Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12880 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 04/05/2010, dep. 26/05/2010), n.12880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22754/2005 proposto da:

P.O. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DEI GRACCHI 187, presso l’avvocato MAGNANO DI SAN LIO

GIOVANNI, rappresentato e difeso dall’avvocato DE MAURO Ignazio,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RADDUSA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA OPPIDO MAMERTINO 4, presso lo STUDIO

ZAMBRANO, rappresentato e difeso dall’avvocato GAROFALO Giampietro,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 534/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 17/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

04/05/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del primo motivo

di ricorso e per l’accoglimento del secondo motivo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.O. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Catania il Comune di Raddusa, esponendo che la Giunta municipale di Raddusa, con Delib. 15 novembre 1988, gli aveva affidato l’incarico della redazione di un progetto esecutivo e della relativa direzione dei lavori per la realizzazione di un impianto sportivo coperto polivalente ed aveva approvato il disciplinare di incarico, già sottoscritto per accettazione dal tecnico incaricato; che egli aveva trasmesso al Comune in un primo tempo tre copie degli elaborati tecnici progettuali e relazione tecnico-amministrativa (in data 19.2.1991) e successivamente gli elaborati progettuali completi per gli adempimenti di competenza (in data 22.6.1991); che il Comune aveva inserito la realizzazione dell’impianto sportivo nel programma triennale delle oo.pp. 1996-1998, allegato alla Delib. C.C. 4 luglio 1996, ed aveva trasmesso, con nota del 2.7.1991 due copie del progetto alla U.S.L. di Palagonia per il relativo parere igienico- sanitario; che egli, avendo espletato l’incarico, aveva diritto al compenso per l’attività professionale prestata sulla base della liquidazione del Consiglio dell’ordine professionale. Deduceva inoltre la nullità dell’art. 14 del disciplinare di incarico, che prevedeva la competenza per eventuali controversie di un collegio arbitrale, in quanto clausola vessatoria.

Tanto premesso, il P. chiedeva al Tribunale di dichiarare la nullità di detta clausola e di condannare il Comune al pagamento, eventualmente anche ai sensi dell’art. 2041 c.c., della somma di L. 174.272.126, oltre a L. 2.180.000 per oneri di liquidazione C.N.P.A.I.A.L.P. ed agli interessi al tasso ufficiale di sconto.

Il Comune adito chiedeva il rigetto della domanda, assumendo in particolare che il rapporto obbligatorio intercorreva tra l’attore e l’amministratore che aveva consentito la prestazione del servizio, ai sensi della L. n. 144 del 1989, art. 23, perchè nè nella deliberazione di conferimento dell’incarico nè nel disciplinare vi era menzione dell’impegno contabile registrato dal ragioniere sul competente capitolo di bilancio.

Il Tribunale adito rigettava la domanda.

Detta sentenza veniva impugnata dal P. dinanzi alla Corte d’Appello di Catania, che respingeva il gravame, compensando interamente tra le parti le spese del giudizio.

Avverso detta sentenza P.O. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi illustrati con memoria. Il Comune di Raddusa ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 112 e 347 c.p.c., della L. n. 144 del 1989, art. 23, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la Corte d’Appello pronunciato d’ufficio la nullità del contratto d’opera professionale, per mancanza della forma scritta, richiesta dalla legge a pena di nullità per i contratti della P.A..

Con tale pronuncia la Corte di merito avrebbe violato l’art. 112 c.p.c., in quanto la mancanza della sottoscrizione del contratto fra le parti non era stata eccepita dal Comune nè in primo grado nè nel corso del giudizio di appello.

Nè nella fattispecie sarebbe applicabile la L. n. 144 del 1989, art. 23, sia perchè entrato in vigore dopo l’adozione della delibera di incarico, sulla cui validità tale norma non potrebbe incidere, sia in considerazione del fatto che nella stessa delibera era comunque previsto che gli oneri conseguenti sarebbero stati affrontati dall’Amministrazione ricorrendo al credito sportivo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 112 e 347 c.p.c., L. n. 144 del 1989, art. 23 e art. 2041 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Avrebbe errato la Corte d’Appello nel rigettare la domanda formulata ai sensi dell’art. 2041 c.c., atteso che, nella fattispecie, sussisterebbero tutti i presupposti di fatto e di diritto per il suo accoglimento.

