Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12878 del 26/06/2020

Cassazione civile sez. lav., 26/06/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 26/06/2020), n.12878

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 956/2015 proposto da:

A.M.S., C.A., tutti elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso ALFREDO PLACIDI, rappresentati e

difesi dagli avvocati ORNELLA DEL FRATE, GRAZIANO DAL MOLIN;

– ricorrenti –

contro

CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, ARTIGIANATO ED AGRICOLTURA DI

AVELLINO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EUDO GIULIOLI 47/B/18 presso

MAZZITELLI GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO

CASALE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8543/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/01/2014 R.G.N. 11555/2009.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 854/2013, pubblicata in data 7 gennaio 2014, la Corte di appello di Napoli confermava la decisione con cui il Tribunale di Avellino aveva respinto il ricorso proposto A.M.S. e C.A. (dipendenti della Camera di Commercio Industria e Artigianato ed Agricoltura di Avellino, cessati dal servizio nel 2007) per ottenere la corretta rideterminazione del proprio fondo di previdenza a capitalizzazione con rivalutazione ab initio degli stipendi tabellari in godimento negli esatti termini indicati dal c.c.n.l. e con la capitalizzazione degli altri emolumenti quiescibili per il periodo di effettivo percepimento e per gli importi percepiti;

2. i suddetti dipendenti, beneficiari di un trattamento di previdenza con il sistema dei “fondi a capitalizzazione”, basato sulla trasformazione in capitale dei contributi a carico dell’Ente e delle ritenute mensili a carico dei dipendenti, avevano fondato la pretesa della L. 72 del 1951, art. 1, come autenticamente interpretata dal D.L. n. 9 del 1993, art. 12 e sull’art. 29 del c.c.n.l. del 2004 dettante la nozione di retribuzione tabellare da prendere a riferimento ai fini della rivalutazione del fondo (da effettuarsi di volta in volta in corrispondenza delle variazioni negli stipendi) ed avevano sostenuto che, anche per gli anni precedenti al 2003, la rivalutazione annuale del fondo dovesse essere effettuata avuto riguardo allo stipendio tabellare inclusivo dell’indennità integrativa speciale (inglobata nel primo in seguito all’entrata in vigore di detto c.c.n.l.);

3. rilevava la Corte territoriale che la L. n. 1951 del 1972, art. 1, come autenticamente interpretato dal D.L. n. 9 del 1993, art. 12, avesse escluso la rivalutazione dell’indennità integrativa speciale in quanto tale norma, avendo carattere interpretativo e non innovativo, limitava sostanzialmente allo stipendio tabellare la base di calcolo per la rivalutazione del fondo a capitalizzazione e che solo con il c.c.n.l. del 2004 l’i.i.s. non avesse costituito voce accessoria venendo a far parte integrante ed unitaria dello stipendio tabellare, non potendo perciò incidere sulla rivalutazione del fondo per gli anni precedenti;

riteneva, pertanto, che correttamente la Camera di commercio, fino al gennaio 2003, avesse proceduto ad accantonare nel fondo gli importi dell’indennità integrativa speciale, all’epoca voce distinta dallo stipendio tabellare, così come percepiti, senza rivalutarli, e dopo tale data avesse effettuato la rivalutazione del fondo sulla base dello stipendio tabellare comprensivo dell’indennità conglobata;

sosteneva che valesse anche per i fondi a capitalizzazione la disposizione di cui all’art. 30 del c.c.n.l. del 2004 laddove prevedeva che il conglobamento dell’i.i.s. nello stipendio tabellare non modificava le modalità di determinazione della base di calcolo in atto del trattamento pensionistico, indicazione che non poteva che valere anche ai fini della rivalutazione del fondo in esame;

evidenziava che in nessuna parte del c.c.n.l. del 2004 fosse prevista la computabilità ai fini della rivalutazione dei fondi di previdenza della voce i.i.s. conglobata;

4. avverso tale sentenza i dipendenti hanno proposto ricorso per cassazione con tre motivi;

5. la Camera di Commercio ha resistito con controricorso;

