Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12880 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 12880 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DE RENZIS ALESSANDRO

o

SENTENZA
sul ricorso proposto

DA
STOLA ARMANDO,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Laura

Mantegazza n. 24, preso lo studio dell’Avv. GIANFRANCO DI MATTIA, che
lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso
Ricorrente

CONTRO
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI,
Ministro pro tempore,

in persona del

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, preso la cui sede domicilia ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12,
Controricorrente

25DA

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello
10Z-A

di Bari n.

Data pubblicazione: 09/06/2014

2

3117/2010 del 24.05.2010/01.02.2011 nella causa iscritta al n. 834 R.G.
dell’anno 2009.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25.03.2014
dal Consigliere Dott. ALESSANDRO DE RENZIS;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ALBERTO CELESTE, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Il Tribunale di Taranto con sentenza dell’11.12.2001 rigettava il ricorso
proposto da ARMANDO STOLA per sentir dichiarare l’illegittimità del
licenziamento a lui intimato dal Ministero dei Trasporti e della Navigazione,
di cui era dipendente presso gli Uffici della Motorizzazione civile di Taranto,
per atti di libidine violentai in danno di una collega, accertati con sentenza
penale- passata in giudicato.
2. Tale decisione, appellata dallo Stola, veniva riformata dalla Corte di
Appello di Lecce- Sezione Distaccata di Taranto con sentenza n. 1830 del
12.10.2004,

che

accoglieva

l’appello

dichiarando

l’illegittimità

del

licenziamento, con le conseguenti statuizioni di carattere reintegratorio
risarcitorio.
3. Proposto ricorso dal Ministero in via principale e dallo Stola in via
incidentale, la Corte di Cassazione con sentenza n. 3779 del 2008
accoglieva il gravame principale, con assorbimento dell’incidentale, cessava
la decisione impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari, enunciando il
principio di diritto, secondo cui, posto che i fatti oggetto del licenziamento

udito l’Avv. GIANFRANCO DI MATTIA per il ricorrente;

3

risalivano al 25.03.1992, trovava applicazione l’art. 9 della legge n. 19 del
1990, che, al secondo comma, recita:”/a destituzione può essere sempre
inflitta all’esito del procedimenti disciplinare, che deve essere proseguito o
promosso entro 180 giorni dalla data in cui l’Amministrazione ha avuto

giorni”.

4. Riassunto il giudizio da parte dello Stola, la Corte di Appello di Bari con
sentenza n. 3117 del 2019 ha rigettato l’appello dell’originario ricorrente,
osservando che l’azione disciplinare, riattivata il 26 gennaio 2000 a seguito
dell’ordinanza di inammissibilità della Corte di Cassazione in sede penale e
culminata nel licenziamento intimato il 20 marzo 2000, aveva ampiamente
rispettato il termine di 180 giorni di cui al suddetto art. 9 della legge n. 19
del 1990.
5. Lo Stola ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi, illustrati con
memoria ex art. 378 CPC.
Il Ministero indicato in epigrafe resiste con controricorso.
Il difensore dello Stola ha depositato brevi osservazioni per iscritto sulle
conclusioni del PG ex art. 379- ultimo comma- CPC.
6. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art.9 della legge
n. 19 del 1990 e vizio di motivazione, assumendo che licenziamento era
stato comminato nei suoi confronti in ritardo, per essersi l’Amministrazione
mossa non tempestivamente nell’attivare e concludere il procedimento
disciplinare.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale infatti, in applicazione dei principi dettati dal giudice di

notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei successivi 90

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legittimità- e tendo conto del thema decidendum della controversia che non
poteva estendersi alle richieste e agli accertamenti di fatti non
tempestivamente e ritualmente acquisiti al giudizio- ha ritenuto, come già
detto, che fosse stato rispettato- contrariamente a quanto continua ad

1990. Ed invero ha osservato la Corte territoriale che l’ordinanza di
inammissibilità- emessa dalla Suprema Corte- che aveva definito la vicenda
penale in data 25 giugno 1999, era pervenuta in copia alla stessa
Amministrazione il 26 gennaio 2000, e l’azione disciplinare era stata
riattivata, a seguito della sua sospensione, il 28 gennaio 2000 e culminata
nel licenziamento il 20 marzo 2000.; con pieno rispetto, quindi, del
termine di 180+90 giorni, decorrenti dal 26 gennaio 2000, giorno di
conoscenza del provvedimento penale definitivo nella sua interezza.
Sarebbe spettato allo Stola dimostrare che il processo penale fosse stato
definito prima del periodo considerato dal giudice di appello.
La doglianza infine del ricorrente, che lamenta l’omesso esercizio da parte
del giudice dei suo poteri officiosi- al fine di accertare con certezza il
giorno in cui l’Amministrazione aveva preso conoscenza della condanna
penale definitiva- risulta inammissibile, dal momento che l’esercizio di tali
poteri ex art. 421 CPC è demandato alla discrezionalità del giudice e perché
ancora nel caso di specie il giudice di appello ha acquisito, sulla base delle
risultanze

istruttorie,

tutti

gli

elementi

per

pervenire

al

rigetto

dell’impugnazione proposta avverso la decisione del Tribunale di Taranto.
Le esposte considerazioni portano a far ritenere non rilevanti né decisive le
osservazioni scritte sulle conclusioni del PG presentate dal ricorrente

assumere lo Stola- il termine di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del

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all’udienza di discussione, ribadendosi che l’ammissione della prova
testimoniale, peraltro genericamente indicata, rientra tra i poteri
discrezionali riservati al giudice, il cui esercizio è insindacabile in sede di
legittimità.

di motivazione lamentando il mancato rispetto dell’autonomia del
procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale, è inammissibile,
perché, come emerge dagli atti di causa, si è in presenza di una questione
proposta tardivamente nel giudizio di appello.
8. Parimenti inammissibile è il terzo motivo, con il quale si asserisce la
tardività della contestazione dell’addebito, dal momento che su tale
questione il motivo si presenta privo della specificità e perché inoltre si
finisce con esso per richiedere una rivalutazione dei fatti di causa non
consentita in sede di legittimità.
9. In conclusione il ricorso è destituito d fondamento e va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono ala soccombenza e si liquidano
come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi ed € 3.500,00 per
compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma addì 25 marzo 2014

7. Il secondo motivo, con cui il ricorrente deduce violazione di legge e vizio

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