Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12866 del 22/06/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 12866 Anno 2015
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

SENTENZA

sul ricorso 14536-2012 proposto da:
FRACCHIOLLA ANASTASIA FRCNTS34C63F284G, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso lo
studio dell’avvocato ROCCO NANNA, che la rappresenta
e difende giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente
contro

‘`O15

855

VENTURA ANGELO,

RAGUSEO ANGELA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo
studio dell’avvocato X.Z., rappresentati e
difesi dall’avvocato NICOLO’ MASTROPASQUA giusta

Data pubblicazione: 22/06/2015

procura in calce al controricorso;
controricorzenti

avverso la sentenza n. 433/2012 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 19/04/2012 R.G.N. 1349/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
del

dal

09/04/2015

Consigliere

Dott.

GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Avvocato ROCCO NANNA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del 1 0 . 2 °

e

3 0 motivo del ricorso,

accoglimento del 4 ° motivo e decisione nel merito.

udienza

Svolgimento del processo

1.- Angelo Ventura e Angela Raguseo proposero appello av-

verso la sentenza del Tribunale di Bari – sezione distaccata di Bitonto, in data 21 luglio 2009, con la quale era
stata rigettata la domanda avanzata dai medesimi, nella

vile abitazione di proprietà della locatrice Anastasia
Fracchiolla; precisamente, della domanda di restituzione,
ai sensi dell’art. 79 del legge n. 392/78, della somma complessiva di C 27.053,82 (o di quell’altra maggiore o minore
ritenuta

di

giustizia), oltre accessori, dalla convenuta

indebitamente percepita a decorrere dall’inizio del rapporto di locazione, per aver preteso importi mensili superiori
sia alla misura del canone contrattualmente stabilita (£.
200.000), sia a quella del canone legale prevista dagli
artt. 12 e seg. della legge n. 392/78.
2.- La Corte d’appello di Bari, con sentenza pubblicata il
19 aprile 2012,

ha accolto l’appello e, per l’effetto, in

accoglimento della domanda degli attori, ha condannato
l’appellata, Anastasia Fracchiolla, al pagamento in favore
c-7

degli appellanti, Ventura e Raguseo, a titolo di restituzione degli importi versati in eccedenza, rispetto al canone legale, dall’inizio del rapporto al mese di marzo
2003, della somma di C 26.338,35, nonché dell’ulteriore importo di C 6.078,00, a titolo di restituzione delle somme

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loro qualità di conduttori dell’appartamento ad uso di ci-

indebitamente versate dal mese di aprile 2003 al mese di
settembre 2005, oltre agli interessi legali dalla scadenza
di ciascun mese al soddisfo. Ha condannato l’appellata al
pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
3.- Avverso la sentenza, Anastasia Fracchiolla propone ri-

Angelo Ventura e Angela Raguseo si difendono con controricorso.
Motivi della decisione
l.- Col primo motivo di ricorso si deduce errores in iudicando,

violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e

2727-2729 cod. civ., 115 – 116 cod. proc. civ., in riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., nonché motivazione insufficiente su un punto decisivo della
causa, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc.
civ.
La ricorrente sostiene che, pur avendo la Corte barese,
correttamente enunciato il principio regolatore dell’onere
della prova nel presente giudizio, avente ad oggetto la ripetizione di indebito, non ne avrebbe fatto buon uso. Secondo la ricorrente, gli attori, poi appellanti, avrebbero
provato soltanto il pagamento della somma complessiva di C
8.200,00, che non sarebbe stata sufficiente a coprire nemmeno i canoni dovuti ex contractu. Critica la sentenza nella parte in cui ha valorizzato la prova testimoniale favo-

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corso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.

revole ai conduttori, nonché nella parte in cui, a suo dire, avrebbe fatto ricorso alla praesumptio de praesumpto
per colmare le lacune istruttorie di questi ultimi.
1.1.- Col secondo motivo si deduce

errores in iudicando,

violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2727-

rimento all’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5 cod. proc.
civ., nonché motivazione insufficiente su un punto decisivo
della controversia e omesso esame di documenti, ai sensi
dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.
La ricorrente critica la valutazione della Corte d’Appello
circa l’attendibilità delle testimoni indicate dai conduttori, espressa in senso diametralmente opposto alla valutazione negativa effettuata dal Tribunale. Lamenta, inoltre,
l’omesso esame di documenti: specificamente del documento
che avrebbe comprovato l’esecuzione, nell’appartamento, di
lavori di straordinaria manutenzione, in ragione dei quali
il canone sarebbe stato’ incrementato dai conduttori per la
contribuire alle spese relative.
1.2.- Col terzo motivo si deduce <>);

