Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12883 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. III, 13/05/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 13/05/2021), n.12883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19166/2018 proposto da:

KATARSYS SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 87,

presso lo studio dell’avvocato ARTURO ANTONUCCI, che lo rappresenta

e difende unitamente agli avvocati ROBERTO VASSALLE, FRANCESCA

VIRGILI;

– ricorrente –

contro

UBI LEASING SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GAVINANA 1,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PECORA, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato FLAVIO GARRONE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 701/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 18/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

21/01/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto;

udito l’Avvocato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Ubi Leasing s.p.a., premesso di avere concesso in locazione finanziaria alla società convenuta un capannone ad uso officina meccanica, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Bergamo, con ricorso ai sensi dell’art. 702 c.p.c., depositato in data 30 ottobre 2015, Katarsys s.r.l. chiedendo l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto, per avere l’attrice dichiarato di avvalersi della clausola risolutiva espressa, e la condanna al rilascio dell’immobile. Si costituì la parte convenuta, eccependo preliminarmente l’improcedibilità della domanda per mancato esperimento dell’obbligatorio procedimento di mediazione e chiedendo la sospensione della causa pendendo opposizione al decreto ingiuntivo, di condanna al pagamento dei canoni scaduti, notificato da Ubi Leasing s.p.a. in data 29 dicembre 2015; nel merito chiese il rigetto della domanda ed in subordine in via riconvenzionale la condanna alla restituzione delle somme corrisposte per la locazione finanziaria.

2. Il Tribunale adito accolse la domanda, condannando la convenuta al rilascio dell’immobile.

3. Avverso detta sentenza propose appello Katarsys s.r.l.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello.

4. Con sentenza di data 18 aprile 2018 la Corte d’appello di Brescia rigettò l’appello. Osservò la corte territoriale che il leasing non era ricompreso nell’elenco di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, norma di carattere eccezionale a causa dei limiti posti al diritto di agire in giudizio, e che con riferimento al procedimento di opposizione al decreto ingiuntivo, stante l’intervento della decisione di primo grado, la norma di riferimento era l’art. 337 c.p.c., ma, dato il rigetto dell’opposizione, l’appellante non aveva interesse a far valere nel presente giudizio tale decisione. Aggiunse, quanto al motivo di appello relativo alla rilevata litispendenza con riferimento alla domanda di restituzione delle somme versate dall’utilizzatrice posta in via riconvenzionale con l’opposizione al decreto ingiuntivo, che la domanda di restituzione era stata proposta nel presente giudizio per il caso di accoglimento della domanda di risoluzione, mentre nel giudizio di opposizione era stata formulata dall’opponente in relazione alla domanda di nullità, annullamento o risoluzione e che “non essendo stata contestata nei motivi di appello l’anteriorità dell’altro giudizio (su cui quindi si è formato il giudicato) deve quindi condividersi che nello specifico ricorre una fattispecie di litispendenza nei termini rilevati dal Tribunale”.

5. Ha proposto ricorso per cassazione Katarsys s.r.l. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la parte intimata. E’ stata depositata memoria di parte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che i contratti di leasing sono riconducibili alla nozione di “contratti finanziari” di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, sia per la prevalente funzione di finanziamento del contratto, sia per la natura professionale della parte concedente (banche o intermediari finanziari), sicchè deve considerarsi obbligatorio il tentativo di mediazione

1.1 Il motivo è infondato. Deve darsi continuità alla giurisprudenza di questa Corte per la quale è da escludere l’estensione al leasing immobiliare della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis (Cass. 12 giugno 2018, n. 15200; 9 aprile 2019, n. 14904; 10 ottobre 2019, n. 30520). Sul punto è sufficiente richiamare la motivazione di Cass. n. 15200 del 2018: “Nella relazione illustrativa al D.Lgs. in parola si legge che la volontà del legislatore è quella di riferirsi ai “rapporti bancari” ovvero ai “contratti di servizi” quali quelli finanziari. Nella medesima prospettiva, nella stessa relazione, si menzionano le esperienze conciliative del D.Lgs. 8 settembre 2007, n. 179, e quella del procedimento istituito in attuazione dell’art. 128 bis, del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385. E’ quindi sufficientemente chiaro il richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB, nonchè alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e succ. mod., v. in specie all’art. 1). In questa cornice normativa, come accenna anche il pubblico ministero nella sua requisitoria scritta, non è possibile estendere l’area della condizione di procedibilità alla diversa ipotesi di leasing immobiliare anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento specificatamente funzionali, però, all’acquisto ovvero all’utilizzazione di quello specifico bene coinvolto”.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 295 e 337 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo è stata contestata la sussistenza dell’inadempimento in base al quale la società di leasing aveva ritenuto risolto il contratto ed agito per il rilascio e che l’accertamento in ordine alla sussistenza di tale inadempimento è pregiudiziale rispetto all’accoglimento della domanda di rilascio. Aggiunge che se è pur vero che, ove accolta la domanda di nullità o annullamento proposta nell’opposizione all’ingiunzione, l’immobile deve essere rilasciato, ma ciò sulla base di un titolo di rilascio diverso dall’inadempimento della conduttrice e che non è mai stata chiesta l’applicazione dell’art. 337, non avendo il ricorrente interesse ad invocare l’autorità di una sentenza sfavorevole.

