Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12879 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3396/2015 proposto da:

B.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QURINO

VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato CARLO SEGNALINI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANNALISA DEL COL;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PORDENONE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE N.

76, presso lo studio dell’avvocato ELENA PROVENZANI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FULVIA BRESSAN;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 488/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 16/12/2014 R.G.N. 439/2013.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza in data 23 ottobre – 16 dicembre 2014 n. 488 la Corte d’appello di Trieste riformava la sentenza del Tribunale di Pordenone e, per l’effetto, respingeva le domande proposte da B.R. per la riammissione in servizio presso il COMUNE DI PORDENONE, di cui era stata dipendente fino al 31.12.2004.

2. Pacifici i fatti – essendo la B. transitata alle dipendenze di GEA spa ai sensi dell’art. 2112 cod.civ, a seguito del passaggio dal COMUNE a GEA spa della attività di gestione del ciclo integrato delle acque – la Corte territoriale esponeva che il tema del contendere si incentrava sulle previsioni dell’art. 58 CCRL – (a tenore del quale il dipendente il cui rapporto di lavoro si fosse interrotto per dimissioni poteva richiedere la ricostituzione del rapporto di lavoro entro cinque anni dalla data delle dimissioni) – e del punto 11 del verbale di accordo dell’11 novembre 2004. A tenore di quest’ultimo accordo ai dipendenti trasferiti a seguito del conferimento alla società GEA della attività di gestione del ciclo integrato delle acque era attribuito, in situazioni specificamente indicate, il diritto alla riammissione in servizio di cui al suddetto art. 58, in deroga a quanto disposto dal comma 1 e nei limiti temporali previsti dal medesimo articolo.

3. Osservava che il richiamo all’istituto era operato in modo estremamente limitato e ridotto, come faceva intendere il riferimento ad una “deroga” contenuto nel verbale dell’11 novembre 2004. Ci si muoveva in un’ottica limitativa della facoltà riconosciuta, anche perchè si trattava del ritorno a carico della collettività di un rapporto di lavoro o risolto o transitato ad un soggetto privato, previsioni eccezionali e di stretta interpretazione.

4. La facoltà era limitata nel tempo, come le parti sociali erano ben consapevoli nel richiamare i limiti temporali di cui all’art. 58. Ragionando diversamente, si sarebbe attribuita ai dipendenti del COMUNE passati a GEA una facoltà più estesa nel tempo rispetto al caso delle dimissioni, preso a riferimento, in conflitto con i canoni di equità e ragionevolezza, che imponevano una eguale valutazione delle due ipotesi. Per assurdo si sarebbe potuta verificare l’ipotesi di una facoltà di rientro sine die, come nel caso in cui si fossero verificati reiterati passaggi del rapporto di lavoro nell’arco di un quinquennio.

5.Inoltre l’accordo negoziale del 2004 riguardava il solo personale GEA e non quello della società HYDROGEA, all’epoca non ancora esistente.

6. La B., che dall’inizio del 2005 era dipendente di GEA, non poteva chiedere nel febbraio 2011, a seguito del subentro di HYDROGEA spa, di fruire della facoltà di rientro, concessale solo fino a tutto il 2009.

7. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza B.R., articolato in due motivi, cui ha opposto difese il COMUNE DI PORDENONE con controricorso.

8. Le parti hanno depositato memoria; la ricorrente ha depositato documenti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 – 1371 c.c. ed all’art. 1322 c.c..

2. La censura afferisce alla interpretazione adottata nella sentenza impugnata in relazione all’accordo dell’11 novembre 2004, secondo cui la facoltà di riammissione in servizio poteva essere esercitata soltanto fino al termine dell’anno 2009.

3. In particolare si assume:

– che l’accordo era del tutto scollegato dal CCRL in esso richiamato, non essendovi alcun rapporto di gerarchia tra le due fonti sicchè erroneamente la Corte territoriale aveva fatto leva sulla previsione di “deroga” all’art. 58 CCRL per sostenere che l’istituto della riammissione in servizio costituiva una previsione “eccezionale di stretta interpretazione” (terminologia neppure conferente alla interpretazione di accordi sindacali ma alla sola interpretazione della legge).

