Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12880 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. III, 13/05/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 13/05/2021), n.12880

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 5807/18 proposto da:

Banca Carige s.p.a. – Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato a Roma, via Arno n. 88, difeso dagli avv.ti Ferdinando

Acqua Barralis e Camillo Ungari Trasatti, in virtù di procura

speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.B., P.B. e Residenza Laigueglia s.r.l.,

quest’ultima in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati a Roma, v. Luca Gaurico n. 257, difesi

dagli avv.ti Marco Lupo, e Giovanni Folli, in virtù di procura

speciale apposta in calce al controricorso;

– controricorrenti –

nonchè

Prelios Credit Servicing s.p.a., quale mandataria della San Paolo IMI

s.p.a.;

-) Agenzia delle Entrate – Riscossione;

-) Banca Nazionale del Lavoro s.p.a.;

-) Unicredit s.p.a.;

-) Banca Popolare di Novara s.p.a.;

-) Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.;

-) Cassa di Risparmio di Firenze s.p.a.;

Condominio (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova 8 settembre 2017

n. 1105;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19 gennaio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti;

viste le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha

concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 1993 la Cassa di Risparmio di Torino iniziò l’esecuzione forzata per espropriazione immobiliare nei confronti della società “Residenza Laigueglia s.r.l.”, nonchè nei confronti di P.B. e di B.B..

Nella procedura, cui nel frattempo erano stati riuniti altri tre procedimenti di esecuzione, intervenne – senza titolo esecutivo – la Carige s.p.a. con atto del 10.12.1993.

Intervenendo, la Carige dedusse che:

-) la società Residenza Laigueglia era propria debitrice sia per scoperto di conto corrente, sia per avere garantito i debiti della società B.A. s.r.l., a sua volta debitrice della banca Carige;

-) B.B. era debitore della Carige sia per scoperto di conto corrente, sia per avere garantito – unitamente a P.B. – i debiti della società B.A. s.r.l. e della Residenza Laigueglia s.r.l. verso la banca;

-) P.B. era debitrice della banca sia per avere garantito – unitamente a B.B. – i debiti della B.A. s.r.l. e della Residenza Laigueglia s.r.l. verso la banca; sia per avere garantito i debiti verso la banca di B.B..

2. Secondo quanto riferito nel ricorso, circa un anno dopo tale intervento, la Carige “intervenne nuovamente” nel processo di esecuzione, questa volta allegando quale titolo esecutivo un atto pubblico di ricognizione di debito con contestuale concessione di ipoteca volontaria da parte di P.B..

In tale atto P.B. aveva garantito con ipoteca i crediti vantati dalla Carige nei confronti della Residenza Laigueglia e di B.B..

3. Pervenuta l’esecuzione alla fase della distribuzione di quanto ricavato dalla vendita forzata degli immobili pignorati, nel 2007 P.B., B.B. e la Residenza Laigueglia s.r.l. proposero opposizione al progetto di distribuzione.

A fondamento della domanda gli opponenti dedussero che la Carige, priva di titolo esecutivo, in quel progetto era stata ammessa a partecipare alla distribuzione del ricavato sulla base di semplici “certificati di saldaconto”, nei quali il credito complessivo della banca era stato determinato applicando interessi anatocistici e comunque illegittimi, in quanto pretesi in misura ultralegale sulla base di una clausola nulla, che determinava il saggio degli interessi di mora mediante rinvio “agli usi su piazza”.

4. Con sentenza 22 agosto 2013 n. 697 il Tribunale di Savona accolse l’opposizione; revocò il progetto di distribuzione; ordinò al professionista delegato dal giudice dell’esecuzione di predisporre un nuovo progetto di distribuzione, nel quale calcolare ed esporre il credito della Carige al netto degli interessi; ordinò alla Carige di versare su un libretto di deposito postale le somme già percepite sulla base del progetto di distribuzione revocato.

La sentenza venne appellata dalla Carige in via principale e da P.B., B.B. e dalla Residenza Laigueglia in via incidentale.

5. La Corte d’appello di Genova, con sentenza 8 settembre 2017 n. 1105 rigettò il gravame principale ed accolse l’incidentale.