6. entrambe le parti hanno depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. n. 72 del 1951, art. 1, come autenticamente interpretato dal D.L. n. 8 del 1993, art. 12, comma 15, conv. in L. n. 68 del 1993, nonchè dell’art. 29 c.c.n.l. 22 gennaio 2004, manifesta irrazionalità e violazione dei principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di imparzialità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost. e L. n. 241 del 1990 e s.m.i.), omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti;

sostengono che la norma di interpretazione autentica non porta affatto ad affermare che dalla rivalutazione dello stipendio debbano essere escluse le eventuali quote di indennità integrativa nello stesso conglobate ma solo a ritenere che l’indennità integrativa corrisposta quale voce accessoria dello stipendio non deve essere rivalutata;

assumono che il legislatore non ha mai inteso affermare che l’i.i.s., ove conglobata nello stipendio tabellare, debba essere da questo detratta ai fini della rivalutazione ex L. n. 72 del 1951;

rilevano che la Corte territoriale ha anche omesso di valutare l’applicazione corretta posta in essere dallo stesso Ente che aveva già nel passato operato la rivalutazione sullo stipendio tabellare “a regime” (ossia comprensivo dell’i.i.s. conglobata) riportato “ab initio”, ciò su indicazione dello stesso Ministero del Commercio, Industria e Agricoltura;

2. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 c.c.n.l. 22 gennaio 2004, erronea qualificazione giuridica del fondo a capitalizzazione;

sostengono che la Corte territoriale ha erroneamente attribuito al fondo a capitalizzazione natura di trattamento pensionistico laddove si tratta di retribuzione differita avente una disciplina speciale, con la conseguenza che alla fattispecie non è applicabile l’art. 30 del c.c.n.l. riferito ai trattamenti pensionistici;

3. con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 48, comma 4, violazione e falsa applicazione del D.I. 12 luglio 1982, art. 82, manifesto travisamento della norma e comunque violazione dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.;

criticano la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che non vi fosse alcuna traccia nel c.c.n.l. della copertura economica del maggior onere che si sarebbe determinato accogliendo la tesi dei ricorrenti e che non risultasse disposta nelle forme prescritte l’autorizzazione a tale maggiore spesa;

rilevano che l’indicazione dei mezzi di copertura deve essere oggetto di bilancio previsionale delle Camere di Commercio e non essere contenuta nel c..c.n. l. e che la mancata autorizzazione di spesa dipendeva, nello specifico, dal comportamento omissivo dell’Ente, contrario alla buona fede che deve caratterizzare il rapporto di lavoro;

4. il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate;

4.1. si discute, nel caso di specie, della esatta determinazione dei fondi a capitalizzazione del personale della Camera di Commercio che, alimentati con accantonamenti nel corso della vita lavorativa, diventano, al momento della cessazione del rapporto, trattamento di quiescenza;

il meccanismo di rivalutazione di tali fondi è stato previsto dalla L. 7 febbraio 1951, n. 72, art. 1, che ha stabilito che: “Le Camere di commercio, industria ed agricoltura provvedono ad effettuare la rivalutazione dei fondi per il trattamento di quiescenza dovuto al personale dei ruoli previsti dal regio D.L. 3 settembre 1936, n. 1900, convertito in legge, con modificazione, con L. 3 giugno 1937, n. 1000, sulla base degli stipendi attuali, aumentati ai sensi della L. 29 aprile 1949, n. 221, art. 3 e successive variazioni. Detta rivalutazione sarà fatta, anno per anno, in base alle aliquote complessive applicate per la formazione dei predetti fondi di quiescenza, con i rispettivi interessi legali annui”;

la ratio della norma è stata, dunque, quella di prevedere un sistema di ricalcolo, o rivalutazione a ritroso, del fondo individuale di quiescenza, a quel tempo sicuramente indispensabile in assenza di altro istituzionale meccanismo legislativo di adeguamento dei relativi valori alla svalutazione della lira;

la L. 29 aprile 1949, n. 221, art. 3 (richiamato dalla L. n. 72 del 1951, art. 1) è stato, poi, abrogato dal D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 20, art. 3;

4.2. l’indicato art. 1 è stato interpretato autenticamente dal D.L. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 12, comma 15, convertito nella L. 19 marzo 1993, n. 68, secondo cui: “La L. 7 febbraio 1951, n. 72, art. 1, si interpreta nel senso che l’indennità integrativa speciale, nonchè ogni altro emolumento quiescibile accessorio allo stipendio tabellare, ad eccezione della retribuzione individuale di anzianità, sono inclusi nei fondi di previdenza a capitalizzazione a decorrere dalla data della loro istituzione e fino alla data della loro soppressione e sostituzione, ovvero del loro assorbimento e per gli importi effettivamente percepiti dagli interessati, con esclusione della rivalutazione di cui all’articolo stesso”;