La Corte d’Appello, pur avendo il Comune escluso di avere in qualche modo riconosciuto la utilità dell’opera e, quindi, senza che lo stesso avesse formulato una qualche ammissione circa l’avvenuto riconoscimento dell’utilità dell’opera e in ordine all’epoca dell’avvenuto riconoscimento, violando l’art. 112 c.p.c., avrebbe ritenuto che la fattispecie di indebito arricchimento si sarebbe perfezionata nel 1966, allorquando il Consiglio Comunale aveva approvato il piano triennale delle OO.PP., che includeva anche il progetto del P.. In considerazione di tale circostanza avrebbe ritenuto applicabile al caso di specie la L. n. 144 del 1989, art. 23, ed inammissibile l’azione di cui all’art. 2041 c.c., in quanto sussidiaria rispetto a quella diretta nei confronti dell’amministratore o del funzionario responsabile dell’acquisizione della prestazione resa dal ricorrente.

La Corte, inoltre, avrebbe erroneamente interpretato l’art. 23 su citato, non avendo considerato che, nel caso che rie occupa, la progettazione e la realizzazione dell’opera pubblica andava effettuata con il ricorso al finanziamento da parte del Credito Sportivo e che, quindi, detta norma non è applicabile nel caso in cui sia previsto un finanziamento dell’incarico estraneo al bilancio dell’ente; non avendo, altresì, considerato che il riconoscimento dell’utilitas potrebbe ben verificarsi dopo l’entrata in vigore di detta norma, purchè l’incarico sia precedente.

La Corte sarebbe incorsa in errore anche per non aver ritenuto influente il fatto che mentre il riconoscimento dell’utilitas era avvenuto dopo l’entrata in vigore della L. n. 144 del 1989, l’atto deliberativo, che si assume viziato dalla mancanza di copertura finanziaria, era stato adottato nel 1988, cioè prima della sua entrata in vigore.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte d’Appello compensato fra le parti le spese del giudizio, dovendo far carico al Comune di Raddusa “che risulterà soccombente”.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Il collegio osserva che mentre il Tribunale di Catania ha rigettato la domanda de P., ritenendo nulla la delibera di incarico al P. ai sensi della L. n. 144 del 1989, art. 23, per la mancata previsione nella delibera stessa dell’impegno di spesa, la Corte d’Appello ha, invece, ritenuto del tutto irrilevante la mancanza nella delibera di incarico adottata dall’organo collegiale del Comune dell’impegno di spesa, venendo preliminarmente in considerazione, nel caso di specie, il fatto che questa non fosse stata seguita dal contratto stipulato in forma scritta, richiesta a pena di nullità per i contratti della P.A., tra il Sindaco, che è l’organo che ha il potere di rappresentare il Comune, ed il professionista.

Il ricorrente assume che il giudice a quo non avrebbe potuto rilevare detta nullità d’ufficio.

L’assunto non può essere condiviso.

Questa Suprema Corte in un caso analogo ha affermato il principio, che il collegio condivide, secondo cui la nullità del contratto d’opera professionale intercorso con un Comune, per difetto del requisito della forma scritta, richiesta “ad substantiam”, può essere rilevata d’ufficio dal giudice investito dalla domanda del professionista diretta al pagamento del compenso, anche in grado d’appello, indipendentemente dall’attività assertiva del convenuto, salvo che sulla validità del contratto vi sia stata pronunzia da parte del giudice di primo grado, non investita da specifico motivo di gravame (cfr. Cass. n. 4185 del 1997).

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente, reiterando una censura già in parte avanzata con il primo motivo, sostiene la inapplicabilità, nel caso di specie, della L. n. 144 del 1989, art. 23: 1) perchè nella delibera di incarico, adottata dell’organo collegiale del Comune, sarebbe stato previsto che gli oneri per la progettazione e la realizzazione dell’opera pubblica sarebbero stati sostenuti con il ricorso al finanziamento del Credito Sportivo; 2) perchè detta norma sarebbe stata emanata dopo l’adozione della delibera di incarico.

Conseguentemente dovrebbe trovare applicazione l’art. 2041 c.c., anche se il riconoscimento della utilitas della prestazione è intervenuto dopo l’entrata in vigore di detta disposizione di legge.

