Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12872 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. II, 10/06/2011, (ud. 13/04/2011, dep. 10/06/2011), n.12872

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.G., rappresentato e difeso, in virtù di procura

speciale in calce al ricorso, dall’avv. Aliani Angela e domiciliata

“ex lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

C.R., rappresentata e difesa, in virtù di procura

speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti STIGLIANI Giovanni

ed Antonello ed elettivamente domiciliata in Roma, alla v.

Celimontana, n. 38, presso lo studio dell’Avv. Paolo Panariti;

– controricorrente –

avverso la sentenza del Tribunale di Bari, sez. dist. di ALTAMURA,

composizione monocratica, n. 81 del 2005, depositata il 28 luglio

2005 (e con comunicazione del dispositivo in data 3 settembre 2005);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito l’Avv. Paolo Panariti, per delega, nell’interesse della

controricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. FEDELI Massimo, che si è riportato alle conclusioni

scritte dell’Ufficio de P.G. in atti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Il Tribunale di Bari- sez. dist. di Altamura, decidendo sull’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 270 del 2000 (dell’importo di L. 10.000.000, oltre accessori) proposta da C.R. (residente in (OMISSIS)) nei confronti di P.G. (che aveva agito in sede monitoria per il riconoscimento dei saldo di un corrispettivo di un contratto di appalto relativo all’esecuzione di lavori edili di un immobile di proprietà dell’opponente), accoglieva, con l’impugnata sentenza, l’eccezione preliminare di incompetenza territoriale, rilevando l’applicabilità, nella specie, del foro esclusivo del consumatore stabilito dall’art. 1469 bis c.c., n. 19, (come tale prevalente sui criteri previsti dal codice di rito).

2. Il P. (con ricorso ritualmente notificato e depositato) ha proposto regolamento necessario di competenza avverso la suddetta sentenza basandolo su due motivi, avverso il quale si è costituita l’intimata C.R. con apposito controricorso, che ha anche depositato memoria illustrativa.

3. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 38 c.p.c. in relazione all’art. 42 c.p.c., poichè, a suo dire, con la statuizione adottata mediante la sentenza impugnata, il Tribunale era andato di contrario avviso rispetto alla precedente ordinanza del 9 luglio 2002 (da considerarsi munita di contenuto decisorio) con la quale aveva già irrevocabilmente delibato in senso negativo la questione di competenza territoriale, con la conseguenza che, con la pronuncia contenuta nella sentenza oggetto di ricorso, si sarebbe dovuta ritenere illegittimamente dichiarata l’applicabilità, “ora per allora”, alla fattispecie oggetto di causa dell’art. 1469 bis c.c., comma 2 (rectius: comma 3), n. 19, (siccome rientrante in quel novero di rapporti catalogati come intercorrenti tra professionista e consumatore).

4. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 1182 c.c. in relazione all’art. 20 c.p.c., dovendo essere affermata la competenza del Tribunale adito in sede monitoria sui presupposto che la pretesa riguardava l’adempimento del saldo del prezzo di un appalto, ormai concluso, da corrispondersi al domicilio del creditore, senza che potesse trovare applicazione il criterio previsto dall’art. 1469 bis c.c., comma 2, n. 19.

Alla stregua dei due riportati motivi, quindi, il ricorrente ha concluso per l’accoglimento del proposto regolamento, chiedendo a questa Corte di dichiarare ormai radicata la competenza del Tribunale di Bari – sez. dist. di Altamura per effetto della irretrattabilità della precedente ordinanza che aveva fissato la competenza e, in via gradata, di dichiarare la competenza dei suddetto Tribunale a decidere nel merito la causa.

5. Rileva il collegio che il proposto ricorso è infondato con riferimento ad entrambi i motivi formulati.

5.1. Con riguardo alla prima doglianza si osserva che il giudice istruttore del Tribunale adito, con l’ordinanza del 9 luglio 2002, adottata in via preliminare nel corso del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 648 c.p.c., pur in presenza di un’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall’opponente C.R., si era limitato a concedere la provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio chiesta dal P. G., sul presupposto che le eccezioni sollevate dall’opponente non assumevano carattere assorbente e non apparivano fondate su prova scritta nè erano di pronta soluzione, disponendo per la successiva trattazione del giudizio. Pertanto, la generica e superficiale valutazione di dette eccezioni, propriamente funzionale alla delibazione della sussistenza dei presupposti per poter valutare la concessione della richiamata provvisoria esecuzione dell’opposto decreto ingiuntivo, non potevano certamente pregiudicare una successiva decisione della questione di competenza, come, in effetti, adottata con la sentenza in questa sede impugnata. E, del resto, l’intenzione che il suddetto giudice non avesse voluto risolvere, in via pregiudiziale, la questione discendente dalla formulata eccezione di competenza, scaturisce anche dalla circostanza che, oltre che dal contenuto della motivazione della riportata ordinanza ex art. 648 c.p.c., non emerge alcuna inequivoca ed espressa statuizione sulla ritenuta competenza nemmeno dalla sua stessa parte dispositiva (v., in proposito, Cass. 11 marzo 2005, n. 5410, ord.). Oltretutto, deve rilevarsi, in generale, che, allorquando il giudice istruttore, di fronte alla proposizione di un’eccezione di incompetenza, adotti un provvedimento relativo soltanto all’ordine del processo, cioè disponga che la questione di competenza venga decisa unitamente al merito, ancorchè tale provvedimento contenga implicite o incidentali affermazioni riguardo alla questione di competenza, esse non integrano una decisione sulla stessa ma hanno soltanto il valore di una giustificazione della scelta del giudice circa il prosieguo del giudizio, che può implicare necessariamente una delibazione sommaria riguardo a detta questione. Peraltro, la giurisprudenza più recente di questa Corte (v., da ultimo, Cass. 16 novembre 2010, n. 2311, ord.) si è ormai assestata nel ritenere che i provvedimenti di carattere ordinatorio, in quanto retrattabili o comunque inidonei a pregiudicare a decisione della causa, non hanno natura di sentenze implicite sulla competenza, per la cui configurabilità si richiede che il provvedimento (a prescindere dalla forma adottata) presupponga necessariamente l’affermazione o la negazione della propria competenza da parte del giudice che lo ha pronunziato secondo le ordinarie forme procedurali. E a tal proposito le Sezioni unite (v.

