Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12873 del 09/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 12873 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BUFFA FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 23158-2010 proposto da:
ALFANO

GIOVANNI

C.F.

LENGNN35B24A089R,

già

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GORIZIA 22,
presso lo studio dell’avvocato TOSCHI CRISTIANO
GIUSEPPE MARIO, rappresentato e difeso dall’avvocato
GATTUCCIO ACHILLE, giusta delega in atti e da ultimo
2014
636

domiciliato presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE;
– ricorrente contro

SICILCASSA
e

S.P.A.

IN

LIQUIDAZIONE

COATTA

Data pubblicazione: 09/06/2014

AMMINISTRATIVA C.F.

03989900828,

in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO SIACCI N.

39,

presso lo studio dell’avvocato SINESIO ANTONIO,
rappresentata e difesa dall’avvocato FURNARI

– controricorrente
avverso la sentenza n.

1531/2009

della CORTE

D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/09/2009 R.G.N.
1686/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

20/02/2014

dal Consigliere Dott.

FRANCESCO BUFFA;
udito l’Avvocato GATTUCCIO ALBERTO per delega
GATTUCCIO ACHILLE;
udito l’Avvocato SINESIO ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

SALVATORE, giusta delega in atti;

1. Con sentenza del 30.9.2009, la Corte d’appello di Palermo, confermando la
sentenza 7.2.2005 del tribunale della stesa sede, ha rigettato la domanda con la
quale Alfano Giovanni, proponendo opposizione allo stato passivo della
liquidazione coatta amministrativa della Sicilcassa s.p.a., aveva chiesto
l’insinuazione del credito relativo alle spese legali sostenute in due processi penali,
il cui onere —secondo l’attorea prospettazione- avrebbe dovuto gravare sul datore
di lavoro in ragione della previsioni dell’art. 121 del ccnl.
2. In particolare, la corte territoriale ha escluso che il lavoratore avesse un credito
certo liquido ed esigibile al momento dell’apertura della liquidazione coatta
amministrativa, in quanto la domanda di tutela legale era stata giustamente
respinta dalla banca (anche in quanto parte offesa da uno dei reati ascritti al
dipendente), sicché il diritto alla tutela legale nei confronti della società in bonis contestato da questa- era inesistente.
3. Avverso questa sentenza il lavoratore propone ricorso, affidato a due motivi ed
illustrato da memoria. Resiste la Sicilcassa in liquidazione con controricorso.
4. Con il primo motivo di ricorso, producendo il contratto collettivo, il ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 121 del ccnl dell’11.4.1991, ripetuto
dall’art. 126 del ccnl personale direttivo delle casse di risparmio del 16.6.1995, per
avere la sentenza impugnata condizionato la tutela legale prevista dalle dette
disposizioni a previa valutazione positiva da parte del datore, trascurando da un
lato che la tutela assicurata al dipendente è una tutela preventiva, che sorge
immediatamente al momento dell’apertura del procedimento penale a carico del
dipendente per fatti inerenti il servizio e, dall’altro lato, che il lavoratore era stato
completamente assolto dalle imputazioni contestate sicché nessun conflitto di
interesse con il datore poteva essere ipotizzato al fine di negare la tutela. Si
aggiunge inoltre che la sentenza impugnata ha trascurato che il lavoratore non
poteva all’epoca della domanda giudiziale indicare un importo preciso per le spese
che sarebbero state svolte nei processi penali, e che le fatture delle parcelle dei
difensori erano state poi prodotte prima della conclusione del processo di primo
grado, non appena emesse, e nel rispetto degli artt. 183 e 184 cod. proc. civ.
5. Con il secondo motivo, si lamenta omessa motivazione circa un fatto decisivo del
giudizio, per avere la sentenza impugnata trascurato l’assoluzione con formula
piena del lavoratore dai due procedimenti penali instaurati nei suoi confronti.
6. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
7. L’art. 121 del contratto collettivo assicura al dirigente, secondo la nomenclatura
contrattuale, la c.d. tutela penale (ossia, l’assunzione a carico del datore delle spese
per la difesa nel procedimento penale) sin dal momento del promovimento
dell’azione penale nei suoi confronti, come si desume sia dalla lettera della norma
(secondo cui la banca “assume a proprio carico le spese giudiziali ivi comprese
quelle di assistenza legale, fermo il diritto dell’interessato a nominare un legale di
fiducia”), sia dalla previsione di un rimborso (“il dirigente è tenuto a reintegrare
l’istituto”) a carico del dipendente nel caso di condanna o patteggiamento (ove
Udienza del 20 febbraio 2014
,____)
Pres. Lamorgese, Est. Buffa’
,