La censura non può essere condivisa.

Per quanto riguarda la prima questione, attinente alla fonte del finanziamento, non risulta dalla sentenza impugnata che la stessa sia stata sollevata tempestivamente nel giudizio di merito, nè il ricorrente ha indicato l’atto in cui la questione sia stata eventualmente proposta. Trattasi, pertanto, di questione nuova, che richiederebbe accertamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità, e da ritenersi, quindi, inammissibile, non potendo essere proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione.

Per quanto riguarda la questione, di cui al punto 2.), vale a dire l’assunto secondo cui il D.L. n. 66 del 1989, art. 23, convertito in L. n. 144 del 1989, non potrebbe trovare applicazione, essendo stata la Delib. 15 novembre 1988, adottata prima della entrata in vigore di detta legge, il collegio osserva.

Secondo il citato D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, comma 3 (convertito nella L. n. 144 del 1989) le amministrazioni provinciali, i Comuni e le comunità mortane potevano ritenersi autorizzate alla effettuazione di spese soltanto se sussistevano: 1) una deliberazione autorizzativa nelle forme previste dalla legge e divenuta esecutiva;

2) il relativo impegno contabile registrato dai ragioniere o dal segretario, ove non esistesse il ragioniere, sul competente capitolo del bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati.

Il comma 4 della citata norma prevedeva, poi, che nel caso vi fosse stata acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma terzo, il rapporto obbligatorio intercorreva, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che avessero consentita la fornitura.

La disposizione del citato art. 23 (compresi quindi il comma 3 e 4) dal D.L. n. 6 del 1991, art. 12 bis, convertito in L. n. 80 del 1991, è stata estesa anche alle opere, alle forniture di beni e servizi, alle prestazioni o alle pendenze comunque costituite in epoca successiva al 12 giugno 1990, escludendo così, che a partire da tale data, potesse applicarsi alle stesse la normativa sul riconoscimento di debiti fuori bilancio, di cui al D.L. n. 66 del 1989, art. 24 (convertito nella L. n. 144 del 1989).

La citata normativa, accanto al divieto per le amministrazioni summenzionate di effettuare qualsiasi spesa in mancanza di una delibera autorizzativa, adottata nelle forme previste dalla legge, divenuta esecutiva, nonchè del relativo impegno contabile sul competente capitolo del bilancio di previsione, ha introdotto la responsabilità, nella ipotesi di acquisizione di opere, beni o servizi in violazione di detto divieto, del funzionario o dell’amministratore che avesse prestato il proprio consenso, il quale, quindi, era tenuto a rispondere del corrispettivo della prestazione, escludendo, così, che il pagamento dello stesso potesse essere posto a carico dell’amministrazione in virtù del principio di immedesimazione organica.

Dalla norma in esame si evince, altresì, che l’acquisizione della prestazione segna il momento del perfezionamento della fattispecie e da questo momento sorge il diritto di chi l’ha effettuata di chiederne direttamente il pagamento all’amministratore o al funzionario che l’ha “consentita”.

Al fine della decisione della presente controversia appare opportuno porre in evidenza che con sentenza n. 12195 del 2005 le sezioni unite di questa Suprema Corte hanno affermato il principio secondo cui nel vigore del combinato disposto del R.D. 3 marzo 1934, n. 383, artt. 284 e 288 (testo unico della legge comunale e provinciale), la delibera con la quale i competenti organi comunali o provinciali affidano ad un professionista privato l’incarico per la progettazione di un’opera pubblica, è valida e vincolante nei confronti dell’ente locale soltanto se contenga la previsione dell’ammontare del compenso dovuto al professionista e dei mezzi per farvi fronte e che l’inosservanza di tali prescrizioni determina la nullità della delibera, nullità che si estende al contratto di prestazione d’opera professionale poi stipulato con il professionista, escludendone l’idoneità a costituire titolo per il compenso.

Alla luce di questa decisione si deve fondatamente ritenere che la L. n. 144 del 1989, art. 23, comma 3, con l’introdurre il divieto summenzionato, non ha innovato rispetto alla precedente normativa di cui al R.D. n. 383 del 1934, artt. 284 e 288, ma ne ha sostanzialmente riprodotto il contenuto.

