Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12863 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2021, (ud. 08/02/2021, dep. 13/05/2021), n.12863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Anna Piera – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13129/18 R.G. proposto da:

M.C. e M.V.F., rappresentati e difesi,

giusta delega in calce al ricorso, dagli avv.ti Piceci Vittorio, con

domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Vaglio Mauro, in Roma,

Piazza della Libertà, n. 20;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, 12 è elettivamente

domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Puglia n. 3069/23/17 depositata in data 20 ottobre 2017.

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8 febbraio

2021 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. M.C. e M.V.F., con distinti ricorsi, impugnavano gli avvisi di accertamento, per gli anni d’imposta 2004 e 2005, con i quali l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione maggiori imposte ai fini IRPEF, quali utili extra-bilancio che l’Ufficio aveva ritenuto distribuiti in quanto derivanti da omessa contabilizzazione di ricavi accertati nei confronti della società Lap s.r.l., di cui i contribuenti risultavano soci, rispettivamente nella misura del 70 e del 30 per cento del capitale sociale.

2. La Commissione tributaria provinciale di Brindisi li accoglieva, osservando che la presunzione di distribuzione degli utili, generalmente applicata nei casi di società a ristretta base partecipativa, non poteva operare, in ragione delle ripercussioni provocate dall’usura subita da F.M., destinataria dei benefici, moglie di M.C. e madre di M.V.F..

3. La Commissione tributaria regionale respingeva gli appelli dell’Agenzia delle entrate con distinte sentenze che venivano cassate con rinvio dalla Corte di Cassazione con autonome pronunce sul rilievo che il giudice di appello, limitandosi a porre in risalto la “speciale condizione” di soggetto passivo del delitto di usura, di cui non aveva neppure indicato l’efficacia causale, non aveva motivato in quale misura essa potesse integrare la prova che i maggiori utili non fossero stati distribuiti, ma fossero stati accantonati dalla società o reinvestiti.

4. Riassunto il giudizio dai contribuenti, la Commissione tributaria regionale della Puglia, in sede di rinvio, previa riunione, accoglieva gli appelli dell’Amministrazione finanziaria, motivando che la produzione di reddito societario non contabilizzato costituiva un dato non più contestabile, in ragione del giudicato intervenuto sul punto, e che nessuna prova contraria era stata offerta dai contribuenti circa l’eventuale accantonamento o reinvestimento degli utili, non essendo a tal fine idonea la “speciale condizione” costituita dall’usura subita, sia perchè i benefici previsti dalla L. n. 44 del 1999, art. 20 e della L. n. 341 del 2001, art. 20 non erano stati concessi alla società, ma a F.M.A., estranea alla compagine sociale dei cui utili si discuteva, sia perchè tali benefici non prevedevano esenzioni fiscali.

5. Avverso la suddetta decisione d’appello hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti, con cinque motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

6. Con istanza del 17 agosto 2020 l’Agenzia delle entrate ha chiesto che sia dichiarata l’estinzione parziale del giudizio con riguardo agli avvisi di accertamento emessi a carico di M.V.F., avendo il contribuente aderito alla definizione agevolata delle controversie tributarie, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, artt. 6 e 7, e provveduto al pagamento di quanto dovuto; ha, inoltre, insistito per la fissazione dell’udienza per la decisione dei ricorsi concernenti gli altri due avvisi di accertamento emessi nei confronti di M.C..

In prossimità dell’adunanza camerale, M.V.F. ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., con la quale ha dichiarato di voler rinunciare al ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Come emerge dalla comunicazione di regolarità depositata dall’Agenzia delle entrate, successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione, M.V.F. ha formulato tempestiva domanda di definizione agevolata delle controversie, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 136 del 2018, provvedendo al pagamento di quanto dovuto ai fini della definizione in relazione agli avvisi di accertamento oggetto di impugnazione n. RF6010100406/2007 (relativo all’anno d’imposta 2005) e n. RF6030100232/2007 (relativo all’anno d’imposta 2004).

In conformità alla richiesta di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere avanzata dall’Agenzia delle entrate e tenuto conto della rinuncia al ricorso depositata dal contribuente, non residuano ragioni per non realizzare immediatamente la ratio legislativa che nella specie è quella di pervenire all’estinzione del processo pendente, risultando perfezionata la fattispecie estintiva delineata dalla citata norma limitatamente alla posizione di M.V.F..