La Corte d’appello ritenne che:

-) correttamente il Tribunale aveva reputato nulla la clausola contrattuale di rinvio agli usi per la determinazione degli interessi debitori, e altrettanto correttamente aveva reputato imprescrittibile la relativa azione, ex art. 1422 c.c.;

-) la banca non aveva provato il proprio credito, non avendo mai depositato gli estratti conto o le scritture contabili che lo dimostrassero; nè la banca poteva invocare, a propria scusante, la norma che obbliga gli istituti di credito a conservare le scritture contabili solo per dieci anni dall’ultima registrazione, dal momento che tale norma non ha lo scopo di sollevare l’istituto di credito dall’onere della prova;

-) tale mancanza di prova non era sanata dall’atto di concessione di ipoteca volontaria sottoscritto da P.B., in quanto tale atto si limitava a riconoscere l’esistenza dei debiti di B.B. e della Residenza Laigueglia verso la banca e non poteva “avere valenza di titolo esecutivo autonomo”;

-) l’indeterminabilità dei crediti vantati dalla banca rendeva nulle le fideiussioni prestate dagli opponenti.

5.1. La Corte d’appello accolse invece l’appello incidentale proposto da P.B. rilevando che, fra tutti i crediti invocati dalla banca, uno solo ve ne era, rispetto al quale sussisteva la prova dell’obbligazione e la validità della fideiussione: e cioè il credito scaturente da un finanziamento concesso dalla Carige a B.B. il 23 febbraio 1990, per l’importo di Lire 41.600.000. La Corte d’appello pertanto concluse affermando che l’obbligazione di garanzia prestata da P.B. doveva ritenersi contenuta nel limite di Euro 48.071,80 (la sentenza non spiega come sia pervenuta a determinare tale importo).

6. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Carige con ricorso fondato su tre motivi.

P.B., B.B. e la Residenza Laigueglia s.r.l. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Ritiene doveroso il collegio rilevare preliminarmente che l’opposizione oggetto del presente giudizio è stata proposta il 30.7.2007, in sede di distribuzione del ricavato della vendita forzata (cfr. ricorso, p. 16, e controricorso, p. 4). Essa, però, non investe i criteri di riparto del ricavato, ma contesta lo stesso diritto della Carige di procedere in executivis.

Tuttavia qualsiasi ipotetica violazione, da parte del giudice di merito, dell’art. 615 c.p.c., comma 2 (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 3 maggio 2016, n. 59, art. 4, comma 1, lett. l), convertito dalla L. 30 giugno 2016, n. 119), non è stata presa in esame dalla Corte d’appello e non viene prospettata come motivo di ricorso.

Non è dunque possibile in questa sede sindacare se l’opposizione sia stata tempestiva o tardiva.

2. Col primo motivo di ricorso la Carige lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto sussistente un giuridico interesse ex art. 100 c.p.c., in capo a P.B., B.B. e Residenza Laigueglia s.r.l., a proporre l’opposizione.

Osserva la ricorrente che tanto nell’ipotesi in cui fosse ammessa a partecipare alla distribuzione del ricavato nella misura da essa invocata; quanto nell’ipotesi in cui fosse ammessa a partecipare alla distribuzione nei limiti della minor somma invocata dagli opponenti, questi ultimi comunque non ne trarrebbero alcun vantaggio.

Nell’originario progetto di distribuzione, infatti, alla Carige erà stata attribuita la somma di Euro 209.450,23.

Tuttavia l’ultimo creditore ipotecario in ordine di graduazione, e cioè la banca Monte dei Paschi di Siena, vantava nei confronti degli opponenti un credito di Euro 534.624,59, e tale credito era stato soddisfatto solo per l’importo di Euro 51.192,92.

Di conseguenza, in caso di accoglimento dell’opposizione, l’unico effetto sarebbe stato l’accrescimento delle somme dovute alla banca Monte dei Paschi di Siena, senza nessun vantaggio o riconoscimento di somme aggiuntive residue agli odierni controricorrenti.

1.1. Il motivo – come condivisibilmente rilevato anche dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni scritte – è infondato.

Il debitore esecutato ha infatti interesse ex art. 100 c.p.c., all’accertamento dell’esistenza e della misura del credito vantato dai vari creditori procedenti intervenuti (almeno) per due ragioni:

-) sia perchè il pagamento non integrale di uno tra loro lo esporrebbe al rischio di ulteriori azioni esecutive;

-) sia perchè nel caso di specie il debitore esecutato è un fideiussore, ed il mancato accertamento dell’inesistenza del credito contestato nuocerebbe alla sua azione di regresso nei confronti del debitore principale.