ord. 12 maggio 2008, n. 11657) hanno statuito che, nelle cause attribuite alla competenza del tribunale in composizione monocratica, il giudice unico, che assomma in sè le funzioni di istruzione e di decisione, quando ritenga di emettere una decisione definitiva sulla competenza, è tenuto – ai sensi degli artt. 187 e 281-bis c.p.c. – ad invitare le parti a precisare le conclusioni, in tal modo scandendo la separazione fra la fase istruttoria e quella di decisione, non potendosi ritenere che una qualunque decisione assunta in tema di competenza implichi per il giudice l’esaurimento della “potestas iudicandi” sul punto. Questo “modus procedendi” non risulta essere stato osservato nel caso di specie, ragion per cui, anche per questo motivo – oltre che per le altre esposte ragioni attinenti all’aspetto contenutistico dell’ordinanza del 9 luglio 2002 – non può ritenersi che il Tribunale di Bari – sez. dist. di Altamura avesse, con tale ordinanza, adottato una statuizione definitiva sulla competenza.

5.2. In relazione al secondo riportato motivo, direttamente attinente alla contestazione della dichiarata incompetenza territoriale contenuta nella sentenza impugnata, si rileva che il predetto Tribunale, nel ritenere la competenza del Tribunale del luogo di residenza ((OMISSIS)) della C., quale committente del contratto di appalto dedotto in controversia (stipulato nel 1995), ha fatto corretta applicazione del principio sancito dalle Sezioni unite di questa Corte, con l’ordinanza n. 14669 del 2003, alla cui stregua la disposizione dettata dall’art. 1469 bis c.c., comma 3, n. 19, (“ratione temporis” applicabile) – che, avendo natura di norma processuale, si estende nelle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima – si interpreta nel senso che il legislatore, nelle controversie tra consumatore e professionista, ha stabilito la competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo in cui il consumatore ha la residenza o il domicilio elettivo, presumendo vessatoria la clausola che preveda una diversa località come sede del foro competente, ancorchè coincidente con uno di quelli individuabili sulla base del funzionamento dei vari criteri di collegamento stabiliti dal codice di procedura civile per le controversie nascenti da contratto (v., in tal senso, anche Cass. 5 agosto 2005, n. 16574, ord.; Cass. 6 settembre 2007, n. 18743, ord., e, da ultimo, Cass. 26 aprile 2010, n. 9922). L’applicabilità di tale principio (che implica il superamento dell’applicabilità dei fori alternativi previsti dall’art. 20 c.p.c.) è, nella fattispecie, fuori discussione tenendo conto della qualità di consumatore della C., in quanto committente di un appalto privato per lavori di ristrutturazione di un immobile (v., da ultimo, in proposito, Cass. 20 marzo 2010, n. 6802, ord.), e la qualifica di professionista del P. (quale appaltatore esercente attività imprenditoriale). Nè ha alcun pregio la prospettazione del P. secondo la quale l’art. 1469 bis c.c. non avrebbe dovuto trovare applicazione nella controversia in questione sul presupposto che la stessa era fondata sulla promessa di pagamento della C., dal momento che la promessa di pagamento, al pari della ricognizione di debito, non costituisce un’autonoma fonte di obbligazione, ma produce soltanto l’effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale (pacificamente ricondotto, nella specie, all’intervenuto contratto di appalto), verificandosi, in virtù dell’art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della “causa debendi”, che non dispensa il creditore dall’onere di proporre la domanda dinanzi al giudice competente, anche in relazione ai criteri territoriali, con la conseguente applicabilità, nei contratti intercorsi tra consumatore e professionista, del foro normativamente prevalente (rispetto a quelli ordinari) previsto in favore del consumatore (che non è, oltretutto, esclusa dalla inesistenza di prove documentali del contratto, concluso appunto tra il professionista e il consumatore, dell’adempimento delle cui obbligazioni si controverta: cfr, ad es., Cass. 25 settembre 2009, n. 20718).

6. In definitiva, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente, siccome soccombente, al pagamento delle spese della presente fase, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte suprema di Cassazione, il 13 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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