4.3. il D.L. 23 settembre 1994, n. 547, art. 3, comma 9, convertito nella L. 22 novembre 1994, n. 644, ha poi disposto che: “Ai sensi della L. 7 febbraio 1951, n. 72, art. 1, l’indennità integrativa speciale si intende inclusa nei fondi di previdenza a capitalizzazione, con esclusione della rivalutazione di cui al medesimo art. 1, a decorrere dal 16 marzo 1970, per gli importi di cui alla L. 26 luglio 1965, n. 965, art. 2 e successive modifiche, ed a decorrere dal 1 gennaio 1972, per gli importi effettivamente percepiti dagli interessati”;

l’indicata data del 16 marzo 1970 corrisponde a quella del Regolamento-tipo, approvato con D.M. 16 marzo 1970 – in base all’espressa previsione della L. 23 febbraio 1968, n. 125, art. 3, comma 2, “Nuove norme concernenti il personale delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura” – che, secondo la ricostruzione posta in rilievo nella giurisprudenza amministrativa (v. Cons. St., sez. VI, 11 gennaio 2016, n. 48; Cons. St., sez. VI, 15 novembre 2006, n. 6718), dopo aver previsto il mantenimento del trattamento di quiescenza con il sistema dei fondi di previdenza a capitalizzazione di cui alla L. n. 72 del 1951, per il personale già destinatario di tale trattamento che non avesse optato per l’iscrizione alla C.P.D.E.L., ha introdotto una specifica disciplina di esso (specificando che i fondi di previdenza a capitalizzazione precostituiti in base ai preesistenti regolamenti “si intendono formati, dalla data di entrata in vigore del Regolamento approvato con D.M. 16 marzo 1970, mediamente contributo a carico della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura pari al 17,70% del trattamento economico pensionabile e un contributo a carico del dipendente pari al 5,30% del citato trattamento”, restando l’amministrazione degli stessi affidata “ad una gestione speciale, denominata “Cassa di previdenza” – art. 80 – sottoposta alla vigilanza di una apposita Commissione – art. 81 – e dotata di regole che ne disciplinano l’incremento ed il funzionamento” (al citato D.M. 16 marzo 1970, hanno fatto, poi, seguito il D.I. 2 marzo 1981, il D.I. 12 luglio 1982, il D.P.R. 31 maggio 1984, n. 665, dettante nuove norme per il personale dipendente delle Camere di commercio, la L. 29 dicembre 1993, n. 580 “Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”, poi modificata dal D.Lgs. n. 23 del 2010);

la L. 26 luglio 1965, n. 965, art. 2, egualmente richiamato dal D.L. n. 547 del 1994, art. 3, comma 9, prevedeva che: “Tra gli emolumenti costitutivi della retribuzione annua contributiva degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali e alla Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate è da comprendere, con effetto dal 1 luglio 1965, l’indennità integrativa speciale eventualmente concessa con l’estensione delle norme contenute nella L. 27 maggio 1959, n. 324, art. 1 e successive modificazioni, limitatamente, però, ad un importo in nessun caso eccedente Lire 50.000” (tale norma è stata abrogata dal D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 212, art. 1; successivamente, l’efficacia è stata ripristinata dal D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 50);

4.4. la norma di interpretazione autentica di cui al sopra citato del D.L. n. 8 del 1993, art. 12, comma 15, è stata dichiarata costituzionalmente legittima dalla Corte Cost. nella sentenza n. 311 del 1995 che ha escluso ogni contrasto della stessa con gli artt. 3,24,38,53,101,102 e 104 Cost.;

in particolare il giudice delle leggi ha evidenziato, quanto alla sollevata questione della disparità di trattamento tra i dipendenti che avevano goduto della rivalutazione sulla base dei principi affermati dalla giurisprudenza e quelli che, in forza della nuova disposizione, si vedevano rivalutare solo lo stipendio tabellare, che non può contrastare con il principio di uguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, perchè lo stesso fluire di questo costituisce di per sè un elemento diversificatore ed altresì richiamato il già affermato principio secondo cui la determinazione della base retributiva, utile ai fini del trattamento di quiescenza, appartiene alla discrezionalità del legislatore cui spetta il potere di disporre circa la misura e le modalità di tale trattamento (discrezionalità che, nella specie era stata usata entro i limiti consentiti, introducendosi un elemento di razionalizzazione del sistema pensionistico);