2. Col secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1283,1342,1418,1939,1957,1988 c.c., nonchè del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 120.

Il motivo, se pur formalmente unitario, contiene in realtà plurime censure, così riassumibili:

a) ha errato la Corte d’appello nel ritenere nulle le fideiussioni sottoscritte da P.B.; quelle fideiussioni si sarebbero invece dovute ritenere valide perchè:

a1) non erano fideiussioni tipiche, ma contratti autonomi di garanzia, come tali validi a prescindere dalla validità del contratto principale;

a2) in ogni caso quei contratti prevedevano un’apposita clausola di rinuncia del garante a far valere le cause di invalidità del contratto principalee e questa clausola era stata espressamente approvata per iscritto;

b) ha errato la Corte d’appello nel ritenere nulle le fideiussioni prestate dagli opponenti, in quanto la nullità della pattuizione di interessi ultralegali non si estende al contratto autonomo di garanzia stipulato a garanzia del pagamento di quelli;

c) infine, ha errato la Corte d’appello nel trascurare di considerare che qualsiasi nullità del contratto principale o di quelli di garanzia doveva ritenersi superata dalla ricognizione di debito compiuta per atto pubblico da P.B. il 1 febbraio 1993 (così a p. 15 del ricorso; a p. 14 del ricorso, tuttavia, è indicata quale data il “1.9.1993”), nella quale la suddetta P.B. dichiarò di “riconoscere scaduti, liquidi ed esigibili nei propri confronti i crediti dell’Istituto sopraindicati”.

2.1. Nella parte in cui lamenta l’erronea qualificazione del contratto di garanzia, con quanto ne discende in punto di validità delle clausole in esso contenute, il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

Nel caso di specie, infatti, il processo ha avuto il seguente sviluppo:

-) il Tribunale rilevò (e la circostanza non è stata posta in discussione) che la Carige aveva dichiarato di avere proceduto a rideterminare il proprio credito, al netto degli interessi anatocistici e di quelli determinati mediante rinvio agli usi (così la sentenza, pagina 5, secondo capoverso);

-) il Tribunale tuttavia aveva aggiunto che la banca, pur dichiarando di avere “sterilizzato” il proprio credito dalle voci illegittimamente pretese, non aveva mai dimostrato l’esatto importo di esso, perchè non aveva mai depositato gli estratti conto;

-) la Corte d’appello ha confermato tale statuizione, rilevando che la banca aveva effettivamente “l’onere di dimostrare la consistenza del proprio credito”; che tale onere poteva essere soddisfatto “solo mediante la produzione di copia integrale degli estratti di conto corrente sin dalla loro origine”; che tale onere non era stato assolto.

2.2. La Corte d’appello, in definitiva, ha rigettato la domanda non (solo) perchè ha ritenuto nullo il contratto principale e, in via derivata, quello di garanzia.

Ha rigettato invece la domanda anche per l’assorbente motivo dell’inesistenza di valida prova dell’ammontare del credito vantato dalla banca.

Tale ratio decidendi, però, non viene censurata dal motivo in esame (se non, per quanto si dirà, nei confronti di P.B.).

Di conseguenza è irrilevante stabilire se il Tribunale abbia correttamente qualificato il contratto di garanzia, così come è irrilevante stabilire se la nullità del patto di interessi contenuto nel contratto principale rendesse illegittima la pretesa del pagamento dei suddetti interessi avanzata nei confronti dei garanti, obbligatisi in virtù d’un contratto autonomo di garanzia.

Infatti quale che fosse la soluzione che si volesse dare alle suddette questioni, la cassazione della sentenza impugnata su questo punto resterebbe comunque impedita dall’esistenza dell’autonoma e non censurata ratio decidendi, con cui la Corte d’appello ha ritenuto mancare la prova dell’esistenza e dell’ammontare del credito vantato dalla banca nei confronti di B.B. e della Residenza Laigueglia s.r.l..

2.3. Il motivo è invece fondato nella parte in cui lamenta che la Corte d’appello ha errato nel negare qualsiasi effetto giuridico alle ricognizioni di debito sottoscritte da P.B..

In merito a tale questione ritiene preliminarmente il Collegio che non possano essere condivise le deduzioni svolte dal Procuratore Generale circa l’inammissibilità del motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, deduzioni fondate sull’assunto che il ricorso non contiene la trascrizione o il riassunto dell’atto di concessione di ipoteca o delle fideiussioni.