– che la interpretazione doveva essere sorretta dai canoni di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., senza alcun raffronto tra la riammissione ex art. 58 CCRL e quella oggetto di causa (come invece effettuato dalla sentenza impugnata, invocando criteri di equità e ragionevolezza) e che non vi era necessità di trattare in modo paritario situazioni del tutto diverse.

– che l’accordo era diretto a garantire i lavoratori in caso di dismissione del servizio da parte di GEA spa; la clausola di cui al punto 11 andava letta in tale prospettiva, che rappresentava la comune intenzione delle parti ex art. 1362 c.c.. Proprio perchè la riammissione poteva essere chiesta solo al verificarsi di determinati presupposti il limite quinquennale, se inteso come decorrente dalla cessazione del rapporto di lavoro con il Comune, non sarebbe stato coerente con le finalità perseguite.

– che, in ogni caso, la “deroga al comma 1” dell’art. 58, doveva essere intesa proprio con riferimento al limite temporale di cinque anni previsto dalla norma.

– che era fallace il criterio secondo cui la società HYDROGEA spa non era parte dell’accordo; alla società era stato attribuito il ramo di azienda relativo alla gestione del servizio idrico integrato, con subentro in tutti i diritti e rapporti, attivi e passivi, compresi i rapporti con il personale dipendente (documento 20 della produzione di primo grado: atto di scissione del 22.1.2010). Si era pertanto verificata l’ipotesi, prevista dall’art. 11 dell’accordo sindacale, del trasferimento del servizio integrato e del relativo personale a soggetto diverso da GEA spa o da quello che abbia assorbito o controlli GEA spa.

– che l’accordo era stato sottoscritto per il COMUNE dal Dott. G.P., il quale nella missiva inviatale in data 8.11.2007 (doc. 12 del primo grado) aveva riconosciuto che esso prevedeva la possibilità della riammissione in servizio “anche oltre i 5 anni successivi al passaggio a GEA”.

4. Con il secondo motivo si deduce -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, con riferimento al contenuto ed alla portata della suddetta missiva dell’8.11.2007.

5. Il ricorso, i cui motivi possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione, è inammissibile.

6. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è consolidata nell’affermare che l’interpretazione del contratto collettivo di ambito territoriale spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione. Detto principio trova applicazione anche ai contratti stipulati dalle regioni, seppure a statuto speciale (Cassazione civile sez. lav., 05/01/2018, n. 156; Cass. 18.4.2016 n. 7671; Cass. 2.3.2009 n. 5025; Cass. 25.11.2005 n. 24865).

7. Allo stesso modo, il sindacato di questa Corte sulla interpretazione degli atti negoziali, quale è l’accordo sindacale dell’11 novembre 2004, non è diretto ad individuare la migliore interpretazione possibile ma semplicemente a verificare se, sulla base dei criteri legali di ermeneutica, quella accolta dal giudice del merito sia una delle possibili interpretazioni.

8. Nella fattispecie di causa al fine di censurare idoneamente la interpretazione offerta dal giudice del merito in relazione all’accordo sindacale dell’11 novembre 2004 la parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere in ricorso il testo dell’accordo ed evidenziare in riferimento ad esso i vizi di violazione dei canoni di interpretazione commessi dalla Corte territoriale.

9. Manca invece nel ricorso la trascrizione del testo contrattuale. La stessa denuncia della violazione delle norme di diritto non è accompagnata dalla allegazione dello specifico canone che sarebbe incompatibile con le statuizioni della sentenza impugnata; si deduce genericamente la violazione dei criteri di interpretazione di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c. e del principio di buona fede, senza specificare ciascuna di tali denunce in riferimento a precise affermazioni della sentenza impugnata. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di elementi istruttori, piuttosto che di fatti storici, peraltro neppure trascritti nel loro integrale contenuto.

10. In sostanza le censure, invece di rappresentare errori di diritto o vizi di motivazione, si risolvono in una inammissibile richiesta di interpretazione diretta da parte di questa Corte della clausola contrattuale.

11. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

12. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 5.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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