non idoneità dei

documenti offerti.
Sulla base dei primi elementi ha reputato provato che durante il rapporto fossero state corrisposte somme incrementante nel corso del tempo -comunque maggiori di quelle indicate in contratto o dovute secondo la legge dell’equo canone- e che i versamenti dei canoni fossero stati fatti in
continuità, non avendo la convenuta lamentato la morosità
dei conduttori.
Sulla base della seconda tipologia di risultanze, ha, per
un verso, escluso che la locatrice abbia fornito la prova
di rituali richieste di aggiornamento del canone secondo
gli indici Istat ovvero abbia dimostrato la ricorrenza di
tutti gli elementi necessari per l’adeguamento di esso (ai

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– sulla prova contraria offerta dalla convenuta: ha tratto

sensi dell’art. 23 della legge n. 392/78) ed inoltre ha ritenuto che la stessa convenuta non abbia quantificato
l’ammontare della spesa sostenuta per le opere di straordinaria manutenzione; per altro verso, ha rilevato come la
locatrice non abbia nemmeno specificato gli aumenti del ca-

sa prospettazione.
Ha

perciò condiviso i calcoli eseguiti dal consulente tec-

nico d’ufficio, quantificando nell’importo complessivo di e
26.338,35

i

canoni versati in eccedenza fino al mese di

marzo 2003.
3.- Per quanto riguarda le censure relativa alle prove fornite dagli appellanti, vanno reputate inammissibili, in
primo luogo, quelle che attengono alla valutazione di attendibilità dei testimoni, sia perché, come rilevato dai
resistenti, in ricorso non è indicato il contenuto delle
deposizioni, sia perché la ricorrente si limita a contrapporre al giudizio di attendibilità espresso dalla Corte
d’Appello, quello contrario espresso dal Tribunale.
Orbene, essendo riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché
la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del
proprio convincimento, sono insindacabili, in sede di legittimità,

se

logicamente motivate, sia la valutazione di

attendibilità dei testimoni (cfr., tra le tante, di recente

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none che sarebbero via via intervenuti secondo la sua stes-

Cass. n. 11511/14), sia la diversità del relativo giudizio
rispetto a quello formulato dal primo giudice (cfr. Cass.
n. 13054/14).
La Corte d’Appello ha adeguatamente valutato la veridicità
delle deposizioni tenendo conto di elementi oggettivi (at-

sultanze istruttorie) ma anche degli elementi soggettivi
(rapporto di parentela; in sé non comportante una situazione di necessaria inattendibilità: cfr. Cass. n. 1109/06, n.
4202/11 ed altre). La relativa valutazione è sufficientemente motivata e si sottrae alle censure della ricorrente.
3.1.

Parimenti inammissibili sono le censure basate

sull’errata valutazione da parte della Corte di merito dei
documenti prodotti dai conduttori, dato che questi sono genericamente indicati in ricorso, laddove, per contro, la
sentenza ne fa una disamina, attenta e particolareggiata,
per tipologia, periodi ed importi.
Sono comunque infondate le censure riferite al preteso errato utilizzo della prova per presunzioni.
La Corte d’Appello non ha fatto ricorso, come sostiene la
locat vrice, a presunzioni di secondo grado, incorrendo nel
relativo divieto.
Il divieto di presunzioni di secondo grado (cd. praesumptio de praesumpto)

opera esclusivamente nella consecuzione

di una presunzione semplice da un’altra presunzione sempli-

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tinenti al loro contenuto ed ai rapporti con le altre ri-

ce (cfr. Cass. n. 5045/02), in ragione del fatto che poiché le presunzioni semplici, ai sensi dell’art. 2727 cod.
civ., sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto
noto per risalire ad un fatto ignoto, gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della