Con la censura in esame, infatti, in primo luogo la società ricorrente ascrive al giudice di merito non già di aver malamente interpretato o trascurato il contenuto di un atto, ma pone una questione di puro diritto: e cioè se la ricognizione di debito ricevuta per atto pubblico costituisca titolo esecutivo, e se sollevi il creditore procedente dall’onere di provare l’esistenza e l’entità del proprio credito.

Non si tratta, dunque, di una questione che “si fonda” (per usare le parole della legge) su un documento, nel qual caso soltanto è richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, l’assolvimento degli oneri di allegazione e deduzione.

2.4. Nel merito, la censura è fondata.

Sul punto qui in esame la Corte d’appello ha infatti così motivato: “neppure può affermarsi che l’atto di concessione di ipoteca volontaria sottoscritto dalla signora P.B. in data 1 febbraio 1993 possa avere valenza di titolo esecutivo autonomo, in quanto avente piuttosto funzione ricognitiva dei debiti degli esecutati B.B. e Residenza Laigueglia s.r.l. e della propria posizione di fideiussore rispetto ai debiti medesimi”.

La Corte d’appello, dunque:

-) ha negato che la suddetta ricognizione di debito potesse qualificarsi come “titolo esecutivo autonomo”;

-) sulla base di tale valutazione ha rigettato il motivo d’appello con cui la banca sosteneva che la suddetta ricognizione di debito le consentisse la partecipazione alla distribuzione del ricavato della vendita forzata per l’importo ivi riconosciuto.

2.3. Le valutazioni sopra richiamate appaiono tuttavia erronee in punto di diritto.

In primo luogo, è inesatto che l’atto pubblico contenente una ricognizione di debito non sia un titolo esecutivo: è vero, invece, il contrario.

L’art. 474 c.p.c., nel testo applicabile ai fatti di causa (1994) attribuiva la qualità di titolo esecutivo agli “atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, relativamente alle obbligazioni di somme di danaro in essi contenute”.

La legge dunque:

-) non distingue tra atti bilaterali ed unilaterali;

-) non distingue tra negozi e meri atti giuridici;

-) non distingue tra dichiarazioni di volontà e di scienza;

-) fa(ceva) riferimento alle obbligazioni “contenute” nell’atto, e non alle obbligazioni “sorte”, o “scaturenti” o “prodotte” dall’atto.

Tali rilievi impongono di concludere che anche la ricognizione di debito o la promessa di pagamento, se ricevuti da notaio, costituiscono titoli esecutivi, all’unica condizione che il credito ivi indicato sia stato riconosciuto o promesso con carattere di certezza e liquidità (Sez. 3, Sentenza n. 6083 del 26.3.2015, pronunciata in fattispecie concreta assai prossima a quella oggi in esame). Una volta ammessa la natura di titolo esecutivo all’atto pubblico contenente una ricognizione di debito, ne discende l’erroneità dell’affermazione con cui la Corte d’appello ha ritenuto che la banca, non avendo provato l’ammontare del suo credito, non potesse partecipare alla distribuzione del ricavato.

Così, facendo, infatti, la sentenza impugnata ha addossato alla banca un onere probatorio che, ai sensi dell’art. 1988 c.c., gravava su P.B.. Ed infatti la ricognizione di debito produce l’effetto dell’astrazione processuale, in virtù della quale non è onere del creditore provare l’esistenza e l’ammontare del credito, ma è onere del debitore dimostrare l’inesistenza o l’invalidità del rapporto da cui è scaturito il credito oggetto di ricognizione (ex permultis, Cass. civ., sez. I, 13-10-2016, n. 20689).

3. Col terzo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1422,2033 e 2946 c.c..

Deduce che con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di opposizione al progetto di distribuzione gli opponenti avevano domandato la condanna della Carige alla restituzione “di quanto illegittimamente percetto dalle esecuzioni di che trattasi”.

Osserva tuttavia la ricorrente che la domanda di restituzione degli importi pagati in esecuzione di un contratto nullo si prescrive in dieci anni dalla chiusura del conto, e che quando sia prescritta l’azione di ripetizione di indebito manca l’interesse all’accertamento e alla declaratoria della nullità del contratto.

3.1. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il primo motivo di ricorso;

(-) accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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