Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12868 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 26/05/2010), n.12868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11747-2008 proposto da:

M.A. (C.F. (OMISSIS)), M.M.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, V.

MONTE ZEBIO 19, presso l’avvocato RESTUCCIA RICCARDO, rappresentate e

difese dall’avvocato RUSSO BRUNO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

sul ricorso 14987-2008 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.A., M.M., elettivamente domiciliate in

ROMA, V. MONTE ZEBIO 19, presso l’avvocato RESTUCCIA RICCARDO,

rappresentate e difese dall’avvocato RUSSO BRUNO, giusta procura a

margine del ricorso principale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA,

depositato il 30/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato F. SURIA (delega) che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, inammissibilità del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, depositato in data 1.7.2006, M.A. e M.M. chiedevano alla Corte d’Appello di Reggio Calabria la condanna del Ministero della giustizia al pagamento di un’equa riparazione dei danni morali per il mancato rispetto del termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, di durata del processo civile, avente ad oggetto “diritto di proprietà ed eliminazione di opere abusive”, dalle predette promosso dinanzi al Tribunale di Messina, con citazione del 15-16-18 maggio 1981, e concluso da detto giudice con sentenza depositata in data 6.10.2005, tuttora pendente in grado di appello. La Corte d’Appello, considerata la durata di sei anni come effettivamente necessaria per la definizione del processo, riteneva ingiustificato il ritardo di anni diciotto e condannava la Amministrazione convenuta al pagamento a favore delle ricorrenti di Euro 18.000,00, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione del decreto al saldo. Avverso detto decreto M.A. e M. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, fondato su tre motivi, cui le ricorrenti hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, nonchè dei parametri fissati dalla Corte Europea in materia di indennizzo del danno non patrimoniale. Insufficiente ed illogica motivazione.

Deducono le ricorrenti che la Corte di merito avrebbe errato nel determinare la durata ragionevole in anni sei e, quindi, il ritardo nella durata del giudizio in anni diciotto, non avendo considerato che la durata di anni tre, entro il quale deve concludersi un processo di primo grado secondo i parametri della CEDU, deve considerarsi il termine massimo di conclusione del procedimento ed in detto termine devono considerarsi già ricompresi gli eventuali ritardi dovuti ad adempimenti (quali nel caso di specie l’integrazione del contraddittorio, la riassunzione del giudizio ed il richiamo del c.t.u. per un supplemento di perizia) che costituiscono una conseguenza fisiologica del processo.

Conseguentemente il ritardo complessivo maturato nel processo presupposto dovrebbe essere ritenuto di anni ventuno.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, nonchè dei parametri fissati dalla Corte Europea in materia di indennizzo de l danno non patrimoniale. Insufficiente ed illogica motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Il decreto impugnato sarebbe, altresì, viziato per avere erroneamente liquidato a titolo di danno morale, per 18 anni di ritardo, Euro 9,000.00 a favore di ciascuna delle ricorrenti e, quindi, l’importo di Euro 500,00 per anno, così disattendendo, senza alcuna motivazione, i parametri fissati dalla Corte Europea, secondo cui deve utilizzarsi come base di calcolo per la valutazione del danno morale una somma variabile tra i 1.000,00 ed i 1.500,00 annui.

Con il primo motivo del ricorso incidentale il Ministero della Giustizia denuncia motivazione omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria su un fatto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deduce il Ministero della Giustizia che, come risulta dalla narrativa del ricorso introduttivo del giudizio, che il processo ebbe a subire un ritardo pari a due anni circa (15/2/84 – 22/1/86) in quanto il primo c.t.u. designato dopo avere accettato l’incarico non potè per causa di forza maggiore a maggio (decesso) provvedere al deposito dell’elaborato peritale, per cui solo nel gennaio 1986, quando venne acquisita la circostanza impeditiva, potè provvedersi alla sostituzione.

Si tratterebbe, pertanto, di un periodo non addebitabile all’ufficio e/o a dinamiche interne del processo.