2.1. Il motivo è inammissibile. Assorbente è il rilievo che la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra due cause sia concreto ed attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale deve essere tuttora pendente, non giustificandosi diversamente la sospensione, che si tradurrebbe in un inutile intralcio all’esercizio della giurisdizione, sicchè, quando una sentenza sia impugnata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, è onere del ricorrente provare che la causa pregiudicante sia pendente e resti presumibilmente tale sino all’accoglimento del ricorso, mancando, in difetto, la prova dell’interesse concreto e attuale all’impugnazione, perchè nessun giudice, di legittimità o di rinvio, può disporre la sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra causa non più effettivamente in corso (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26716). In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non risulta specificatamente indicato se la causa asseritamente pregiudicante sia pendente.

Ad ogni buon conto va rammentato che, in presenza di decisione della causa asseritamente pregiudicante, la sospensione è quella facoltativa di cui all’art. 337 c.p.c. e che quest’ultima rientra nel potere discrezionale del giudice di merito: il sindacato in sede di legittimità è limitato, oltre che alla verifica dei presupposti giuridici dell’esistenza del potere, al controllo dell’esistenza del requisito motivazionale (fra le tante da ultimo Cass. 8 luglio 2020, n. 14146). La censura non risulta formulata in tali termini.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 1526 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la domanda di restituzione dei canoni corrisposti è stata proposta con riferimento alla domanda di nullità, annullamento o risoluzione del contratto per responsabilità del concedente, mentre nella presente causa la domanda riconvenzionale di restituzione è stata proposta ai sensi dell’art. 1526 c.c., in via subordinata per l’ipotesi di accoglimento della domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto proposta dalla concedente, e che pertanto, stante la diversità di causa petendi (essendo comune solo il petitum), non può esservi litispendenza. Aggiunge che risulta violato l’art. 112.

Il motivo è fondato. Mentre nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’utilizzatore ha proposto l’istanza di ripetizione dei canoni corrisposti in relazione alla domanda di nullità, annullabilità o risoluzione per inadempimento del concedente, nel presente giudizio la domanda di ripetizione è stata proposta quale effetto dell’accoglimento della domanda di accertamento della risoluzione di diritto ai sensi dell’art. 1456 c.c., per l’inadempimento dell’utilizzatore medesimo. Il primo petitum ha come causa petendi l’invalidità del contratto o comunque la sua risoluzione per fatto imputabile al concedente, il secondo petitum ha invece come causa petendi il diritto dell’utilizzatore, riconosciuto dall’art. 1526, per il caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento del medesimo utilizzatore. Trattandosi di diritti di credito, essi sono eterodeterminati, possono cioè sussistere simultaneamente più volte con lo stesso contenuto fra i medesimi soggetti e sono individuati non solo dal loro contenuto, ma anche dal fatto costitutivo. Che la causa petendi del diritto di restituzione contemplato dall’art. 1526, sia diversa da quella della situazione soggettiva azionata nell’opposizione a decreto ingiuntivo, determinando così la diversità dei diritti, trova conferma nel temperamento che il diritto può subire per effetto dell’equo compenso per l’uso della cosa eventualmente dovuto al concedente. Ricorre così un’ipotesi di diritti concorrenti, aventi ad oggetto la medesima prestazione e diretti al medesimo scopo economico, ma con un diverso fatto costitutivo.

I diritti concorrenti costituiscono situazioni soggettive autonome, la cui particolarità è che, stante l’identità dello scopo, l’estinzione per adempimento dell’una provoca il venir meno anche dell’altra. Per il resto i due diritti sono indipendenti e possono essere oggetto di disposizione separata ed avere anche distinti termini prescrizionali. Essendo diversi i rapporti giuridici, differenti sono anche le azioni attribuite al titolare: ciascun diritto può essere fatto valere autonomamente rispetto all’altro. Ne consegue che l’esercizio di una azione in separato processo, quando sia stata già proposta l’altra, non può trovare ostacolo nell’eccezione di litispendenza.

Il giudice di merito, reputando sussistente una fattispecie di litispendenza, ha violato il suddetto principio di diritto, al quale dovrà invece adeguarsi in sede di rinvio.

P.Q.M.

accoglie il terzo motivo, rigettando per il resto il ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Brescia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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