Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12876 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 12876 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 22083-2008 proposto da:
IDEAL PARTY S.R.L. ora B.I.G. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE
P.I. 01485490468, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamerite domiciliata
in ROMA, VIALE GLORIOSO 13, presso lo studio degli
avvocati BUSSA LIVIO, GIUSTI ROBERTO che la
2014

rappresentano e difendono, giusta delega in atti;
– ricorrente –

910

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE

C.F.

80078750587

in

persona

del

suo

Data pubblicazione: 09/06/2014

Presidente e legale rappresentante pro tempore, in
proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.
Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S.,
C.F. 05870001004, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura

avvocati MARITATO LELIO, CALIULO LUIGI, CORETTI
ANTONIETTA, giusta delega in atti;
– controri correnti nonchè contro

BIPIELLE RISCOSSIONI S.P.A.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 266/2008 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 05/03/2008 R.G.N.
1131/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/03/2014 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato BUSSA LIVIO;
udito l’Avvocato DE ROSE EMANUELE per delega MARITATO
LELIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 5.3.2008, la Corte di appello di Firenze rigettava il gravame proposto
dalla società Ideai Party — BIG s.r.l. in liquidazione — avverso la decisione del Tribunale di
Lucca che aveva respinto l’opposizione a ruolo esattoriale con riferimento a cartella del
2003 relativa ad un credito contributivo vantato dell’INPS per il periodo gennaio 1996 —
dicembre 2000, per euro 193.568,19, comprensivo di somme aggiuntive, rilevando che le
catering svolta dalla società, diversa dall’attività di gestione del bar ristorante Mariposa di
Forte dei Marmi che aveva formato oggetto di separato verbale. Non sussisteva, pertanto,
alcuna preclusione da precedenti verbali, né alcuna decadenza nella formazione del ruolo,
non applicabile a norma degli artt. 25 e 36 d. Igs. 46/1999 per i contributi non versati e per
gli accertamenti notificati fino al 31.12.2003 e che, in ogni caso, doveva aversi riguardo al
fatto che la legge 27.12.2002 n. 289 aveva già previsto che nessuna decadenza operasse
quando il ruolo si riferisse, come nella specie, a contributi non versati e ad accertamenti
notificati fino al 31.12.2002. Premesso che si era avuto riguardo alla disciplina collettiva
del settore turismo — pubblici esercizi applicata di fatto dall’appellante, osservava il giudice
del gravame che non vi era prova di validi contratti part time stipulati per iscritto, sicchè
non poteva considerarsi legittima l’erogazione di una retribuzione inferiore a quella dovuta
per il tempo pieno, ai cui minimali retributivi doveva farsi riferimento. Quanto
all’applicazione delle somme aggiuntive, il motivo di gravame era da ritenersi
inammissibile, in quanto la società aveva introdotto per la prima volta in appello un nuovo
argomento relativo al carattere colposo e non doloso della condotta omissiva e trovando
applicazione il regime sanzionatorio della I. 23.12.2000 n.388.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a tre
motivi, cui resiste l’INPS, con controricorso. La società di riscossione è rimasta intimata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della
legge 335/1995, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., nonché omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, richiamando l’art. 1, comma 20, dell« legge 335/95, per
sostenere che l’effetto preclusivo abbia una valenza generale e che aveva errato la Corte
nel considerare la non ricorrenza della preclusione per il solo fatto che l’accertamento del
febbraio 2001 riguardava un ramo d’azienda diverso da quello oggetto di esame nel
i

omissioni desumibili dal verbale ispettivo del 12.2.2001, erano relative alle attività di

settembre 2000, posto che nel registro vidimato al 20.1.2000 non figuravano i soli
dipendenti del ramo d’azienda Mariposa ma parte dell’intero personale e che, quindi,
benché la precedente verifica fosse indirizzata ad un ramo dell’attività aziendale, gli
ispettori avevano preso in esame atti e documenti che contenevano dati e versamenti di
contributi del personale dell’intera azienda.
Con il secondo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del D. L.
I. 153/69, ai sensi dell’ art. 360, n. 3, c.p.c., nonché omessa insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia, per avere gli ispettori calcolato le
omissioni sulla base del mancato rispetto del c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende del
settore turismo, con ciò violando la regola legislativa del minimale contributivo riferito a
diversa contrattazione. Si duole, poi, delle modalità del calcolo, operato senza tenere
conto soltanto della parte delle mensilità per la quale il dipendente aveva maturato il diritto,
e quindi tenendo conto anche delle sospensioni del rapporto lavorativo concordate tra le
parti. Rileva come sul punto fossero state avanzate idonee istanze probatorie disattese
immotivatamente dal giudice e non prese in considerazione dalla Corte di Appello,
attraverso le quali avrebbe potuto chiarirsi il tipo discontinuo dell’attività aziendale ed il
concordato utilizzo del personale, ai fini degli istituti contrattuali presi in considerazione
dagli ispettori (festività nazionali, ferie, scatti di anzianità, mensilità aggiuntive). Richiama,
per la valutazione della maturazione del relativo diritto norme del c.c.n.I., che
renderebbero evidente il carattere necessario della prova dedotta. Formula quesito con il
quale domanda se debba ritenersi violato il contenuto dell’art. 1 d. I. 338/89, convertito in
legge 389/89, e quello dell’art. 12 I. 30 aprile 1969 n. 153, con riguardo alla mancata
considerazione dei periodi di sospensione concordata della prestazione lavorativa.
Con il terzo motivo, si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c.,
nonché dell’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia, ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. e domanda se costituisca nuovo
motivo di appello, come tale inammissibile, la critica alla decisione del primo giudice circa
la liquidazione, da parte dell’INPS, della maggiorazione del 60% a titolo di sanzione civile
ex art. 116, comma 8, I. 388/2000, qualora nel “petitum” del ricorso introduttivo compaia in
subordine la richiesta di dichiarare che le somme aggiuntive addebitate a titolo di sanzioni
civili sono state calcolate in modo erroneo ed eccessivo con la conseguente necessità di
ridurne l’importo da versare.
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338/89, convertito in legge n. 389 del 1.12.1989, violazione e falsa applicazione dell’art. 12

Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che il dedotto vizio motivazionale non risulta seguito
dal c.d. quesito di fatto, mancando il motivo di apposito momento di sintesi che è richiesto
anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della
formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle
esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione
merito (cfr., tra le altre, Cass. 18 novembre 2011, Cass. 30 dicembre 2009 n. 276, Cass. I
ottobre 2007 n. 20603). In relazione alla dedotta violazione di legge, si tratta piuttosto di
umiquaestio facti e non di una quaestio iruris, posto che la deduzione si incentra sulla
riconducibilità all’attività svolta a quella di catering e non di ristorazione e comunque al
riguardo deve rilevarsi che l’INPS aveva ben delimitato l’oggetto dell’accertamento,
laddove non si riproducono i termini del precedente accertamento e del relativo verbale
ispettivo, né si allega il testo degli stessi, per evidenziare la sovrapposizione non
consentita dell’ambito delle due ispezioni.
Il secondo motivo sconta il vizio della mancanza di autosufficienza già evidenziata anche
in relazione al precedente motivo, non specificandosi in quali termini sia stata in grado di
appello formulato con carattere di specificità la doglianza relativa al criterio di calcolo dei
contributi sulla base di diversa contrattazione collettiva, senza tenere conto dei periodi di
sospensione concordata dell’attività lavorativa. Peraltro, quanto alla rilevanza del calcolo
sul tempo pieno, con riguardo ai contratti part time stipulati irregolarmente si è al riguardo
reiteratamente espressa la S. C. anche a s. u., affermando il principio per il quale al
contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per
difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale
prevista dall’ad. 5, quinto comma, D.L. n. 726 del 1984, convertito in legge n. 863 del
1984, ma deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione prevedente anche i
minimali giomalieri di retribuzione imponibile ai fini contributivi, e così anche la disciplina di
cui all’art. 1 D.L. n. 338 del 1989, convertito in legge n. 389 del 1989, tenuto conto, da un
lato, che il sistema contributivo regolato dal predetto ad. 5, comma quinto, D.L. n. 726 del
1984 è applicabile, giusta il tenore letterale della norma, solo in presenza di tutti i
presupposti previsti dai precedenti commi ed è condizionato, in particolare,
dall’osservanza dei prescritti requisiti formali, e considerato, dall’altro, che risulterebbe
privo di razionalità un sistema che imponesse, per esigenze solidaristiche, a soggetti
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di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di

rispettosi della legge l’osservanza del principio del minima/e, con l’applicazione ad essi di
criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche superiori a quelle in concreto
corrisposte al lavoratore, e nel contempo esentasse da tali vincoli quanti, nello stipulare il
contratto di lavoro “pari time”, mostrano, col sottrarsi alle prescrizioni di legge, di ricorrere
a tale contratto particolare per il perseguimento di finalità non istituzionali, agevolando così
di fatto forme di lavoro irregolare (cfr., in tali termini, Cass., sez. un., 5 luglio 2004 n.

24 agosto 2004 n. 16670). La censura, pertanto, prescindendo dai profili di inammissibilità,
è anche infondata, essendo la decisione in linea con l’orientamento espresso dal
giurisprudenza di legittimità richiamata, osservandosi, quanto alla problematica della
sospensione dell’attività lavorativa ed all’esenzione contributiva relativa al detto periodo,
che, sia pure con riferimento all’attività edile, questa Corte ha affermato che, ove la
sospensione del rapporto lavorativo derivi da una libera scelta del datore di lavoro e
costituisca il risultato di un accordo tra le parti, permane il relativo obbligo contributivo,
dovendosi escludere la possibilità di una interpretazione analogica dell’art. 29 del d.l. n.
244 del 1995, convertito nella legge n. 341 del 1995, in quanto la disposizione ha natura
eccezionale e regola espressamente la possibilità e le modalità di un ampliamento dei
previsti casi d’esonero da contribuzione, che può essere effettuato esclusivamente
mediante decreti interministeriali. (cfr. Cass. 4 maggio 2011 n. 9805, Cass. 18.2.2011 n.
3969).
Infine, anche il terzo motivo deve essere disatteso, ove si consideri che dalla riproduzione
del motivo di censura sulle sanzioni aggiuntive non risulta che l’argomentazione investa lo
specifico profilo del comportamento colposo del datore di lavoro, per cui la questione, oltre
ad essere connotata dal requisito della novità, per non essere chiarito se le dedotte
circostanze contrarie siano state indicate tempestivamente, risulta mal dedotta anche sotto
il profilo della autosufficienza .
Il ricorso deve essere, in conclusione, respinto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della società e si liquidano, in
favore dell’INPS nella misura determinata in dispositivo.
Nulla va statuito sulle spese nei confronti della Bipelle Riscossioni s.p.a., rimasta intimata.
P.Q.M.

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12269, e, da ultimo Cass. 7 gennaio 2009, n. 52, e Cass. 5 maggio 2008 n. 11011, Cass.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 4500,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge.
Nulla nei confronti della s.p.a. Bipelle Riscossioni.

Così deciso in ROMA, il 12.3.2014

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