La c.d. “praesumptio de praesumptom, da considerarsi vietata, si ha pertanto quando si utilizza una presunzione come
fatto noto, per derivarne da essa un’altra presunzione.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha preso le mosse
dai fatti noti ricavati dalla prova documentale (specificamente dai vaglia postali) e dalla prova testimoniale (specificamente quanto ai pagamenti in contante dei canoni di
locazione) per addivenire al fatto ignoto del pagamento dei
canoni in eccedenza per tutta la durata del rapporto di locazione e nelle misure via via crescenti, desumibili, per i
diversi periodi, dalle ricevute di pagamento. Non si comprende quale sia la presunzione della quale la Corte si sarebbe avvalsa, invalidamente, secondo la ricorrente. Di
certo non è tale l’importo dei canoni dovuti, dal momento
che questo dato è ricavabile dal contratto ovvero, in caso
di violazione della normativa sull’equo canone, dalle norme
della legge n. 392/78, in base alle quali calcolare il dovuto. Ogni altra considerazione attiene, come si dirà, alla
prova (che il giudice di merito ha ritenuto insufficiente)

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certezza e della concretezza (cfr. Cass. n. 1044/95).

di aumenti del canone-base per fatti sopravvenuti (specificamente, incrementi Istat ed asseriti lavori straordinari).
La prova per presunzioni è servita alla Corte d’Appello per
ricostruire l’andamento dei pagamenti effettuati, a titolo
di canone di locazione, nel corso del rapporto, da parte

tutte le ricevute di pagamento (avendo corrisposto il canone attraverso vaglia postali ma anche brevi manu, per come
la Corte ha ritenuto provato dalle testimonianze).
Il giudice ha preso le mosse dagli importi noti per risalire agli ignoti, essendo i fatti noti gravi precisi e concordanti e adeguatamente collegabili, e collegati, al fatto
ignoto secondo una regola di esperienza pressoché scontata
(enunciata in sentenza: quella secondo cui il canone, nel
periodo in considerazione, avrebbe avuto un andamento regolare per intervalli annuali e regolarmente crescente, mai
decrescente).
Il ragionamento presuntivo è corretto e la sua adozione è
conforme al principio, pure richiamato in sentenza, per il
quale affinché sia riconoscibile valore giuridico alle
presunzioni semplici è necessario che gli elementi presi in
considerazione siano gravi, precisi e concordanti, ovvero
devono essere tali da lasciar apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza ragionevolmente

probabile

del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione tra i

Il

dei conduttori, dal momento che questi non disponevano di

fatti accertati e quelli ignoti secondo le regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine
di opinabilità (cfr. Cass. 14115/06).
In conclusione, ben può essere affermato che, nell’azione
di ripetizione dell’indebito da parte del conduttore, in

ra eccedente quella concordata o quella legale, non viola
il divieto di “praesumptio de praesumpto” il giudice di merito il quale, essendo stato provato, con documenti e prova
testimoniale, il versamento di somme maggiori del canone
contrattuale, o di quello dovuto ai sensi della legge n.
392/78, per intervalli o per periodi di tempo non corrispondenti all’intera durata del rapporto, ritiene presuntivamente provato il versamento, in tutti i mesi intermedi,
di un canone mensile dello stesso importo di quello risultante dai documenti.
4.

In merito alle censure concernenti l’asserito omesso

esame, da parte del giudice di secondo grado, del documento
prodotto dall’odierna ricorrente comprovante l’esecuzione
di lavori straordinari, si osserva quanto segue.
Il giudice ha affermato che la locatrice non si è preoccupata «neppure di quantificare l’ammontare della spese sostenuta per le “opere di straordinaria manutenzione di rilevante entità”>> e che in sede di interrogatorio formale

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tema di prova del pagamento di canoni di locazione in misu-

la risposta è stata generica, avendo la Fracchiolla affermato «di non ricordare precisamente gli importi».
A fronte di questa ragione della decisione, sarebbe stato
onere della ricorrente dedurre elementi atti a comprovare
non tanto l’avvenuta esecuzione dei lavori straordinari,

questa spesa, in tutto o in parte, di somme versate dai
conduttori in aggiunta al canone di locazione.
Il documento menzionato in ricorso non è affatto idoneo allo scopo, non contenendo -per quanto si evince dal testo
riportato nell’atto- alcuna quantificazione. Il ragionamento seguito dal giudice di merito non risulta pertanto nemmeno scalfito dalla mancata espressa considerazione di siffatto documento (del tutto privo di decisività, in quanto,
anche se considerato, non avrebbe colmato la lacuna riscontrata in sentenza).
4.1.- Inammissibile è altresì la censura formulata con ri-

ferimento alla consulenza tecnica di parte. Gli stralci di
questa che sono riportati in ricorso non consentono affatto
di comprendere la critica rivolta dal tecnico di parte alle
elaborazioni del CTU, poiché nell’illustrare il motivo la
ricorrente non riporta né i conteggi di quest’ultimo né le
contestazioni del suo tecnico.

