Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12864 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. II, 10/06/2011, (ud. 23/03/2011, dep. 10/06/2011), n.12864

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.S. C.F. (OMISSIS), B.G. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE EUROPA

98, presso lo studio dell’avvocato PACINI CLAUDIA, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIOVANNONI EMANUELA;

– ricorrenti –

contro

C.F. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA A. CHINOTTO 1, presso lo studio dell’avvocato PRASTARO

ERMANNO, rappresentato e difeso dall’avvocato ORLANDI SILVIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 73/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Claudia Pacini con delega depositata in udienza

dell’Avv. Emanuela Giovannoni difensore dei ricorrenti che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.G. e G.S., proprietari di un appartamento condominiale sito in (OMISSIS), con annessa cantina munita di apertura lucifera, convenivano in giudizio innanzi alla Pretura di Firenze, sezione distaccata di Borgo San Lorenzo, C.F., per sentirlo condannare (fra altre richieste) alla rimozione di un manufatto edilizio che questi aveva costruito in appoggio ad una parete condominiale e in maniera tale da chiudere la luce della cantina.

Il convenuto nel resistere alla domanda contestava il carattere condominiale del muro e negava che quanto realizzato fosse illegittimo.

Il Tribunale di Firenze (divenuto competente per la sopravvenuta efficacia del D.Lgs. n. 51 del 1999) rigettava la domanda.

L’impugnazione proposta dai B. – G. era respinta dalla Corte d’appello di Firenze, la quale (per quanto ancora rileva in questa sede) riteneva che la costruzione eretta dal C. non era in appoggio, bensì in aderenza al muro, di guisa che la fattispecie rientrava sotto il disposto dell’art. 904 c.c.; che era stata escluso che il C. rivestisse la qualità di condomino; che l’accertata applicabilità dell’art. 904 c.c. eliminava la configurabilità della lesione della proprietà esclusiva, oltre che di quella condominiale.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorrono B. G. e G.S., formulando cinque motivi di annullamento.

Resiste con controricorso C.F..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – In via pregiudiziale va respinta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso la per mancata indicazione, prevista dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1), della parte “convenuta” (rectius, resistente).

1.1. – Infatti, ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., il ricorso per cassazione è inammissibile qualora manchi o vi sia incertezza assoluta sull’identificazione delle parti contro cui esso è diretto;

ai fini dell’osservanza della norma predetta, non è necessario che le relative indicazioni siano premesse all’esposizione dei motivi di impugnazione o che siano altrove esplicitamente formulate, essendo sufficiente, analogamente a quanto previsto dall’art. 164 cod. proc. civ., che esse risultino in modo chiaro e inequivoco (e non, dunque, ingannevole), anche se implicitamente, dal contesto del ricorso, nonchè dal riferimento ad atti dei precedenti gradi di giudizio, da cui sia agevole identificare con certezza la parte intimata (v. Cass. n. 19286/09).

1.1.1. – Nello specifico, dal complessivo tenore del ricorso si ricava che nella presente vicenda processuale non vi è, oltre ai ricorrenti, altra parte se non il C., ripetutamente menzionato quale unico contraddittore, sicchè l’eccezione in parola è del tutto frustranea, siccome basata sull’illusoria convinzione che le norme del codice di rito si esauriscano in mere formule da ripetere e da verificare attraverso un criterio di mera sovrapposizione.

2. – Con il primo motivo i ricorrenti deducono l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, “con riguardo all’applicazione nella fattispecie ed alla relativa violazione degli artt. 904, 1102, 1108 e 1122 c.c., nonchè art. 112 c.p.c.”.

Sostiene parte ricorrente che la sentenza impugnata, nell’escludere la comunanza del muro e la costruzione in appoggio, in base al fatto che quest’ultima è stata eseguita nel cortile di proprietà esclusiva del C. e che tra questa e il muro stesso vi è un pilastrino che rende la prima autonoma dal secondo, di guisa che sarebbe applicabile alla fattispecie l’art. 904 c.c., non avrebbe operato alcun riferimento alla comunione del muro, nè esplicitato i riferimenti tecnici e logici da cui inferire che il manufatto sia stato realizzato in aderenza o in appoggio.

La sentenza impugnata, inoltre, non avrebbe motivato adeguatamente sulla tesi di parte appellante, che aveva dedotto che il C. partecipa al condominio, nè considerato che, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, l’uso particolare e più intenso del bene comune ai sensi dell’art. 102 c.c. è consentito solo se non si traduca in un impedimento al paritario uso del bene stesso da parte degli altri condomini.

3. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 904 e 1102 c.c. e degli artt. 112 e 132 c.p.c., assumendo che il muro sul quale è stato realizzato il manufatto è un muro comune rispetto ai soggetti partecipanti al condominio e dunque tra le stesse parti in causa, per cui l’art. 904 c.c. non è applicabile alla fattispecie. E ove anche si desse rilievo alla circostanza che il C. è proprietario del terreno confinante con quello condominiale, sarebbe decisiva la circostanza che tra condomini, nel conflitto tra norme sulle distanze e norme regolatrici i rapporti condominiali, sono queste ultime a prevalere.

4. – Con il terzo motivo si denuncia l’omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia e la violazione dell’art. 111 Cost., comma 1 e dell’art. 132 c.p.c., lamentando che sentenza impugnata non risponde ai requisiti esistenza, sufficienza e logicità che la motivazione, quale esternazione dell’iter logico e intellettivo della decisione, deve possedere.

5. – Con il quarto motivo è dedotta, per le medesime ragioni di cui sopra e in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità della sentenza, non essendo possibile identificare il procedimento logico che vi è alla base.

6. – Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per non avere il giudice di merito considerato che non avendo il C. contestato la perizia prodotta dagli attori, nella quale risulta affermata la natura comune del muro, nè avendo contraddetto le altre produzioni documentali inerenti all’esistenza delle tabelle millesimali e all’avvenuta ripartizione delle relative spese, la comunanza del muro doveva ritenersi fatto pacifico.

7. – Quest’ultimo motivo, il cui esame appare prioritario, è infondato. L’onere della contestazione specifica, essendo funzionale alla determinazione dei themata decidenda et probanda, riguarda i fatti costitutivi della domanda giudiziale, non già i documenti, la cui produzione costituisce mezzo istruttorio e presuppone, pertanto, che i fatti che ne formano oggetto non siano pacifici. Ancor meno possono costituire oggetto di non contestazione le perizie di parte, che consistono in allegazioni di natura tecnica le quali, al pari delle argomentazioni difensive, servono ad illustrare le soluzioni proposte nell’interesse della parte assistita, e non già a reinscenare il meccanismo processuale previsto dall’art. 167 c.p.c., comma 1 in relazione a fatti già oggetto di precedenti ed espresse contestazioni.

8. – Il primo motivo è fondato, sotto il profilo del dedotto vizio motivazionale.

8.1. – Dalla narrativa della sentenza impugnata si ricava che gli appellanti avevano dedotto (per quanto ancora rileva in questa sede) che 1) il muro nel quale essi avevano aperto la luce era comune all’appellato; che questi aveva eseguito la sua costruzione in appoggio e che, di conseguenza, era inapplicabile l’art. 904 c.c. invocato dal C.; 2) ulteriore ragione di inapplicabilità di tale norma era data dal fatto che quest’ultimo era partecipe al condominio, e che tale sua qualità escludeva l’applicabilità della norma citata; e 5) vi era stata lesione anche della loro proprietà esclusiva, oltre che di quella condominiale, in violazione dell’art. 1102 c.c..

Punto controverso è, dunque e innanzi tutto, la comunanza del muro nel quale B.G. e G.S. avevano aperto la luce che C.F. ha, a sua volta, chiuso erigendo la propria costruzione.

Tale fatto è, altresì, decisivo, per due concomitanti ragioni.

La prima è data da ciò, che il potere di chiudere le luci è attribuito dall’art. 904 c.c. al “vicino”, vale a dire a un soggetto che non partecipa ab origine della proprietà del muro in cui queste sono aperte. Infatti, detta disposizione consente la chiusura della luce in quanto il vicino ne acquisti la comunione ovvero costruisca in aderenza, vale a dire esercitando le facoltà previste, rispettivamente, dagli artt. 874 e 877 c.c. E nel caso in cui il muro sia stato reso comune, la chiusura è consentita sempre che la costruzione avvenga in appoggio e consista in un edificio (cfr. Cass. n. 8671/01).

La seconda deriva dal fatto che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, le aperture lucifere che si trovano all’interno di un edificio condominiale o comunque all’interno di un complesso immobiliare integrante una proprietà condominiale, a differenza di quelle che si aprono sul fondo aperto altrui, sono prive di quella connotazione di precarietà e di mera tolleranza che caratterizza le luci contemplate negli artt. 901 – 904 c.c., con la conseguenza che esse sono sottratte alla disciplina di tali norme (con il corollario, tratto sempre da detta giurisprudenza, che in ordine alle stesse è ipotizzatole, in favore di chi ne beneficia, la possibilità di acquisto della relativa servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia: Cass. nn. 12125/97 e 4117/90).

8.2. – La Corte fiorentina ha così motivato la decisione: “In ordine al primo motivo di appello attinente alla dedotta comunione del muro e olfatto che la costruzione era avvenuta in appoggio, si osserva che, al contrario, la costruzione oggetto di causa, come risulta dalle fotografie prodotte in causa, senza contestazioni, è avvenuta sul cortile di proprietà esclusiva dell’appellato, e che la stessa è munita di pilastrino al confine con il muro altrui che la rende autonoma, sicchè va ritenuta in aderenza e non in appoggio. Ne deriva la piena applicabilità dell’art. 904 c.c, e quindi la piena legittimità della costruzione medesima. Il motivo, in quanto infondato, va disatteso. Analogamente per il secondo motivo che si fonda sulla dedotta qualità di condomino del C. che è stata esclusa. In ordine al terzo motivo di appello, in relazione alla dedotta lesione della proprietà esclusiva, si osserva che la accertata applicabilità della norma di ui all’art. 904 c.c. esclude la lamentata lesione. Anche detto motivo, in quanto infondato, va disatteso”.

8.3. – Siffatta motivazione deve ritenersi del tutto incongrua in rapporto alla problematica sopra individuata, in quanto esclude la proprietà del muro in questione osservando che la costruzione con la quale è stata chiusa la luce risulta eseguita su terreno di proprietà esclusiva di C.F.. Il che, però, oltre a non essere controverso, non risolve la questione, affatto diversa, se il muro stesso sia condominiale e se al condominio partecipi anche l’odierno controricorrente.

Oltre a ciò, detta motivazione appare altresì insufficiente, perchè poco perspicua lì dove si limita a richiamare l’esistenza di un “pilastrino al confine”, per escludere che la costruzione di parte C. sia in appoggio, senza tuttavia chiarire la funzione edilizia e tecnico-costruttiva di tale elemento, indispensabile per comprendere come la Corte territoriale abbia tratto da tale dato la sua conclusione.

9. – L’accoglimento del predetto motivo implica assorbimento delle restanti censure.

10. – In conclusione, va accolto il primo motivo, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto e rigettato il quinto, per cui la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

LA CORTE accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo, il terzo ed il quarto, rigettato il quinto, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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