarsi, inoltre, che come è noto, la valutazione della gravità degli addebiti e della loro
idoneità ad integrare giusta causa dflicenziamento si risolve in un apprezzamento di fatto riservato
al giudice di merito, il quale per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di
licenziamento, tale da comportare una grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di
lavoro ed in particolare di quello fiduciario, deve valutare da un lato la gravità dei fatti addebitati al
lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali
sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra i fatti

e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la
collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima
sanzione disciplinare, definitivamente espulsiva (cfr. ex plurimis Cass. 4 giugno 2002 n. 8107)
Non sussiste . inoltre, la violazione dell’art 112 cpc considerato che la Andomo ha sempre
affermato di avere il diploma di vigilatrice pediatrica e non quello di infermiera professionale , e,
comunque, di essere abilitata a svolgere le mansioni di fatto assegnatele .Spetta del resto al datore
di lavoro fornire la prova della fondatezza delle contestazioni e della loro gravità tale da giustificare
il licenziamento .
La sentenza impugnata non è altresì censurabile per aver ritenuto inammissibile la conversione dei
licenziamento per giusta causa in licenziamento per uiustificato motivo oggettivo .
Questa Corte ha ritenuto ammissibile la conversione del licenziamento per giusta causa in
licenziamento per giustificato motivo soggettivo . Si è affermato , infatti, ( cfr Cass n 837/2008, n
27104’2006) che la giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono
mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del
rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso, con il conseguente potere del
giudice – e senza violazione del principio generale di cui all’art. 112 cod. proc. civ. – di valutare un
licenziamento intimato per giusta causa come licenziamento per giustificato motivo soggettivo
(fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore

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profilo . la sussistenza di un fatto idoneo a giustificare il licenziamento .

di risol \ ere il rapporto), attribuendo al l’atto addebitato al lavoratore la minore gravità propria di
quest’ultimo tipo di licenziamento.
Nella specie . tuttavia, la società ricorrente ha chiesto la conversione in licenziamento per
giustificato motivo oggettivo i cui presupposti sono del tutto diversi da quelli per giusta causa o
giustificato motivo soggettivo oltre a richiedere la sussistenza della prova , da fornirsi dal datore
di lavoro, dell’impossibilità di una diversa collocazione del lavoratore .
Non sussiste , inoltre, vizio di motivazione della sentenza impugnata in quanto la Corte ha

La Corte d’Appello ha valutato correttamente il comportamento della lavoratrice con giudizio
immune da vizi che investendo una questione di merito sfuggono al sindacato della Cassazione.
La ricorrente si limita a proporre una diversa valutazione dei fatti formulando in definitiva una
richiesta di duplicazione del giudizio di merito .senza evidenziare contraddittorietà della
motivazione della sentenza impugnata o lacune così gravi da risultare detta motivazione
sostanzialmente incomprensibile o equivoca. Costituisce principio consolidato che “11 ricorso per
cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico-formale. delle argomentazioni svolte dal giudice di
merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le tonti del proprio convincimento.
di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del
processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi,
dando cosi liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo
della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi
sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente dei
mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o
rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni
complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logicogiuridico posto a base della decisione. ” ( CaSS n. 2357de1 07/02/2004; n 7846 del 4/4/2006: n
20455 del 21:9 , 2006; n 27197 del 16/12/2011) .
Anche con r iferimento al quinto motivo, la Corte ha a deguatamente m otivato le ragioni della
quantificazione del danno in base alla documentazione prodotta del tutto esaustiva al fine di
accertare eventuali corrispettivi ricevuti dalla Andorno una volta cessato il rapporto di lavoro con la
Casa di Cura rendendo del tutto superflue ulteriori indagini meramente esplorative suggerite dalla
ricorrente .
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analizzato in modo esauriente i fatti contestati .

Per le considerazioni che precedono il ricorso va rigettato con condanna della ricorrente a pagare le
spese del presente giudizio
PQM
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare le spese del presente giudizio liquidate in C
100,00 per esborsi ed E 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge .

Roma I A/2014

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