Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12871 del 22/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12871 Anno 2015
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

PU

SENTENZA

sul ricorso 15914-2012 proposto da:
FALLARA DIEGO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LEARCO GUERRA, 45, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCA GIANBELLUCA,

rappresentato e difeso

dall’avvocato CAMILLO RAVAGLI giusta procura speciale
a margine del ricorso;
– ricorrente –

2015
915

contro

CIRAUDO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA MARIO FANI 106-ES, presso lo studio dell’avvocato
LUIGI ARNABOLDI, rappresentato e difeso dall’avvocato

1

Data pubblicazione: 22/06/2015

DANIELA ARLATI giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 1696/2011 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/06/2011, R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/04/2015 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato CAMILLO RAVAGLI;
udito l’Avvocato MASSIMILIANO ROSSI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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2714/2008;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

Antonio Ciraudo convenne in giudizio, davanti al

Tribunale di Monza, Sezione distaccata di Desio, il dott.
Diego Fallara, chiedendo che fosse condannato al risarcimento
dei danni conseguenti a sua negligenza professionale

Si costituì il dott. Fallara, eccependo preliminarmente
la decadenza e la prescrizione ai sensi dell’art. 2226 cod.
civ. e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.
Espletata una c.t.u., il Tribunale rigettò la domanda e
condannò l’attore al pagamento delle spese di lite.
2. Proposto appello dal Ciraudo, la Corte d’appello di
Milano, con sentenza del 13 giugno 2011, ha accolto
parzialmente il gravame, condannando il dott. Fallara al
pagamento della somma di euro 4.260,80, nonché alla rifusione
del 50 per cento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale che le eccezioni di
decadenza e prescrizione sollevate dal professionista erano
infondate, perché nella specie concorrevano la responsabilità
contrattuale con quella extracontrattuale, per cui il termine
di prescrizione cominciava a decorrere «non dalla cessazione
del rapporto professionale, bensì dal momento in cui la
produzione del danno è oggettivamente percepibile e
conoscibile dal danneggiato».

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nell’esecuzione di una terapia odontoiatrica.

Tanto premesso, la Corte milanese ha rilevato che non vi
era prova dell’esistenza di vizi o difetti nella
realizzazione della protesi da parte dell’odontoiatra; ciò
nonostante, i denti sui quali il dott. Fallara era
intervenuto risultavano devitalizzati in maniera non

stessa, con esborso previsto della somma di euro 4.260,80.
Era irrilevante, a parere della Corte, che le scorrette
devitalizzazioni fossero state eseguite personalmente
dall’appellato o da altro medico, perché la responsabilità
del dott. Fallara conseguiva ugualmente, essendo egli tenuto
a «verificare la congruità delle devitalizzazioni prima di
procedere al posizionamento della protesi». Nessun ulteriore
risarcimento spettava al Ciraudo se non quello suindicato,
perché i trattamenti canalari eseguiti non avevano comportato
infezioni o complicanze e i dolori avvertiti dal paziente non
avevano trovato un riscontro clinico.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano
propone ricorso il dott. Diego Fallara, con atto affidato a
due motivi.
Resiste Antonio Ciraudo con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta omessa
motivazione su un punto fondamentale della controversia,
nonché violazione degli artt. 2226, 2943, 2945 e 2964 cod.
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corretta, con conseguente necessità di rimuovere la protesi

civ., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto non fondate
le eccezioni di decadenza e prescrizione.
Osserva il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe
errato nel negare fondamento a tali eccezioni. Dagli atti
prodotti in sede di merito risultava che, conclusi i lavori

interruttivo della prescrizione era costituito dalla lettera
raccomandata dell’8 maggio 2001, cui aveva fatto seguito la
notifica dell’atto di citazione in data 29 settembre 2004.
Conseguiva da tali elementi che il termine di decadenza di
otto giorni era decorso e che, comunque, si era maturata la
prescrizione di cui all’art. 2226 cod. civ., perché tra la
lettera raccomandata e l’atto di citazione non vi era stato
alcun ulteriore atto interruttivo della prescrizione stessa.
Rimaneva soltanto, quindi, l’azione ai sensi dell’art. 2043
cod. civ., ma la sentenza impugnata, pur avendo enunciato un
principio corretto, non avrebbe in realtà indicato né quando
la produzione del danno sarebbe stata in concreto
percepibile, né da quale momento decorrevano i termini di
decadenza e prescrizione, con evidente violazione di legge e
conseguente vizio di motivazione.
1.1. Il motivo non è fondato, anche se occorre procedere
alla correzione della motivazione della sentenza impugnata,
ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, del codice di procedura
civile.
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il 23 dicembre 2000 (data della fattura), il primo atto

