Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12875 del 22/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12875 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 14420-2012 proposto da:
ASSICURAZIONI GENERALI SPA 0079760328, in persona dei
legali rappresentanti dottor TOMMASO CECCON e dottor
PAOLO BAVARESCO, elettivamente domiciliata in ROMA,
V.CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato SVEVA
BERNARDINI, che la rappresenta e difende unitamente
2015
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all’avvocato MARCO RESCA giusta procura speciale a
margine del ricorso;
– ricorrente
contro

CARDELLA FAUSTO, elettivamente domiciliato in ROMA,

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Data pubblicazione: 22/06/2015

P.ZA BARBERINI 12, presso lo studio dell’avvocato
VINCENZO DE SENSI, rappresentato e difeso
dall’avvocato GERMANA PARLAPIANO giusta procura
speciale a margine del controricorso;
– con troricorrente-

D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/12/2011, R.G.N.
2544/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/04/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA
CARLUCCIO;
udito l’Avvocato FABRIZIO DE MARSI per delega;
udito l’Avvocato NICCOLO’ BRUNO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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avverso la sentenza n. 3414/2011 della CORTE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Fausto Cardella – quale magistrato che aveva stipulato nel 1988, con le
Assicurazioni generali, una polizza assicurativa per la responsabilità civile
derivante dallo svolgimento delle funzioni di magistrato, ai sensi della
legge n. 117 del 1988 – chiese la condanna dell’assicurazione al rimborso
delle spese di assistenza legale, che aveva sostenuto in relazione a
procedimenti penali promossi nei suoi confronti e che si erano conclusi

Espose che i procedimenti penali erano stati promossi in seguito a
denuncia presentata da Claudio Vitalone, in riferimento a assunti
comportamenti illeciti tenuti dall’attore nello svolgimento delle funzioni di
sostituto procuratore generale nell’ambito del procedimento penale
relativo all’omicidio del giornalista Mino Pecorelli, dove il Vitalone era uno
degli imputati, e che le spese di assistenza legale rientravano nella
copertura assicurativa.
Il Tribunale di Milano rigettò la domanda ritenendo esclusa l’operatività
della polizza.
La Corte di appello di Milano, accogliendo l’impugnazione del Cardella,
condannò l’Assicurazione al pagamento di euro 76.074,00 a titolo di
indennizzo, riconoscendo l’esistenza della copertura assicurativa
(sentenza del 6 dicembre 2011).
2. Avverso la suddetta sentenza l’Assicurazione propone ricorso per
cassazione affidato a due motivi.
Cardella resiste con controricorso, esplicato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.11 diverso esito della controversia, in primo e secondo grado, si fonda
sulla diversa interpretazione di due articoli della polizza assicurativa.
L’art. 1, dell’appendice n. 1 prevede che «La Società assume a proprio
carico….l’onere relativo ad ogni spesa per assistenza giudiziaria in ogni
stato e grado sia civile che penale – nonché extragiudiziale e peritale per la tutela degli interessi dell’Assicurato, in conseguenza di un fatto dal
quale tragga origine una sua responsabilità civile ai sensi della legge n.
117 del 1988>>.
L’art. 2, dell’appendice n. 2, prevede che «Fermo restando che la
garanzia non opera per fatti dolosi, l’assicurazione … vale, comunque, per
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con decreto di archiviazione del Gip di Roma del 5 gennaio 2001.

addebiti anche di natura dolosa per i quali, tuttavia, la Società è tenuta al
rimborso delle spese sostenute, relativamente ad ogni grado del giudizio,
qualora il giudizio stesso si concluda con sentenza di assoluzione,
dichiarazione di proscioglimento o derubricazione del reato».
1.1.La Corte di merito ha ritenuto che la clausola, nel prevedere il
rimborso delle spese legali sostenute dall’assicurato nell’ambito di un
giudizio penale concluso con sentenza di assoluzione o con dichiarazione

procedimento penale definito con un provvedimento, sentenza o decreto,
favorevole all’assicurato e non solo alla «sentenza di non luogo a
procedere» ex art. 425 c.p.p., che il giudice emette all’esito
dell’udienza preliminare qualora non intenda pronunciare decreto di rinvio
a giudizio, come ritenuto dal primo giudice in riferimento all’espressione
«dichiarazione di proscioglimento», collegata all’esistenza di una
imputazione per l’avvenuto esercizio dell’azione penale.
Secondo la suddetta Corte, l’espressione letterale della previsione, con il
riferimento al «grado», al «giudizio» e alla conclusione dello
stesso, menziona i provvedimenti conclusivi della fase dibattimentale, da
intendersi quali quelli previsti dagli artt. 529, 530 e 531 c.p.c., facendo
emergere l’intenzione della operatività della garanzia in tutti i casi in cui il
procedimento penale non si è concluso con una affermazione di
responsabilità dell’assicurato e, quindi, si è concluso favorevolmente
all’imputato. Se, sostiene la Corte, la ratio emergente dalla lettera è la
copertura assicurativa tutte le volte che il procedimento si definisce senza
una condanna per l’assicurato, sarebbe assurdo – in mancanza di una
espressa limitazione – escludere dalla garanzia le ipotesi nelle quali
l’infondatezza dell’accusa, come nel caso di decreto di archiviazione,
risulti nella fase precedente al giudizio. In questo contesto di
argomentazioni, la Corte di merito ha aggiunto, prescindendone ai fini
della argomentazione centrale surriferita «a prescindere dal fatto che
anche» , che, se è vero che le indagini possono essere riaperte dopo il

