Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12867 del 06/06/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 12867 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 3496-2013 proposto da:
TRIPODI LORENZO TRPLNZ55R23H224S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio
degli avvocati NAPOLITANI SIMONA, ANTONINO SPINOSO,
rappresentato e difeso dall’avvocato POLINIENI DOMENICO giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente Contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

Data pubblicazione: 06/06/2014

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente nonchè sul ricorso proposto da

RI 901

DELLE MILIZIE 1, presso lo studio degli avvocati NAPOLITANI
SIMONA, ANTONINO SPINOSO, rappresentato e difeso
dall’avvocato POLIMENI DOMENICO giusta procura a margine del
ricorso successivo;
-ricorrente successi voe contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controrícorrente al ricorso successivononchè sull’ulteriore ricorso proposto da
CASTLE FORTUNATO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LUDOVISI 36 presso lo studio degli avvocati DOMENICO
POLIMENI, ATTILIO COTRONEO, che li rappresenta e difende
giusta procura a margine del ricorso successivo;
-ricorrente successivoe contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
Ric. 2013 n. 03496 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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RTIT3E1
—7( DOMENICO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

- controricorrente all’ulteriore ricorso successivo

avverso il decreto n. 1868/2012 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO del 19/06/2012, depositato il 17/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
09/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti ricorsi depositati, rispettivamente, il 29 maggio 2009 (n. 2) ed il 10
febbraio 2011 presso la Corte di appello di Catanzaro Domenico
Lorenzo TRIPODI e Fortunato CASILE proponevano, ai sensi della legge n.
89 del 2001, domanda di equa riparazione del danno patrimoniale e non da
loro sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di equa
riparazione del processo introdotto dinnanzi al Tribunale di Reggio Calabria,
con citazione notificata in data 25.2.1982, definito in primo grado con
sentenza pubblicata il 21 dicembre 1994, poi avanti alla Corte di appello di
Reggio Calabria (atto di gravame depositato il 7.7.1995) ancora pendente al
momento della pronuncia del decreto impugnato.
La Corte di appello di Catanzaro, con decreto in data 17 luglio 2012,
accoglieva il ricorso riconoscendo a ciascun ricorrente un indennizzo,
all’attualità, di €. 11.330, oltre interessi dalla domanda e spese compensate per
la metà, durato il giudizio presupposto in primo grado dodici anni e dieci
mesi, pendente in grado di appello da 15 anni e sei mesi, durata dalla quale
andavano detratti tre anni per il primo grado e due anni per quello di appello,
tempo da ritenere ragionevole, come previsto dalla CEDU, nonché nove anni
e quattro mesi dovuti al fatto che la protrazione era dovuta al comportamento
dilatorio delle parti (dall’udienza del 14.10.1982 all’udienza del 27.11.1986, una
serie di meri rinvii dovuti ad inattività delle parti; dall’udienza del 9.3.1989
Ric. 2013 n. 03496 sez. M2 – ud. 09-01-2014
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udito l’Avvocato Polimeni Domenico, che ha chiesto l’accoglimento

all’udienza dell’8.2.1993 erano intervenuti meri rinvii; dall’udienza del 9.6.1996
all’udienza del 15.10.1997 erano intervenuti vari rinvii), per cui il tempo non
ragionevole di durata del processo veniva indicato in quattordici anni ed un
mese.
Avverso tale decisione il RIPEPI, il TRIPODI ed il CASTLE hanno proposto

quattro motivi, illustrato anche da (unica) memoria ex art. 378 c.p.c., costituito
il Ministero della giustizia con (due separati) controricorso(i), quanto ai primi
due ricorrenti, solo ai fini della partecipazione all’udienza di discussione,
quanto al terzo.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione
del ricorso la mancata presenza, alla odierna pubblica udienza, del
rappresentante della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma secondo, c.p.c., quale risultante dalle modifiche
introdotte dall’art. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il pubblico
ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi
stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’art. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone
che «Il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude:
a) in tutte le udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite
civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di
cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui
all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile».
L’art. 376, primo comma, c.p.c. stabilisce che «Il primo presidente, tranne
quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo 374, assegna i ricorsi ad