4.5. il chiaro tenore testuale delle indicate disposizioni è tale da far ritenere che il legislatore, pur avendo previsto l’inclusione dell’indennità integrativa speciale nei fondi di previdenza a capitalizzazione (con il sistema di quantificazione degli importi variamente determinato nei termini sopra evidenziati), tuttavia ha escluso che alla stessa potesse applicarsi il meccanismo di rivalutazione previsto dal medesimo art. 1, per lo stipendio tabellare;

come si evince anche dalla ricordata sentenza della Corte costituzionale, una cosa è la costituzione/formazione del fondo (del Regolamento D.M. 16 marzo 1970, art. 78) alimentato da contributi dell’ente (pari, come sopra evidenziato, al 17,70% del trattamento economico pensionabile) e del dipendente (pari al 5,30% del citato trattamento) e della relativa individuazione delle voci retributive pensionabili su cui applicare le riferite aliquote al fine di costituire la base imponibile, che è operazione la quale si pone come antecedente logico necessario ai fini della quantificazione del credito da rivalutare; altra cosa è invece la rivalutazione dello stesso ai sensi della L. n. 72 del 1951, che consiste nel considerare come corrisposto nel passato lo stipendio percepito alla data della cessazione dall’impiego del dipendente per poi applicare da parte del solo ente camerale l’aliquota di contribuzione complessiva del 23% (si veda anche, nel medesimo senso, Cons. St., sez. VI, 29 aprile 2005, n. 2032);

4.6. in conseguenza, come già affermato dal giudice amministrativo, con orientamento qui condiviso, ai sensi del D.L. n. 8 del 1993, art. 12, comma 15, conv. dalla L. n. 68 del 1993, l’indennità integrativa speciale deve essere inclusa nei fondi di previdenza a capitalizzazione a decorrere dalla data della loro istituzione e fino a quella della loro soppressione e sostituzione, ovvero del loro assorbimento e per gli importi previsti dal legislatore, anche se non è soggetta a rivalutazione di cui alla L. n. 72 del 1951 (Cons. St., sez. VI, 21 settembre 2006, n. 5550; Cons. St., Sez. VI, 29 ottobre 2004, n. 7040; Cons. St., Sez. VI, 14 aprile 1999, n. 436);

4.7. nè risulta condivisibile la tesi dei ricorrenti secondo la quale la previsione legislativa porterebbe solo a ritenere che l’indennità integrativa corrisposta quale voce accessoria dello stipendio non deve essere rivalutata perchè tale interpretazione espunge dal contesto normativo una previsione che ha una logica solo letta nell’ambito dello stesso, come risulta evidente dal richiamo al sistema di rivalutazione di cui all’art. 1 e cioè proprio al meccanismo previsto per il trattamento di quiescenza;

4.8. ciò del resto è del tutto coerente con le disposizioni di cui alla contrattazione collettiva (delle “Regioni e delle Autonomie locali”, applicabile anche al personale delle Camere di Commercio) che, fino al c.c.n.l. del 22 gennaio 2004, non ha incluso l’indennità integrativa speciale tra le voci dello stipendio tabellare;

4.9. ed infatti il c.c.n.l. del 6 luglio 1995, all’art. 28, distingueva lo stipendio tabellare corrispondente alla posizione rivestita nell’ambito del sistema classificatorio rispetto ad altre voci quali la retribuzione individuale di anzianità, l’indennità integrativa speciale, i compensi per lavoro straordinario ecc.;

egualmente in sede di dichiarazione congiunta n. 16 relativa al c.c.n.l. del 14 settembre 2000 era stato previsto che: “Le parti concordano nel ritenere che la dizione “trattamento tabellare iniziale” utilizzata nell’art. 50, deve essere riferita alla nozione di retribuzione di cui all’art. 52, comma 2, lett. a)” e cioè alla “Retribuzione mensile che è costituita dal valore economico mensile previsto per la posizione iniziale di ogni categoria (A1, B1, C1, D1) nonchè per le altre posizioni d’accesso previste nelle categorie B e D (B3 e D3)”;