decreto di archiviazione (art. 414 c.p.c.), anche la sentenza di non luogo
a procedere ex art. 425 c.p.c., ritenuta dal primo giudice rientrante nella
copertura assicurativa, non ha carattere definitivo, potendo essere
revocata per il sopravvenire di nuove fonti di prova (art. 434 c.p.p.). Ha
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di proscioglimento intenda riferirsi alle spese sostenute nell’ambito di un

rilevato, ancora, che nel caso di specie la difesa si era resa necessaria
proprio per l’opposizione al decreto di archiviazione fatta dal denunciante
ex art. 410 c.p.p. Nel concludere sul profilo esaminato, la Corte milanese
ha aggiunto di aver avuto, altresì, riguardo al canone ermeneutico di cui
all’art. 1370 cod. civ.
1.1.1.Sul diverso profilo concernente la ritenuta necessità, da parte del
primo giudice, di una richiesta di risarcimento del danneggiato ai fini della

contratto, laddove prevede il rimborso delle spese legali sostenute
dall’assicurato «in conseguenza di un fatto dal quale tragga origine una
sua responsabilità civile». Ha messo in rilievo che tale previsione, in
ragione della causa del contratto, comprende, oltre che alle ipotesi in cui
la richiesta di risarcimento vi è stata (quando le accuse di comportamenti
dolosi nello svolgimento dell’attività professionale sono pervenute nella
fase del giudizio), anche quelle ipotesi in cui la denuncia di
comportamenti penalmente rilevanti nello svolgimento dell’attività di
magistrato, che potrebbero fondare la responsabilità civile del magistrato,
costituisce la fase prodromica alla richiesta risarcitoria, alla quale non si
giunge nel caso della infondatezza dell’accusa, per difendersi dalla quale
è prevista la copertura assicurativa delle spese. In definitiva, la Corte
milanese, sulla premessa che le spese legali assicurate devono trovare
causa in un fatto idoneo a fondare una responsabilità civile del
magistrato, ha aggiunto che le condotte dolose ascritte integrano fatti
che, qualora fossero stati accertati avrebbero legittimato una pretesa
risarcitoria della parte offesa e che quindi la denuncia penale costituiva
una fase prodromica alla richiesta di risarcimento.
2. Con il primo motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione
di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c..
Riprendendo le argomentazioni della sentenza di primo grado, si censura
la sentenza di appello per essere pervenuta, superando il dato testuale
dei riferimenti al giudizio e quindi al proscioglimento in esito all’esercizio
dell’azione penale, ad una interpretazione estensiva della clausola
«arbitraria e comunque contraria alle norme del codice di procedura».
Dapprima sembra fondare l’arbitrarietà e la contrarietà al sistema penale
sul carattere non definitivo del decreto di archiviazione, potendo essere le
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copertura assicurativa, il giudice di merito ha richiamato l’art. 1 del

indagini riaperte ex art. 414 c.p.c. poi, abbandonando la prospettiva della
sentenza di primo grado quanto alla differenza tra decreto di
archiviazione e sentenza di non luogo a procedere, nel richiamare la
giurisprudenza penale e civile, accomuna anche le due ipotesi del decreto
di archiviazione e di sentenza ex art. 425 quali provvedimenti non
definitivi non equiparabili alla sentenza irrevocabile. In particolare, in
riferimento alla esclusione della revisione ex art. 630 c.p.p, in riferimento

promosso per le restituzioni e il risarcimento del danno in mancanza di
dibattimento, mancando il carattere di stabilità e definitività, in
riferimento all’operatività del divieto del ne bis in idem europeo solo in
casi di sentenza o decreto penale di condanna stranieri irrevocabili, non
risultando preclusivo il solo decreto di archiviazione straniero. Aggiunge,
che tale mancanza di definitività e stabilità del decreto di archiviazione
influenza in maniera decisiva anche il rischio assicurato atteso che il
pagamento dell’indennizzo presuppone la stabilizzazione della situazione
che ha dato luogo a sinistro, mentre l’incertezza aggraverebbe il rischio
assicurato.
Anche se non richiamandolo espressamente, invoca la violazione dell’art.
1362 c.c., per aver ricavato l’intenzione delle parti a prescindere dal
criterio letterale e in contrasto con le diversità tra fase preliminare e fase
successiva al dibattimento, esistenti nel sistema penale e aventi incidenza
nel processo civile per le richieste di risarcimento (riferimento al
giudicato). In definitiva, quella esclusione della fase preliminare al
dibattimento non ricompresa nella lettera della clausola e ritenuta
assurda dalla Corte di merito in mancanza di espressa esclusione, e per
questo ritenuta compresa nella copertura assicurativa, troverebbe
giustificazione secondo la ricorrente nel sistema penale e nel sistema
dell’impatto di questo su quello civile.
Inoltre, appare invocare, visto che non lo richiama espressamente, e
seppure a contrario anche la violazione dell’art. 1365 c.c.;<

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