Con il secondo motivo l’amministrazione ricorrente denuncia motivazione omessa su un fatto decisivo della controversia e/o insufficiente e/o contraddittoria ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deduce la ricorrente che i rinvii chiesti dalle parti dal 2002 al 2004 in attesa deposito c.t.u. erano imputabili alle parti per mancata collaborazione delle parti stesse al fine di consentire l’accesso al c.t.u. agli appartamenti oggetto della consulenza.

Con il terzo motivo l’amministrazione ricorrente denuncia motivazione omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria su un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Deduce che la causa soprattutto nei primi anni (1981-1984) avrebbe subito una serie di “slittamenti” a seguito di rinvii su istanza di parte, nonchè una stasi, essendosi resa necessaria la integrazione del contraddittorio nei confronti del costruttore C.A..

Solo nel febbraio 1984 con la costituzione in giudizio del terzo chiamato in causa la causa poteva avere un effettivo inizio, perciò solo a partire da tale data avrebbe potuto essere individuato il dies a quo di durata del processo.

Pertanto alla durata complessiva di sei anni ritenuta ragionevole dalla corte di merito dovrebbero essere aggiunti ulteriori tre anni per la chiamata in causa del terzo, due anni per il decesso del primo c.t.u. ed ulteriori due anni per la mancata collaborazione delle parti allo accesso del c.t.u. ai luoghi della vertenza.

Preliminarmente ricorso principale e ricorso incidentale, essendo stati proposti avverso lo stesso provvedimento, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

Il ricorso principale è fondato nei termini di seguito precisati.

Il giudice a quo con motivazione ineccepibile ha individuato in anni sei la ragionevole durata del processo presupposto, dimostrando che tale durata non poteva essere imputata all’amministrazione della giustizia, ma ai numerosi ed ingiustificati rinvii delle udienze ed alla necessità di procedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti di altro soggetto, ed ha determinato in anni diciotto il periodo di durata del processo da ritenersi eccessivo.

Ha errato invece nel riconoscere a ciascuna delle ricorrenti l’indennizzo di complessivi Euro 9.000,00 ciascuna e, quindi, di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo, così violando i parametri indicati dalla CEDU, cui il giudice nazionale è tenuto ad attenersi. La CEDU ha indicato quale indennizzo minimo Euro 1000,00 annui ed è questo il parametro che nel caso di specie, non essendo emersi elementi che inducano ad una liquidazione maggiore, deve essere considerato per liquidare l’indennizzo, per il danno morale, a ciascuna delle ricorrenti. Pertanto a ciascuna spettano Euro 18.000,00 (Euro 1.000,00 per 18 anni di eccessiva durata) con gli interessi legali dalla domanda al saldo. Il ricorso incidentale del Ministero della Giustizia è, invece, inammissibile, per la mancata formulazione, a conclusione dell’illustrazione dei motivi, del quesito di diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c..

Per quanto precede il ricorso principale deve essere accolto nei termini sopra precisati. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, condannando il Ministero della Giustizia al pagamento a favore di ciascuna delle ricorrenti, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, di Euro 18.000,00 ( diciottomila), con gli interessi legali dalla domanda. Detta amministrazione va condannata, altresì, al rimborso a favore delle ricorrenti delle spese giudiziali, che, tenuto conto del valore della controversia, appare giusto liquidare per il giudizio di merito in complessivi Euro 1.950,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 700,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari e per il giudizio di cassazione in Euro 1.600,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione al pagamento a favore di ciascuna delle ricorrenti, a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale, della somma di Euro 18.000,00 (diciottomila), con gli interessi legali a partire dalla domanda; condanna, altresì, l’Amministrazione al pagamento delle spese giudiziali, che si liquidano: per il giudizio di merito in complessivi Euro 1.950,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, 700,00 per diritti e 1.200,00 per onorari e per il giudizio di cassazione in Euro 1.600,00, di cui Euro 100,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

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