Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12873 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 26/05/2010), n.12873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA QUINTINO SELLA 41, presso l’avvocato

BURRAGATO ROSALBA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DEFILIPPI CLAUDIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliate in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA,

depositato il 10/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FIORETTI Francesco Maria;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’inammissibilita’, in subordine

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla Corte d’Appello di Reggio Calabria B. G. chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un’equa riparazione, quantificata in Euro 56.921,62, per il mancato rispetto del termine ragionevole previsto dall’art. 6 della CEDU in relazione alla durata di una procedura fallimentare, iniziata con la dichiarazione di fallimento del ricorrente, quale socio della Automobili Buscemi s.n.c., avvenuta con sentenza del Tribunale di Bari del 3 febbraio 1993. Il Tribunale, rilevato che la procedura fallimentare aveva avuto una durata di anni 14, mesi tre e giorni 29, ritenuta ragionevole la durata di anni tre, determinava la durata non giustificata in anni 11, mesi 3 e giorni 29;

conseguentemente condannava il Ministero convenuto al pagamento di Euro 11.329,16, in ragione di Euro 1000,00 per ogni anno di ritardo, compensando per meta’ le spese del giudizio.

Avverso detto decreto B.G. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe errato nel determinare la durata del processo presupposto, atteso che, invece, avrebbe dovuto considerare l’intera durata compresa tra l’inizio della procedura fallimentare ed il momento in cui il ricorrente, vistosi riconosciuto il diritto all’equa riparazione abbia materialmente soddisfatto la propria pretesa.

Lamenta, altresi’, la inadeguatezza del danno non patrimoniale liquidato, essendo tale liquidazione inferiore ai parametri CEDU. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata liquidazione del danno patrimoniale, che avrebbe dovuto essere liquidato equitativamente “pur non avendo….specificamente indicato le spese finanziarie ingiustamente sopportate ed i guadagni ingiustamente perduti”.

Con il terzo motivo lamenta la parziale compensazione delle spese di lite, ingiustificata sia perche’ il ricorrente doveva considerarsi totalmente vittorioso, sia perche’ il corrispondente rimedio giuridico a livello internazionale si configura come strumento processuale completamente gratuito per il soggetto che adisce la Competente autorita’ internazionale.

Il ricorso e’ infondato.

Questa Suprema Corte ha piu’ volte affermato, orientamento che il collegio condivide, che ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto (cfr. Cass. n. 14 del 2008; Cass. n. 1354 del 2008).

Ne puo’ ritenersi condivisibile la censura secondo cui, nel caso che l’equa riparazione venga chiesta durante la pendenza del processo presupposto, debba essere considerato, al fine di determinarne la durata complessiva, il periodo compreso tra l’inizio del processo e la data della decisione accertante e dichiarante l’avvenuta violazione del termine di durata ragionevole del processo ed il conseguente diritto del ricorrente a conseguire un equo ristoro.

Giustamente, al fine di determinare la durata complessiva del processo presupposto, il giudice a quo ha considerato, come termine finale, quello del momento della proposizione della domanda, atteso che e’ la domanda che individua l’oggetto della controversia (e quindi si pone quale termine ultimo per valutare la durata complessiva del processo presupposto) ed e’ su questa, non suscettibile di modifiche, che deve intervenire la pronuncia del giudice.

La pronuncia del giudice che prendesse in considerazione anche il periodo del processo presupposto compreso tra la proposizione della domanda e la emanazione della decisione violerebbe il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., che impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda ed impone allo stesso il divieto di pronunciare oltre i limiti della stessa.

Il danno non patrimoniale, poi, contrariamente a quanto assume il ricorrente, e’ stato liquidato tenendo in considerazione i parametri CEDU, avendo il giudice a quo liquidato Euro 1.000,00 per ogni anno di durata non ragionevole.

Anche la censura attinente alla mancata liquidazione del danno patrimoniale e’ infondata, non avendo il ricorrente fornito alcuna prova, come evidenziato dal giudice a quo, dell’effettivo danno patrimoniale subito.

Infondata e’ anche la censura relativa alla parziale compensazione delle spese processuali, atteso che, come piu’ volte affermato da questa Suprema Corte (cfr. Cass n. 1101 del 2010; Cass. n. 22305 del 2009), il giudizio di equa riparazione non si sottrae alle regole poste in tema di spese processuali, dall’art. 91 c.p.c. e segg.;

pertanto correttamente il giudice a quo ha compensato per la meta’ le spese processuali in considerazione del fatto che la domanda del ricorrente era stata solo parzialmente accolta.

Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento a favore dell’amministrazione resistente delle spese del giudizio di cassazione, che appare giusto liquidare in Euro 1.000,00, oltre le spese prenotate a debito.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore del Ministero della Giustizia, liquidate in Euro 1.000,00 (mille/00), oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

 

 

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