1.2. La motivazione, sopra riportata, con la quale la
Corte d’appello ha respinto le eccezioni di decadenza e di
prescrizione sollevate dal dott. Fallara è palesemente
lacunosa; se, infatti, è esatto affermare che il termine di
prescrizione decorre dal momento in cui la produzione del

danneggiato (sentenza 27 luglio 2007, n. 16658), è pure vero
che la Corte milanese non ha aggiunto altre considerazioni su
questo punto, per cui non è dato comprendere quale
ragionamento sia stato svolto per pervenire a tale
conclusione, giacché non risulta quando il danno sia divenuto
oggettivamente percepibile per il paziente e, di conseguenza,
da quando la prescrizione abbia cominciato a decorrere.
1.3. Tanto premesso, la decisione di rigetto è tuttavia
fondata, ma in conseguenza del diverso percorso logico che si
va adesso a compiere.
La giurisprudenza di questa Corte, già con la sentenza 23
luglio 2002, n. 10741, emessa proprio in relazione allo
svolgimento di prestazioni odontoiatriche, ha avuto modo di
precisare che l’art. 2226 cod. civ., che regola i diritti del
committente per il caso di difformità e vizi dell’opera, non
è applicabile al contratto di prestazione di opera
professionale intellettuale; essa infatti ha per oggetto, pur
quando si estrinsechi nell’istallazione di una protesi
dentaria, la prestazione di un bene immateriale in relazione
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danno è oggettivamente percepibile e conoscibile dal

al quale non sono percepibili, come per i beni materiali, le
difformità o i vizi eventualmente presenti, assumendo rilievo
assorbente l’attività riservata al medico dentista di
diagnosi della situazione del paziente, di scelta della
terapia, di successiva applicazione della protesi e del

un’entità materiale nell’opera del dentista, la protesi può
considerarsi un’opera materiale ed autonoma solo in quanto
oggetto della prestazione dell’odontotecnico.
Tale orientamento – che ha ricevuto l’autorevole avallo
delle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 28 luglio
2005, n. 15781, ancorché riguardante la prestazione d’opera
intellettuale nel suo complesso – è stato poi ulteriormente
ribadito dalla sentenza 9 marzo 2006, n. 5091, sempre in
materia di prestazioni odontoiatriche, e da altre successive
in materia di prestazione d’opera intellettuale in generale
(v. la sentenza 20 dicembre 2013, n. 28575).
L’odierna pronuncia intende dare continuità a simile
orientamento, del tutto condiviso. Ciò comporta che deve
escludersi la possibilità di applicare al caso in esame la
norma dell’art. 2226 cod. civ. in tema di contratto d’opera.
Una volta raggiunta questa conclusione, è lo stesso
ricorso a dare conto delle ragioni per le quali non si era
maturato, nella specie, il decorso della prescrizione. Ed
infatti, i lavori di installazione delle protesi si erano
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controllo della stessa. Pertanto, non potendosi individuare

conclusi il 23 dicembre 2000 (data della fattura) e la
prescrizione era stata poi interrotta dalla lettera
raccomandata dell’8 maggio 2001 cui aveva fatto seguito la
notifica dell’atto

di

citazione in data 29 settembre 2004.

Nessun dubbio, quindi, sul fatto che il diritto azionato dal

responsabilità del dott. Fallara in termini contrattuali
(quale effettivamente era) o extracontrattuali – non fosse
prescritto nel momento in cui l’odierno giudizio ebbe inizio.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, non è fondato.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta
contraddittorietà della motivazione in merito alla
responsabilità del ricorrente, con violazione dell’art. 2043
del codice civile.
Osserva il ricorrente che – essendo la responsabilità per
fatto illecito fondata sulla condotta, l’evento ed il nesso
di causalità – la sentenza in esame non avrebbe indicato
alcuno dei tre suddetti elementi. La presunta sussistenza di
una negligenza sarebbe in contrasto con la successiva
affermazione secondo cui i trattamenti compiuti dal
ricorrente non avevano determinato infezioni o complicanze;
non sarebbe chiaro neppure l’evento dannoso conseguito, non
comprendendosi per quale ragione il dott. Fallara debba
pagare per l’esecuzione di cure che non hanno comportato
alcun danno.
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Ciraudo a prescindere dalla qualificazione della

2.1. Il motivo non è fondato.
La Corte d’appello, infatti, con una motivazione congrua
ed immune da vizi logici, ha dato conto delle ragioni per le
quali ha ritenuto di individuare alcune precise
responsabilità nell’operato del professionista, nei termini

facilmente si comprende, di un accertamento di merito
insuscettibile di nuova valutazione nella presente sede di
legittimità; né, d’altra parte, vi è alcuna contraddizione
logica nell’affermare che il dott. Fallara eseguì
correttamente il proprio lavoro ma che, tuttavia, operò in
modo negligente in quanto non verificò la reale situazione
dei denti sui quali andava ad installare le protesi.
Il motivo in esame, tendente ad un nuovo e non consentito
esame del merito, è quindi infondato.
3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio w’di cassazione, liquidate
in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto
ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate

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che sono stati in precedenza riferiti. Si tratta, come

in complessivi euro 2.200, di cui euro 200 per spese, oltre
spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

i

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