Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12874 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 26/05/2010), n.12874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ AUTOMOBILI BUSCEMI S.N.C. DI BUSCEMI GIUSEPPE E BUSCEMI

FILIPPO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso

l’avvocato BURRAGATO ROSALBA, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA,

depositato il 10/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FIORETTI Francesco Maria;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine

rigetto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte d’Appello di Reggio Calabria la societa’ Automobili Buscemi s.n.c. di Buscemi Giuseppe e Buscemi Filippo chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole previsto dall’art. 6 della CEDU in relazione alla durata di una procedura fallimentare, iniziata con la dichiarazione di fallimento della ricorrente, avvenuta con sentenza del Tribunale di Bari del (OMISSIS).

Il Tribunale, rilevato che la procedura fallimentare aveva avuto una durata di anni 14, mesi tre e giorni 29, ritenuta ragionevole la durata di anni tre, determinava la durata non giustificata in anni 11, mesi 3 e giorni 29; conseguentemente condannava il Ministero convenuto al pagamento di Euro 11,329,16, in ragione di Euro 1000,00 per ogni anno di ritardo.

Avverso detto decreto la societa’ Automobili Buscemi s.n.c. di Buscemi Giuseppe e Filippo ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe errato nel determinare la durata del processo presupposto, atteso che avrebbe dovuto considerare l’intera durata compresa tra l’inizio della procedura fallimentare ed il momento in cui il ricorrente, vistosi riconosciuto il diritto all’equa riparazione, abbia materialmente soddisfatto la propria pretesa. Lamenta, altresi’, la inadeguatezza del danno non patrimoniale liquidato, essendo tale liquidazione inferiore ai parametri CEDU. Il ricorso e’ infondato.

Questa Suprema Corte ha piu’ volte affermato, orientamento che il collegio condivide, che ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto (cfr. Cass. n. 14 del 2008; Cass. n. 1354 del 2008).

Ne puo’ ritenersi condivisibile la censura secondo cui, nel caso che l’equa riparazione venga chiesta durante la pendenza del processo presupposto, debba essere considerato, al fine di determinarne la durata complessiva, il periodo compreso tra l’inizio del processo e la data della decisione accertante e dichiarante l’avvenuta violazione del termine di durata ragionevole del processo ed il conseguente diritto del ricorrente a conseguire un equo ristoro.

Giustamente, al fine di determinare la durata complessiva del processo presupposto, il giudice a quo ha considerato, come termine finale, quello del momento della proposizione della domanda, atteso che e’ la domanda che individua l’oggetto della controversia (e quindi si pone quale termine ultimo per valutare la durata complessiva del processo presupposto) ed e’ su questa, non suscettibile di modifiche, che deve intervenire la pronuncia del giudice.

La pronuncia del giudice che prendesse in considerazione anche il periodo del processo presupposto compreso tra la proposizione della domanda e la emanazione della decisione violerebbe il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., che impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda ed impone allo stesso il divieto di pronunciare oltre i limiti della stessa.

Il danno non patrimoniale, poi, contrariamente a quanto assume la ricorrente, e’ stato liquidato tenendo in considerazione i parametri CEDU, avendo il giudice a quo liquidato Euro 1.000,00 per ogni anno di durata non ragionevole.

Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento a favore dell’amministrazione resistente delle spese del giudizio di cassazione, che appare giusto liquidare in Euro 1.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore del Ministero della Giustizia, liquidate in Euro 1.000,00 (mille/00), oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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