Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12877 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. II, 10/06/2011, (ud. 19/04/2011, dep. 10/06/2011), n.12877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. BAINCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato ex

lege in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MANCINI GIUSEPPE;

– ricorrente –

contro

D.M., M.A.;

– Intimati –

avverso la sentenza n. 646/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 27/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 27-2-1986 i coniugi M.A. e D.M. convenivano dinanzi al Tribunale di Bari S. G., assumendo di aver concluso con il convenuto un contratto di appalto per la ristrutturazione di un loro immobile sito in (OMISSIS), e di aver pagato come corrispettivo la somma di L. 60.000.000. Gli attori deducevano che i lavori non erano stati realizzati a regola d’arte e chiedevano, di conseguenza, la restituzione delle maggiori somme versate rispetto all’effettivo valore delle opere consegnate, oltre al risarcimento dei danni subiti.

Nel costituirsi, il convenuto eccepiva l’incompetenza del giudice adito, il difetto di legittimazione attiva della D. e l’improponibilità della domanda in virtù di clausola compromissoria per arbitrato irrituale. Esso, inoltre, nel precisare di aver ricevuto solo la somma di L. 50.000.000, contestava nel merito la fondatezza delle pretese azionate dagli attori.

Con sentenza del 6-6-2003 il GOA, disattese le eccezioni pregiudiziali e preliminari sollevate dal convenuto, condannava lo S. al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 7.721,03, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Con sentenza depositata il 27-6-2005 la Corte di Appello di Bari, in parziale accoglimento dell’appello proposto dallo S., condannava quest’ultimo al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 2.342,13, oltre rivalutazione e interessi.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre lo S., sulla base di tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la carenza ed illogicità della motivazione su un punto decisivo della controversia e la violazione degli artt. 18 e 28 c.p.c..

Deduce che la Corte di Appello ha affermato la competenza barese ritenendo che la stessa era stata contrattualmente scelta dalle parti, ed ha negato valore alla clausola compromissoria prevista nello stesso contratto, sul rilievo che le parti vi avevano “inequivocabilmente rinunciato”, scegliendo l’una il Tribunale di Bari e l’altra quello di Vasto. Sostiene che nell’atto di appello era stato evidenziato che lo S. aveva proposto la citazione a Vasto non perchè riteneva superato il vecchio contratto, ma in base a diversi accordi successivi; e che, pertanto, se gli si voleva imporre il vecchio contratto scritto, lo si doveva imporre per intero e non solo per le clausole che risultavano utili agli avversari.

Deduce che la Corte territoriale ha completamente eluso tale questione, non motivando e respingendo implicitamente, in tal modo, anche l’eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Bari.

Il motivo è infondato.

La Corte di Appello, con apprezzamento in fatto sottratto al sindacato di legittimità, ha accertato che il titolo che regola il rapporto tra le parti è rappresentato dal contratto scritto di appalto stipulato il 26-11-1994. Essa ha ritenuto, infatti, sguarnita di qualsiasi riscontro probatorio l’affermazione dell’appellante, secondo cui l’originario contratto sarebbe stato sostituito da uno nuovo, concluso in forma orale, privo di clausole compromissorie e derogatorie della competenza territoriale; ed ha evidenziato, in particolare, che le modifiche della prestazione riscontrate dal consulente tecnico d’ufficio (consistenti in un ampliamento del volume e in una variazione di forma dell’opera rispetto a quella prevista nel progetto originario) non sono tali da poter reggere l’assunto secondo cui le parti avrebbero concluso un nuovo contratto con effetti novativi, estinguendo totalmente il precedente.

La valutazione espressa al riguardo dal giudice territoriale si pone in linea con l’orientamento di questa Corte, secondo cui la mera modificazione quantitativa della prestazione non da luogo a novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria. La novazione oggettiva esige, infatti, l’animus novandi, cioè l’inequivoca intenzione di entrambe le parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e l’aliquid novi, inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto. (Cass. 1, 6-7-2010 n. 15980;

Cass. Sez, 1, 21-1-2008 n. 1218). Ed è evidente che l’accertamento della sussistenza della novazione di un’obbligazione e, quindi, della ricorrenza dei relativi elementi costitutivi, si risolve in una quaestio facti, riservata al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, se sorretta, come nella specie, da motivazione adeguata ed immune da vizi logici ed errori giuridici (Cass. sez. 3, 9-3-2010 n. 5665; Cass. Sez. 35 25-11-2003 n. 17913).