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quanto gli importi della spesa relativa e l’imputazione a

Per di più, è detto in sentenza che la consulenza tecnica
d’ufficio non è stata fatta oggetto di specifica contestazione da parte della locatrice.
Allora, quest’ultima avrebbe dovuto chiarire in ricorso sia
quali sarebbero gli aspetti della consulenza tecnica

artt. 13 e seg. della legge n. 392/78) sia quando le relative censure sarebbero state fatte presenti al giudice
dell’appello.
Al riguardo, va ribadito che, in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del
consulente tecnico d’ ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia
recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare
specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai
quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico
delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire
l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (così, da ultimo, Cass. n. 16368/14).

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d’ufficio censurati (in riferimento alle previsioni degli

Né, quanto all’aggiornamento annuale del canone secondo gli
indici Istat, sorreggono adeguatamente il ricorso i richiami giurisprudenziale alla possibilità di richieste orali,
alle quali il conduttore si potrebbe adeguare spontaneamente. Infatti -avendo la Corte d’Appello reputato mancante la

da quali elementi, invece, l’avrebbe dovuta desumere.
In conclusione, i primi tre motivi di ricorso vanno rigettati.
5.- Col quarto motivo si deduce error in procedendo,

doman-

da nuova, violazione degli artt. 345-437-112- 360 n. 4 cod.
proc. civ., nullità della sentenza e del procedimento.
Viene censurato l’accoglimento, da parte della Corte
d’Appello, della domanda, avanzata dai conduttori, di restituzione dell’eccedenza (quantificata complessivamente in

e 6.078,00) rispetto ai canoni pagati in corso di causa dal
marzo 2003 fino al settembre 2005, epoca di rilascio
dell’immobile.
La ricorrente evidenzia che gli appellanti avrebbero prodotto in appello ben 29 ulteriori ricevute, malgrado la sua
opposizione e che, in violazione degli artt. 437 e 345 cod.
proc. civ., avrebbero proposto una domanda nuova, della
quale l’appellata avrebbe tempestivamente eccepito
l’inammissibilità.

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prova delle «rituali richieste>>- non è detto in ricorso

Il motivo di ricorso è fondato sull’inammissibilità della
produzione documentale in appello e sull’inammissibilità
della domanda, da considerarsi nuova, della condanna del
locatore alla restituzione dell’ulteriore indebito per le
somme versate in corso di giudizio, come da giurisprudenza

5.1.- Il collegio ritiene che il motivo sia inammissibile

poiché non indica in ricorso le conclusioni svolte dai conduttori sia con l’atto introduttivo della lite (fatto salvo
un generico riepilogo nella parte relativa allo svolgimento
del processo: cfr. pag. 2) sia in sede di precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale.
Il ricorso risulta privo di autosufficienza in punto di
contenuto della domanda articolata in primo grado e di novità della domanda proposta con l’atto di appello, in quanto, in mancanza dell’indicazione della prima, nei sui esatti termini, non è consentita alla Corte la verifica della
novità della seconda.
Né soccorre la circostanza che la violazione di legge sia
stata dedotta in riferimento all’art. 360 n. 4 cod. proc.
civ. Infatti, ove si deduca la violazione, nel giudizio
d’appello, dell’art. 345 cod. proc. civ. (o, nel rito locatizio, dell’art. 437 cod. proc. civ.), riconducibile alla
prospettazione di un’ipotesi di

error in procedendo per il

quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto

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di legittimità richiamata in ricorso.

processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice
di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente -per il principio di au-

tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase
di merito- dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una
loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi
(cfr. Cass. n. 6361/07, n. 15367/14).
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza
e si liquidano come da dispositivo.
Per questi motivi

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore dei resistenti, in solido, nell’importo complessivo di E 5.200,00, di cui

200,00 per esborsi, oltre

rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2015.

tosufficienza del ricorso per cassazione che non consente,

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