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Rg. 23158/10 — Alfano c. Sicilcassa

emergessero le specifiche circostanze impeditive della tutela richiamate dalla
norma), ciò che richiama per contrapposizione l’anticipazione delle spese da parte
datoriale. Il datore di lavoro non ha dunque l’obbligo di mero rimborso delle
spese legali sostenute dal dipendente, ma ha l’obbligo di anticipazione delle stesse,
assumendo immediatamente e direttamente gli oneri di difesa e giudiziali fin
dall’inizio del procedimento.
8. La detta tutela legale prescinde anche da una valutazione preliminare da parte della
banca, proprio per il carattere preventivo della tutela che richiede un intervento
immediato della banca, senza possibilità di ritardi procedurali idonei a
compromettere la rapidità ed effettività della tutela assicurata al dipendente.
D’altra parte, nessuna norma attribuisce alla banca il potere di paralizzare o
escludere la tutela sulla base di una valutazione prognostica dell’esito del
procedimento penale o di altre considerazioni, potendo al più discutersi della
legittimità di un rifiuto della tutela in ragione di un conflitto di interessi con il
dipendente.
9. Con riferimento a tale ultimo profilo, la sentenza impugnata ha escluso la
configurabilità della tutela in questione con riferimento al caso in cui la stessa
banca sia parte offesa o danneggiata dal reato ascritto al dipendente, ma tale
soluzione da un lato non riguarda uno dei due procedimenti nella specie a carico
del dipendente, dall’altro lato non è decisiva nel caso, ricorrente nella specie, in cui
il dipendente sia assolto con formula piena.
10.Se peraltro la c.d. tutela penale compete subito con l’esercizio dell’azione penale,
ciò non vuol dire che il lavoratore abbia sin da quel momento un diritto di credito
liquido ed esigibile, atteso che un siffatto credito sorge solo nel momento in cui al
dipendente indagato sia richiesto il pagamento delle spese relative all’assistenza
penale (in via di anticipo o a saldo) ovvero —quanto meno- siano state poste in
essere le prime attività difensive (in relazione alle quali il compenso sia previsto
dalla tariffa professionale o dagli accordi con il legale): la tutela penale richiede, in
altri termini,la configurabilità di spese che il lavoratore è chiamato a sostenere e
che in sua vece, per effetto della clausola contrattuale, sosterrà la banca.
11. Per altro verso, deve rilevarsi che, in caso di fallimento o liquidazione coatta
amministrativa, l’insinuazione di un credito al passivo presuppone
necessariamente l’indicazione del relativo valore in termini monetari, secondo la
regola desumibile dagli artt. 93 e 59 1.f., applicabile anche in materia di
liquidazione coatta amministrativa. Ne deriva che l’esistenza di un credito non
indicato in un ammontare monetario alla data della dichiarazione di fallimento (o
nel tuo caso di apertura della liquidazione) non può essere ammesso al passivo.
Si è già affermato infatti (Sez. 1, Sentenza n. 11228 del 28/08/2000; Sez. 1,
Sentenza n. 9066 del 29/07/1992) che il credito risarcitorio del danneggiato verso
il fallito, in forza della regola della cristallizzazione dei crediti al momento della
dichiarazione di fallimento, deve essere espresso in termini monetari alla data della
dichiarazione di fallimento, con riferimento alla quale deve calcolarsi anche la
Udienza del 20 febbraio 2014
Pres. Lamorgese, Est. Buffi

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Rg. 23158/10 — Alfano c. Sicilcassa

rivalutazione monetaria; tale criterio non si applica, invece, alla liquidazione del
debito dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, il cui patrimonio deve essere
tenuto indenne e che, una volta tornato in bonis, è tenuto al pagamento degli
interessi, il cui corso è sospeso solo agli effetti del concorso; pertanto, sul debito
dell’assicuratore devono computarsi gli interessi a decorrere dalla data della
dichiarazione di fallimento, cui si riferisce la liquidazione del danno in favore del
danneggiato.
12.Nel caso di specie, al momento di apertura della liquidazione coatta
amministrativa, se erano iniziati i procedimenti penali a carico del dipendente, non
risulta che all’epoca fosse già stato richiesto all’indagato il pagamento dei
compensi professionali (le fatture prodotte sono tutte successive), né il lavoratore
ha provato il pregresso compimento di una qualunque attività difensiva per la
quale avrebbe dovuto sostenere delle spese. Non vi era, dunque, alcun credito
certo, liquido ed esigibile nei confronti della società in bonis, né vi era un credito il
cui importo, con riferimento alla data della liquidazione coatta amministrativa,
poteva ritenersi certo, benché liquidabile solo nel corso del giudizio.
13.La soluzione della sentenza impugnata si sottrae dunque alle censure sollevate,
benché se ne debba correggere in parte la motivazione come indicato, non
essendo dovuta la tutela penale non in quanto il credito era contestato dalla
società, bensì in quanto non era ancora sorto al momento dell’apertura della
liquidazione coatta amministrativa.
14.Può dunque affermarsi che, in tema di spese per la tutela legale del dipendente
sottoposto a procedimento penale, l’art. 126 del c.c.n.l. del personale direttivo
delle casse di risparmio del 16.6.1995 assicura al dirigente l’assunzione a carico del
datore delle spese sin dal momento di promovimento dell’azine penale, e dunque
anche in via di anticipazione; il diritto di credito del lavoratore non sorge, tuttavia,
se non quando sono concretamente poste in essere le prime attività difensive per
le quali sia dovuto un compenso al professionista incaricato della difesa, con la
conseguenza che, ove prima di tale momento il datore sia sottoposto a procedura
di liquidazione coatta amministrativa, il diritto relativo alla tutela legale non può
essere fatto valere nei confronti della procedura.
15.Le spese seguono la soccombenza.

p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite,
che si liquidano in €, 100,00 per spese ed € 3000,00 per competenze, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 febbraio 2014.

Rg. 23158/10 — Alfano c. Sicilcassa

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