Una volta accertato che il rapporto tra le parti è regolamentato dal contratto di appalto del 26-11-1994, in modo ineccepibile la Corte territoriale ha ritenuto infondata l’eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Bari, dando atto della presenza, nel menzionato contratto, di una clausola derogatoria della competenza, in virtù della quale veniva pattuita la competenza esclusiva del giudice di Bari. Senza incorrere in incongruenze logiche, inoltre, il giudice di merito ha altresì disatteso l’eccezione di improponibilità della domanda, sul rilievo che il convenuto instaurando un giudizio per il pagamento del corrispettivo di appalto davanti al Tribunale di Chieti (processo conclusosi con declinatoria di competenza per continenza e non più riassunto davanti al Tribunale di Bari, indicato come competente in base al principio della prevenzione), ha inequivocamente rinunciato ad avvalersi della clausola di deferimento delle controversie ad arbitri irrituali, inserita nel contratto in esame; e che, allo stesso modo, a tale clausola hanno altresì rinunciato gli attori con l’instaurazione del presente giudizio.

A fronte di tali statuizioni, immuni da vizi logici e giuridici, il ricorrente propone censure generiche, che investono, comunque, l’apprezzamento espresso dalla Corte di Appello circa la mancanza di prova della stipulazione tra le parti di nuovi accordi, sostitutivi dell’originario contratto. In tal modo, peraltro, si finisce col sollecitare a questa Corte una valutazione di merito alternativa rispetto a quella compiuta dal giudice del gravame, che, in quanto sorretta da una motivazione esaustiva e congrua, si sottrae al sindacato di legittimità.

2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia.

Fa presente che la Corte di Appello, nel ritenere priva di prova l’esistenza di un nuovo contratto, ha eluso la questione principale prospettata con l’atto di appello, e cioè se potesse avere un qualche valore la vecchia contrattazione per la quale era stato concordato un prezzo totale e complessivo, pur essendo il nuovo edificio diverso per volume, forma e altezza. Sostiene che i giudici baresi sono incorsi in una forzatura logica, nel sostenere che le modifiche tra vecchio e nuovo progetto non erano sostanziali, e non hanno spiegato in quale maniera il nuovo prezzo poteva essere pur sempre retributivo, visto che il M. aveva già pagato un importo di gran lunga maggiore.

Anche tale motivo è privo di fondamento, contenendo censure generiche, con le quali non viene nemmeno spiegato il carattere di decisività delle questioni poste, ed involgendo, comunque, apprezzamenti in fatto rimessi al giudice di merito e non sindacabili in Cassazione.

3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della carenza di motivazione e dalla violazione dell’art. 112 c.p.c. Deduce che con l’atto di appello lo S. aveva criticato le valutazioni del C.T.U., che gli aveva persino addebitato “l’errata quota di una trave di collegamento”, facendo presente che si trattava di rilievi da muovere nei confronti del progettista e del direttore dei lavori, e non del muratore. Sostiene che la Corte barese non ha risposto a tale quesito, limitandosi ad affermare genericamente la correttezza dell’operato del consulente e definendo illogicamente “generiche” le specifiche censure dell’appellate.

Neanche tale motivo è meritevole di accoglimento. Secondo un principio affermato da questa Corte, il giudice del merito non è tenuto ad argomentare diffusamente la propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o dei loro difensori e consulenti (ovvero tali argomentazioni risultino del tutto aspecifiche), potendosi esso limitare, in tal caso, a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella sua relazione, mentre non può esimersi dall’obbligo di una più puntuale e dettagliata motivazione allorquando i rilievi mossi alla consulenza risultino specifici, argomentati, e tali da condurre, se riconosciuti come fondati, ad una soluzione affatto diversa rispetto a quella adottata (Cass. 31-3-2006 n. 7696; Cass. 11- 3- 2002 n. 3492; Cass. 20-5-2005 n. 10666).

Nel caso di specie, la Corte di Appello, nel prestare adesione alle conclusioni del C.T.U., ha rilevato che questi ha operato con metodo immune da censure, in quanto, dopo aver ricostruito l’iter amministrativo della vicenda edilizia e dopo avere ispezionato l’immobile, ha dato atto puntualmente di tutte le opere eseguito e del loro valore effettivo, nonchè dei vizi riscontrati, analiticamente indicati, e delle somme necessarie per eliminarli.

Si tratta di motivazione senz’altro sufficiente e appagante, tenuto conto che nella sentenza impugnata si da atto che l’appellante ha sollevato censure generi che in ordine all’operato del consulente tecnico d’ufficio, senza mai indicare le incongruenze o gli errori da questi commessi.

Per il principio di autosufficienza del ricorso, pertanto, il ricorrente non poteva limitarsi ad affermare in termini generici di avere mosso specifiche contestazioni in ordine alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ma avrebbe dovuto indicare puntualmente i rilievi critici da esso formulati nel giudizio di merito, trascrivendoli per esteso e precisando altresì gli atti del procedimento in cui aveva mosso le sue doglianze.

4) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Poichè gli intimati non hanno svolto alcuna attività difensiva, non vi è pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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