Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12867 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 26/05/2010), n.12867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8924-2008 proposto da:

V.F.G. (c.f. (OMISSIS)), N.N.

I. (c.f. (OMISSIS)), N.G.S. (c.f.

(OMISSIS)), N.F. (c.f. (OMISSIS)),

nella qualità di eredi di N.A., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA LUNIGIANA 6, presso il dott. D’AGOSTINO

GREGORIO, rappresentati e difesi dall’avvocato INTILISANO MARIO,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5/2007 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositato il 01/02/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.A., con ricorso alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento di un’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, in relazione alla durata di una procedura esecutiva da lui instaurata innanzi al Tribunale di Messina e tuttora in corso. Deduceva il ricorrente che la durata di detta procedura aveva superato di gran lunga il termine ragionevole calcolato sulla base dei criteri indicati dalla cd. Pinto, impedendogli di riscuotere quanto spettantegli in forza della sentenza n. 2192/96, emessa dal giudice del lavoro di Messina, e chiedeva che l’indennizzo dovutogli per i danni non patrimoniali subiti fosse quantificato nella somma di Euro 5.000,00 ( in ragione di 500,00 Euro per ogni anno di durata del processo ).

Il Ministero convenuto contestava la fondatezza della domanda, deducendo che le lungaggini della procedura esecutiva erano dipese, oltre che dalla complessità del caso, anche dalle molteplici richieste di rinvio avanzate dalle parti e dalla loro condotta processuale non compatibile con una celere definizione del processo.

La Corte adita rigettava la domanda, osservando che la mancata conclusione del processo esecutivo a distanza di dieci anni dal suo inizio non era in alcun modo addebitabile a carenze organizzative e strutturali del servizio-giustizia, essendo ascrivibile alla condotta processuale delle parti e al fatto che il processo stesso aveva subito una necessaria sospensione per via dell’opposizione (in parte fondata) proposta dal debitore esecutato.

Avverso detto decreto V.F.G., N.N. I., N.G.S., N.F., tutti eredi di N.A., hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo illustrato con memoria.

Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 in relazione alla violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della L. 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, avendo il giudice a quo ritenuto erroneamente ragionevole il periodo di anni 10 (dal 23 settembre 1996 al 28 settembre 2006) per la definizione di una procedura esecutiva presso terzi, sul rilievo che tale durata del processo esecutivo era ascrivibile alla condotta processuale delle parti ed al fatto che il processo stesso aveva subito una necessaria sospensione per via dell’opposizione proposta dal debitore esecutato.

Il ricorso è fondato.

Nel caso in cui il giudice dell’esecuzione, a seguito dell’opposizione del debitore esecutato, sospenda ai sensi dell’art. 624 c.p.c. l’esecuzione, come avvenuto nel caso di specie, dal periodo di durata del processo esecutivo, al fine di stabilirne la ragionevole durata, non può essere scomputato il periodo di durata del giudizio di opposizione. Se è vero che il processo esecutivo si distingue per funzione e struttura dal giudizio di cognizione, atteso che, a differenza del processo di cognizione, il processo esecutivo deve assicurare la compiuta attuazione di diritti, non già decidere controversie, è pur vero che il processo di opposizione all’esecuzione non è a tal punto distinto dal processo di esecuzione da giustificare una separata ed autonoma considerazione dei due processi.

La opposizione alla esecuzione si innesta, infatti, nel processo esecutivo come una parentesi cognitiva volta all’accertamento negativo dell’azione esecutiva ed è, quindi, funzionalmente collegata con il processo esecutivo in considerazione delle ricadute che l’esito del giudizio di opposizione può avere su detto processo.

Ne deriva che, qualora venga proposta opposizione all’esecuzione, ed il giudice, dell’esecuzione, ravvisando la sussistenza di giusti motivi, proceda alla sospensione dell’esecuzione stessa, il giudice, cui venga chiesto un indennizzo per la eccessiva durata del processo, nella durata complessiva del processo esecutivo dovrà ricomprendere, in considerazione del collegamento funzionale tra i due processi, anche il tempo impiegato per la conclusione del giudizio di opposizione all’esecuzione, potendo la fase contenziosa di contestazione del diritto a procedere ad esecuzione forzata essere valutata dal giudice dell’equa riparazione nell’ambito della considerazione della complessità del caso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto, il decreto impugnato deve essere cassato e la causa deve essere rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

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