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ricorso per Cassazione (con separati atti del tutto sovrapponibili), affidato a

apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in
camera di consiglio».
Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge n. 69 del 2013, quale risultante
dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo
comma, la sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice di rito, e la

medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si
tengono dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo
comma ha stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano
ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione
dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal
giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto», e cioè a far data dal 22 agosto 2013.
Orbene, il Collegio rileva che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.
76, comma primo, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze
che si tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo
comma, c.p.c.), consenta di ritenere non solo che la detta sezione è abilitata a
tenere oltre alle adunanze camerali anche udienze pubbliche, ma anche che
alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la
partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la
facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell’art. 70,
terzo comma, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse.
Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è stato
emesso in data 25 settembre 2013, sicché deve concludersi che l’udienza
pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al
quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un
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modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del

interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art.
70, terzo comma, c.p.c..
Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo i ricorrenti
denunciano la violazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della
CEDU, nonché dell’art. 81 delle disposizioni di attuazione al c.p.c. e

erroneamente detratto dalla complessiva durata del processo presupposto
nove anni e quattro mesi definendolo un periodo attribuibile al
comportamento dilatorio delle parti, in quanto i rinvii per difese avrebbero
dovuto essere fissati entro un breve periodo e non in un tempo lontano, come
accaduto nella specie.
Con il secondo motivo è lamentata la violazione dell’art. 91 c.p.c. in
relazione all’art. 274 c.p.c., nonché dell’art. 6, part. 1 della CEDU e dell’art. 2
della legge m. 89 del 2001 per avere la corte di merito, pur in presenza di tre
giudizi riuniti, liquidato le spese con un unico importo.
Con il terzo motivo viene dedotta la violazione degli artt. 91, comma 1,
e 92, comma 2, c.p.c. per avere la corte di merito parzialmente compensato le
spese di giudizio pur non avendo esplicitato i giusti motivi, solo enunciati nella
parte argomentativa.
Con il quarto motivo è dedotta la violazione degli artt. 3 e 24 Cost.,
dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della CEDU giacchè la parziale
compensazione delle spese processuali avrebbe di fatto in parte vanificato il
risultato del giudizio.
La prima censura è fondata.
Occorre premettere che, secondo la costante giurisprudenza di questa corte, la
violazione del diritto alla ragionevole durata del processo non discende, come
conseguenza automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata
eccedente i quindici giorni, ma dal superamento della durata processuale
ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine
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disposizioni transitorie e dell’art. 24 Cost. per avere la corte di appello

generale, fissati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (Cass. 15 novembre 2006 n.
24356; Cass. 1 marzo 2005 n. 4298; Cass. 5 marzo 2004 n. 4512; Cass. 3
settembre 2003 n. 12808; Cass. 1 agosto 2003 n. 11712).
Al tempo stesso, tuttavia, questa corte ha già avuto occasione di affermare il
principio che, ai fini dell’accertamento della violazione o meno della

ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., se non implicano come
conseguenza automatica la sussistenza di detta violazione – la quale, come già
s’è detto, non discende da ogni disfunzione o inefficienza organizzativa degli
uffici giudiziari, postulando che le stesse abbiano provocato il superamento
della ragionevole durata della causa – sono tuttavia influenti e computabili
quando abbiano prodotto o concorso a produrre quel superamento, così
traducendo le indicate manchevolezze in fatti lesivi del diritto accordato
dall’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cass. 2 marzo 2005 n. 4450).
Conseguentemente, ove i tempi di durata media, quali indicati dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo, siano stati superati (ciò che, nel caso in esame, il
giudice di merito ha già accertato), il rinvio della causa per un tempo superiore
al termine di quindici giorni previsto dall’art. 81 disp. att. c.p.c. – che, pure, ha
carattere ordinatorio, e non perentorio – va addebitato a disfunzioni
dell’apparato giudiziario salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta
alla P.A. evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo, che lo
giustifichino (Cass. 23 agosto 2005 n. 17110).
A questa regola non si è attenuta la corte territoriale, che, avendo accertato un
consistente superamento della durata, ragionevole del processo, durato dodici
anni e dieci mesi in primo grado e pendente in appello da quindici anni e sei
mesi, ha addebitato alle parti anche nove anni e quattro mesi di ritardo nella
definizione della causa, motivando la decisione con l’argomento che la loro
difesa aveva chiesto dei rinvii, senza alcuna indagine sull’ imputabilità della
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ragionevole durata di un processo civile, i rinvii eccedenti il termine

lunghezza

dei

rinvii

a

disfunzioni

dell’apparato

giudiziario.

In accoglimento del principio di diritto ricordato, il decreto deve essere
cassato, rimanendo così assorbito l’esame degli ulteriori tre motivi di
doglianza, vertenti sulla statuizione accessoria della liquidazione delle spese
processuali, con rinvio ad altro giudice – che viene individuato nella Corte

controversia alla luce dei rilievi dianzi svolti.
Alla predetta Autorità è demandato anche il regolamento delle spese del
presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti;
cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di
Cassazione, alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 9
gennaio 2014.

d’appello di Catanzaro in diversa composizione – che riesaminerà la

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