Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12875 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 22/04/2010, dep. 26/05/2010), n.12875

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, via Carlo

Mirabello 18, presso l’avvocato JAUS Maria Luisa che lo rappresenta e

difende giusta procura in calce al ricorso unitamente all’avv.

Peronaci Vittorio di Grosseto;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia in persona del Ministro in carica,

domiciliato in ROMA, via dei Portoghesi 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

nonche’ sul ricorso iscritto al n. 20322 del R.G. anno 2008 proposto

da:

Ministero della Giustizia in persona del Ministro in carica, rapp.to,

difeso e dom.to come sopra;

– ricorrente incidentale –

contro

S.G.;

– intimato –

Entrambi proposti avverso il decreto della Corte d’Appello di Genova

dell’8 Maggio 2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22.4.2010 dal Consigliere Dott. MACIOCE Luigi;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Richiello (per delega) che ha

chiesto accogliersi il ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento del primo e secondo

motivo del ricorso principale, rigetto del terzo, rigetto del ricorso

incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 10.10.2006 S.G. chiese alla Corte di Genova la determinazione di equa riparazione in relazione alla irragionevole durata di un procedimento civile introdotto nelle forme della opposizione a decreto ingiuntivo emesso per crediti professionali, che era stata instaurata con vari atti tra novembre 1992 e gennaio 1993, definita in primo grado con sentenza 20.7.2002 dal Tribunale di Grosseto ed il cui procedimento di appello era stato cancellato dal ruolo il 14.2.2006. La Corte adita, costituitosi il Ministero della Giustizia, sul rilievo della complessiva durata ragionevole di anni sette (quattro per il primo e tre per il secondo grado) e della eccedenza irragionevole di anni sette, esclusa la sussistenza di danni patriominiali risarcibili, ebbe a liquidare allo S. la somma di Euro 7.000,00 a ristoro dei danni non patrimoniali, con interessi e refusione di spese.

Per la cassazione di tale decreto lo S. ha proposto ricorso il 16.6.2008 dispiegando tre motivi, resistiti con controricorso del 25.7.2008 dell’Amministrazione, recante ricorso incidentale affidato a tre motivi. Lo S. ha depositato memoria finale. I ricorsi sono stati riuniti alla udienza di discussione ex art. 335 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che, dei ricorsi riuniti, debbano essere accolte le sole censure di cui al primo mezzo del ricorso principale e che, assorbita quella di cui al secondo e respinta la doglianza di cui al terzo motivo, debba essere interamente rigettata la censura di cui al ricorso incidentale dell’Amministrazione della Giustizia. Ed e’ da tal impugnazione, avente carattere logicamente preliminare nelle sue censure, che occorre prendere le mosse.

Il ricorso incidentale.

Con il primo e secondo motivo, l’Amministrazione denunzia la indebita assenza di declaratoria di improponibilita’ della domanda L. n. 89 del 2001, ex art. 4 discendente dal fatto che la definizione del giudizio presupposto non era avvenuta con provvedimento decisorio bensi’ solo con abbandono da parte dei soggetti, il cui provvedimento di cancellazione conseguente non poteva essere reputato aver “definito” la lite nel senso di legge.

La censura e’ priva di fondamento alla stregua del condiviso principio formulato in recente pronunziato di questa Corte (Cass. n. 27719 del 2009) ed alla stregua del quale (se ne trascrive la massima ufficiale), il diritto all’equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo non e’ escluso dalla circostanza che quest’ultimo si sia concluso con la cancellazione della causa dal ruolo, a seguito di bonaria composizione della controversia tra le parti, essendo irrilevante, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, la natura del provvedimento conclusivo dell’”iter” processuale, avuto riguardo al carattere meramente esemplificativo dell’indicazione contenuta al riguardo nella L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 la quale non risponde alla finalita’ di escludere l’equa riparazione in processi oggettivamente protrattisi oltre il termine ragionevole, sol perche’ conclusisi con provvedimenti aventi natura processuale.

Con il terzo motivo si censura la assenza di alcuna attenzione della Corte di merito, sia nella considerazione del periodo di durata rilevante sia con riguardo al quantum liquidato, al disinteresse delle parti che ebbe a portare alla cancellazione della causa dal ruolo ex art. 309 c.p.c.: la censura e’ inammissibile perche’ manca del tutto di autosufficienza nell’esporre i dati rilevanti della censura (ritraibili dalla storia del processo), attinenti alla durata della assenza di iniziativa delle parti alle stesse addebitabile.

Il ricorso principale Con il primo motivo, denunziante la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 par. 1 CEDU si censura l’avere la Corte di merito, pur dando atto della assenza di ragioni di complessita’ del procedimento o di contegni dilatori della parte, attestato a sette anni la durata ragionevole dei due gradi, violando lo standard europeo e nazionale di anni tre per il primo grado ed anni due per il secondo. Il motivo e’ certamente fondato posto che la affermata normalita’ del contenzioso esaminato e l’assenza di iniziative dilatorie di parte doveva far applicare lo standard di anni 3 + 2 per i due gradi di merito, ritenuto congruo dai pronunziati della Corte EDU e, come tale, da assumere a parametro primario da parte del giudice nazionale (Cass. n. 23047 del 2009).

Con il secondo motivo si denunzia la violazione commessa con la liquidazione a titolo di spese di diritti ed onorari inferiori ai minimi di tabella secondo il valore. La censura resta assorbita nell’effetto rescindente cagionato dall’accoglimento del primo motivo.

Con il terzo motivo, infine, si censura come immotivata l’indebita liquidazione del ristoro al parametro annuo di Euro 1.000,00 anziche’ di Euro 1.500,00. La censura e’ priva di alcun fondamento non essendo in alcun modo sindacabile – in assenza di prospettazioni di una particolare penosita’ dell’attesa – la scelta del giudice di merito di liquidare l’indennizzo al parametro minimo, ma normale, di Euro 1.000,00 ad anno (e ben essendo possibile determinazioni di importi annui nettamente inferiori: Cass. n. 16086 e n. 21840 del 2009).

Accolto il primo motivo e cassato l’impugnato decreto puo’ pertanto decidersi la causa nel merito semplicemente applicando al periodo di corretta eccedenza di durata, anni nove, il parametro rettamente individuato di Euro 1.000,00 ad anno, con interessi e refusione di spese per i due gradi di giudizio a carico della soccombente Amministrazione. A tanto si provvede in dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbe il secondo e rigetta il terzo; rigetta il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e decidendo ex art. 384 c.p.c. condanna l’Amministrazione della Giustizia a versare allo S. l’indennizzo per Euro 9.000,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo e le spese del giudizio che determina, per il merito, in Euro 900,00 (di cui Euro 50,00 per esborsi ed Euro 450,00 per onorari) e, per la legittimita’, in Euro 800,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi) oltre a spese generali ed accessori di legge su entrambe le liquidazioni.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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