L’innovazione è dovuta invece alla introduzione della responsabilità dell’amministratore di cui al comma 4 del citato art. 23.

Tale nuova disposizione comportava che, mentre prima della sua entrata in vigore, nella ipotesi di nullità della delibera e del successivo contratto per mancanza della copertura finanziaria, il soggetto che aveva effettuato la prestazione poteva esperire nei confronti della P.A., che ne avesse riconosciuto l’utilitas, l’azione di indebito arricchimento di cui all’art. 2041 c.c., successivamente alla vigenza di detta norma tale azione non era più proponibile, atteso che, essendo un’azione di carattere sussidiario che, come tale, presuppone la mancanza della possibilità di esperire altro mezzo di tutela, restava esclusa dalla proponibilità dell’azione nei confronti dell’amministratore o del funzionario che aveva consentito l’acquisizione della prestazione.

Nel caso che ne occupa, la delibera di conferimento dell’incarico professionale è stata adottata il 15.11.1988 nella vigenza del R.D. n. 383 del 1934, artt. 284 e 288, e deve ritenersi nulla, per la mancanza dell’impegno di spesa, in virtù della violazione di dette norme, come avrebbe dovuto ritenersi nulla se fosse stata adottata nella vigenza della L. n. 144 del 1989, art. 23, comma 3, che non ha innovato la precedete normativa.

L’acquisizione della prestazione, effettuata in base al conferimento dell’incarico nullo, è avvenuta, invece, nel 1991, con la consegna del progetto al Comune ed in maniera definitiva con l’inserimento del progetto redatto dal ricorrente nel programma triennale delle OO.PP. 1996-1998, approvato dal Consiglio Comunale di Raddusa con Delib. 4 luglio 1996, n. 50. La fattispecie prevista dal comma 4 del più volte citato art. 23 si è perfezionata pertanto nella vigenza di detta norma, il che porta ad escludere la esperibilità, nel caso di specie, dell’azione ex art. 2041 c.c..

Il giudice a quo ha ritenuto applicabile detta normativa al caso di specie, in considerazione del fatto che la L. 24 aprile 1989 n. 144, art. 23, era già in vigore nel momento in cui nel 1996 il progetto del P. (consegnato al Comune di Raddusa nel 1991) è stato inserito nel programma triennale delle opere pubbliche 1996-1998, approvato dal Consiglio Comunale con Delib. 4 luglio 1996 n. 50, vale a dire nel momento in cui si è perfezionata la fattispecie dell’arricchimento senza causa con il riconoscimento dell’utilitas della prestazione professionale da parte dell’organo deliberativo dell’Ente territoriale. Ne ha tratto la conclusione, che l’azione di arricchimento senza causa, essendo un’azione sussidiaria, non poteva essere proposta dal P. nei confronti del Comune, disponendo il professionista di un’azione diretta nei confronti degli amministratori a causa della violazione dell’obbligo indicato nel comma 3 dell’art. 23 della citata legge, azione che non potrebbe ritenersi esclusa per il fatto che la delibera di conferimento dell’incarico risalisse al 15.11.1988, non rilevando, ai fini dell’applicabilità di detta legge, l’epoca di conferimento dell’incarico, ma il momento in cui si è perfezionata l’obbligazione nascente dalla legge dell’arricchimento senza causa.

Tale tesi merita di essere condivisa, atteso che il momento in cui il progetto è stato depositato presso il Comune e soprattutto il momento in cui lo stesso, nel 1996, è stato inserito dal Consiglio Comunale nel programma triennale delle opere pubbliche 1996-1998 è il momento in cui può ritenersi effettivamente e definitivamente “consentita la fornitura”, e, quindi, il momento che va preso in considerazione al fine dell’applicazione della L. n. 144 del 1989, art. 23, comma 4.

Anche il motivo in esame deve essere, quindi, ritenuto infondato.

Il terzo motivo, con cui si censura la statuizione sulle spese devesi ritenere assorbito, in conseguenza del mancato accoglimento dei precedenti motivi di ricorso. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente, in ossequio al principio della soccombenza, deve essere condannato a pagare alla amministrazione resistente le spese del giudizio di legittimità, che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento a favore dell’amministrazione resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.700,00 (duemilasettecento), di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

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