Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12879 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 12879 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA
sul ricorso 26838-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
1006

contro

DI IORIO CLAUDIA C.F. DRICLD79H69Z404J, DI FABIO

nA Poco +4

SILVANA C.F. DFBSVN69A53D209P,

DOCCMI SUSANNA C.F.

RDCSSN74L55E372D, elettivamente domiciliati in ROMA,

Data pubblicazione: 09/06/2014

VIA GIORGIO SCALIA 12, presso lo studio dell’avvocato
GATTI MARCO, rappresentati e difesi dall’avvocato
FAUGNO FABIO MASSIMO, giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 6341/2007 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/11/2007 R.G.N.
10670/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/03/2014 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega FIORILLO
LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
inammissibilità per DI IORIO e RADOCCHIA, rigetto per
il resto.

.

R.G. 26838/2008
FATTO E DIRITTO
Con sentenza pubblicata il 16-9-2005 il Giudice del lavoro del Tribunale
di Roma respingeva le domande proposte da Claudia Di brio, Susanna

ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al rispettivo contratto di
lavoro intercorso con la società, con le pronunce conseguenziali.
Le lavoratrici proponevano appello avverso la detta sentenza, chiedendone
la riforma con l’accoglimento delle domande.
La società si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 14-11-2007, in
accoglimento dell’appello, dichiarava la nullità dei termini apposti ai contratti
di lavoro intercorsi dal 11-7-2002 al 30-9-2002 per la Di brio, dal 7-5-2002 al
29-6-2002 per la Radoccia e dal 1-2-2002 al 30-4-2002 per la Di Fabio, con la
conseguente sussistenza di rispettivi rapporti a tempo indeterminato “ancora in
atto”, e condannava la società a corrispondere alle appellanti le retribuzioni
maturate dalla data del 29-12-2003 con rivalutazione e interessi.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con sei
motivi.
Le lavoratrici hanno resistito con controricorso.
Da ultimo sono state depositate le copie dei verbali di conciliazione in
sede sindacale, conclusi con la società dalla Radoccia il 13-11-2008 e dalla Di
brio il 19-11-2008
Infine il collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

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Radoccia e Silvana Di Fabio nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dirette ad

Ciò posto, in primo luogo, il ricorso va dichiarato inammissibile nei
confronti della Radoccia e della Di Iorio.
Dai verbali di conciliazione prodotti in copia risulta che le parti hanno
raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi

legge e dichiarando che — in caso di fasi giudiziali ancora aperte — le stesse
saranno definite in coerenza con il presente verbale.
Osserva il Collegio che i suddetti verbali di conciliazione si palesano
idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di
cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a
proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue
pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso nei confronti delle dette
lavorarici, in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve
sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione,
ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in
considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato
l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n.
16341, Cass. S.U. Ord. 9-1-2013 n. 302).
Infine, in considerazione dell’accordo complessivo intervenuto, le spese
del presente giudizio di cassazione vanno compensate tra la società e la
Radoccia e la Di Iorio.
Per quanto riguarda, invece, la Di Fabio (il cui contratto è stato concluso
per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere
straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo
un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
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atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di

innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o
sperimentazione di nuove tecnologie prodotti e servizi, nonché all’attuazione
delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23
ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002″), va rilevato che con il primo e

diversi profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, nella parte in
cui ha ritenuto la genericità delle ragioni giustificative indicate nel contratto
individuale, lamenta che la Corte di merito ha omesso di considerare che tale
specificazione era desumibile per relationem attraverso l’esame del contenuto
degli accordi specificamente richiamati (e riportati integralmente in ricorso ai
fini della autosufficienza dello stesso), peraltro erroneamente ritenendo di per
sé generiche le dette ragioni indicate in quanto riferite ad una pluralità di
causali.
Tali motivi risultano fondati e vanno accolti.
Come è stato affermato da questa Corte e va qui ribadito, “l’indicazione di
due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto
di lavoro non è in sé causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o
incertezza della causa giustificatrice dello stesso, restando tuttavia
impregiudicata la valutazione di merito dell’effettività e coerenza delle ragioni
indicate”. (v. Cass. 17-6-2008 n. 16396).
In particolare è stato precisato che anche nel nuovo regime ex d.lgs. n.
368/2001 la legittimità della apposizione del termine a contratto di lavoro
richiede l’esistenza di una condizione legittimante, “ma se nel caso concreto
concorrono due ragioni legittimanti è ben possibile che le parti, nel rispetto del
criterio di specificità, le indichino entrambe ove non sussista incompatibilità o
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con il secondo motivo la società, nel censurare la sentenza impugnata, sotto i

intrinseca contraddittorietà, né ridondando ciò di per sé solo, salvo un diverso
accertamento in concreto, in incertezza della causa giustificatrice
dell’apposizione del termine”.
Nel contempo questa Corte (v. Cass. 1-2-2010 n. 2279) ha altresì chiarito

richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle “specificate
ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso
stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla
Corte di Giustizia (….), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del
termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della
causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto,
che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale
circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza
e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso
del rapporto; tale specificazione può risultare anche indirettamente nel
contratto di lavoro e da esso “per relationem” ad altri testi scritti accessibili
alle parti” (come accordi collettivi richiamati nello stesso contratto
individuale).
In particolare, poi, come è stato precisato da Cass. 27-4-2010 n. 10033,
l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1 del
d.lgs. n. 368/2001 ” a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di
inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di
indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e
la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del
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che “in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore,

rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che
rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un
determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da
rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della

a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente
nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la
stessa. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se
correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di
legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento,
ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni
specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi
compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel
contratto costitutivo del rapporto”.
In definitiva, quindi, la specificazione delle ragioni giustificatrici ex art. 1
del d.lgs. n. 368 del 2001 può risultare dall’atto scritto non solo per indicazione
diretta, ma anche “per relationem” ad altri testi, richiamati nel contratto di
lavoro, il cui contenuto deve essere valutato dal giudice del merito (v. fra le
altre Cass. 25-5-2012 n. 8286).
Orbene nel caso in esame la Corte di merito in sostanza, disattendendo tali
principi, ha ritenuto generiche le plurime ragioni giustificative indicate,
omettendo di esaminare il contenuto degli accordi richiamati, nel quadro degli
elementi tutti risultanti, anche per relationem, dal contratto individuale.
Così accolti i primi due motivi, nei confronti della Di Fabio, restando
assorbiti gli altri motivi, tutti conseguenziali rispetto all’accertamento della
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prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata

specificità delle ragioni indicate in contratto (il terzo e il quarto riguardanti la
dimostrazione della sussistenza in concreto delle dette ragioni, e il quinto e il
sesto concernenti le conseguenze della eventuale nullità del termine), la
impugnata sentenza va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla

attenendosi ai principi sopra ribaditi, statuendo anche sulle spese del presente
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Claudia Di brio
e Susanna Radoccia, compensando interamente tra costoro e la società le spese
del presente giudizio; accoglie i primi due motivi del ricorso nei confronti di
Silvana Di Fabio, assorbiti gli altri, cassa l’impugnata sentenza in relazione alle
censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in
diversa composizione.
Roma 20 marzo 2014

Corte di Appello di Roma in diversa composizione, la quale provvederà,

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