4.10. solo con il c.c.n.l. del 22 gennaio 2004, all’art. 29, comma 3, è stato previsto che: “A decorrere dal 1 gennaio 2003, l’indennità integrativa speciale (i.i.s.), di cui alla tabella C allegata al c.c.n.l. del 14.9.2000, cessa di essere corrisposta come singola voce della retribuzione ed è conglobata nella voce stipendio tabellare; detto conglobamento non ha effetti diretti o indiretti sul trattamento economico complessivo fruito dal personale in servizio all’estero in base alle vigenti disposizioni”;

4.11. si consideri, del resto, che l’indennità integrativa speciale – istituita con la L. 27 maggio 1959, n. 324, che ne aveva determinato la misura iniziale, soggetta annualmente ad un adeguamento periodico con decreto del Ministro del Tesoro, sulla base dei punti di variazione del costo della vita accertati dall’ISTAT, quindi divenuta, con successivi provvedimenti, semestrale (L. 21 luglio 1975, n. 364) e poi trimestrale (L. 6 dicembre 1979, n. 334), poi con D.P.R. 10 febbraio 1986, n. 13, tornata semestrale e ciò fino al 10 maggio 1992 quando il meccanismo di indicizzazione delle retribuzioni è stato definitivamente soppresso, congelando la misura fino a quel momento maturata, residuata da quella che era già stata conglobata negli stipendi dei pubblici dipendenti (L. 28 febbraio 1990, n. 37 di conversione del D.L. 27 dicembre 1989, n. 413) – ha perduto nel tempo la sua connotazione originaria, per assumere definitivamente un carattere retributivo, che già era stato preannunciato dalla parziale corresponsione della medesima sulla 13ma mensilità (dall’anno 1976, sempre in applicazione di quanto disposto dalla L. 21 luglio 1975, n. 364);

4.12. proprio in conformità all’indicata evoluzione dell’istituto, mentre il c.c.n.l. comparto Autonomie del 6 luglio 1995 e quello del 14 settembre 2000 menzionavano ancora l’indennità integrativa speciale come componente a sè stante della retribuzione rispetto allo stipendio tabellare, il c.c.n.l. del 22 gennaio 2004 (normativo 2002 – 2005 economico 2002 – 2003) ha, come detto, indicato (con disposizione tenuta ferma dai successivi c.c.n.l.) che l’importo dell’indennità integrativa speciale concorre a formare lo stipendio tabellare così assumendo piena natura retributiva, scomparendo come voce a sè stante e perdendo la sua iniziale funzione di adeguamento al costo della vita (Cass. 18 ottobre 2019, n. 26617);

4.13. è, dunque, la mutata natura dell’indennità integrativa speciale che spiega la previsione pattizia senza che ciò determini alcun effetto ab initio, per il periodo in cui l’indennità integrativa speciale aveva natura del tutto diversa sì da giustificare la scelta effettuata dal legislatore, nel dettare le regole di adeguamento del fondo, di escluderla dal meccanismo di rivalutazione previsto ai fini del trattamento di quiescenza;

4.14. quindi per gli anni precedenti agli effetti del c.c.n.l. del 2004 (e cioè per il periodo decorrente dall’inclusione dell’indennità integrativa speciale nei fondi di previdenza a capitalizzazione fino al 2002) lo “stipendio attuale” (L. n. 72 del 1951, ex art. 1) da rivalutare non può che essere quello depurato dell’indennità integrativa speciale;

per dette annualità non può, infatti, esistere un valore attuale dell’i.i.s. da riportare all’indietro secondo il meccanismo della rivalutazione che opera anno per anno;

5. tanto basta ad escludere la fondatezza della pretesa, mentre non è necessario vagliare la validità delle ulteriori considerazioni dei ricorrenti circa l’eventuale differente pregresso comportamento dell’Ente, la dedotta inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 30 del c.c.n.l. del 2004 (in dipendenza dell’asserita natura non previdenziale ma retributiva del fondo di previdenza a capitalizzare) e la contrarietà a buon fede del comportamento dell’Ente in relazione alla mancata autorizzazione di spesa;

6. sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;

7. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;

8. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, ricorrono le condizioni previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfettario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo prescritto a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2020

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