2. Non essendo stata analoga domanda di definizione agevolata presentata da M.C. occorre procedere all’esame dei motivi di gravame proposti.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia motivazione apparente per violazione degli art. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e, con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1963, art. 38, della L. n. 44 del 1999, art. 20 e degli artt. 2263,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto che i benefici previsti dalla L. n. 44 del 1999, art. 20 (consistenti nella proroga dei termini per gli adempimenti fiscali), abbiano riguardato soltanto F.M., titolare della ditta individuale Lap Euroborse, la cui sede era fissata nei medesimi immobili in cui operava la Lap s.r.l., e non quest’ultima, con la conseguenza che la presunzione di distribuzione degli utili avrebbe potuto essere vinta solo dimostrando l’inesistenza del vincolo solidaristico tra i soci.

Osserva, in contrario, che non deve esserci automatismo tra accertamento nei confronti della società ed accertamento nei confronti dei soci della medesima, non potendo il primo spiegare alcuna efficacia di giudicato nei confronti del socio, e che la decisione impugnata non tiene conto che nel caso di specie opera una presunzione semplice che ammette la prova contraria che non è limitata solo alla dimostrazione dell’inesistenza del vincolo solidaristico tra i soci, ma che si estende a qualsiasi altro fatto o evento impeditivo della possibilità di percezione degli utili e della conseguente mancata realizzazione di maggiore disponibilità finanziaria.

Sostiene che, a fronte dell’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, non si è formata una maggiore disponibilità finanziaria negli anni oggetto di accertamento, e ciò in considerazione della condotta di usura sofferta dai coniugi F.- M., oggetto di processi penali che riguardavano anche gli anni 2004 e 2005, e che, diversamente da quanto affermato dalla C.T.R., sussisteva un rapporto tra la ditta individuale Lap e la società Lap s.r.l., dal momento che la seconda si occupava della commercializzazione dei prodotti realizzati dalla ditta individuale.

Ribadisce, quindi, che in presenza di usura accertata, non si possa fare applicazione della presunzione di distribuzione degli utili, dovendosi al contrario presumere che la condotta di usura abbia impedito che si formassero utili in capo alla società o che gli stessi venissero distribuiti ai soci.

3. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, della L. n. 44 del 1999, art. 20 e degli artt. 2263,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, laddove la sentenza impugnata afferma che la ristrettezza della base azionaria lascia ritenere, attesa la funzione di “schermo” svolta dalla società, che i redditi siano stati distribuiti ai soci e che la produzione di reddito societario non contabilizzato costituisce dato incontrovertibile, alla stregua del giudicato intervenuto sul punto.

Contesta, inoltre, che vi sia documentazione che attesti il giudicato.

4. Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, della L. n. 44 del 1999, art. 20 e artt. 2263,2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per avere la C.T.R. affermato che l’irrevocabilità della decisione sugli utili societari non costituisce il fondamento della presunzione di distribuzione ai soci degli utili, che discende piuttosto dalla ristrettezza della base partecipativa, e che i benefici L. n. 44 del 1999, ex art. 20 ed L. n. 341 del 2000, ex art. 20 non erano stati concessi alla Lap s.r.l., ma a F.M.A..

Assume che vi è violazione del divieto di presunzione di secondo grado, dal momento che il fatto noto dal quale trarre la presunzione è solo la produzione di reddito non contabilizzato in seno alla società distributrice di tali utili, e non “la ristretta base sociale”, che può costituire mero indizio.

5. Deve escludersi il difetto assoluto di motivazione, dedotto con il primo mezzo di ricorso, non essendo ravvisabile, in relazione alle statuizioni contenute nella decisione impugnata, alcuna anomalia motivazionale destinata ad acquistare significato e rilevanza alla stregua delle pronunce a Sezioni Unite di questa Corte n. 8053 del 2014 e n. 22232 del 2016.

Considerato, infatti, che ricorre il vizio di motivazione meramente apparente allorquando il giudice omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione e di specificare ed illustrare le ragioni che sorreggono il decisum e l’iter logico seguito per pervenire alla pronuncia assunta, onde consentire di verificare se abbia giudicato iuxta alligata et probata, non può non rilevarsi che il giudice di appello ha compiutamente esplicitato il proprio iter argomentativo, esaminando in modo esaustivo i fatti oggetto di discussione e chiarendo le ragioni del suo convincimento.

Nella specie, anche in base alla stessa prospettazione del mezzo, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica giuridica, nè tanto meno che sia stata costruita in modo tale da rendere impossibile un controllo sulla esattezza del ragionamento decisorio e, quindi, tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, (Cass., sez. 1, 30/06/2020, n. 13248).

6. Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, che possono essere scrutinati congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

6.1. E’ assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio – al quale va data continuità non offrendo il ricorrente alcuno spunto per un ripensamento critico – secondo il quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo a quelli di capitale, nel caso di società a ristretta base sociale è legittima la presunzione di distribuzione pro quota ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poichè il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass., sez. 5, 18/10/2017, n. 24534; Cass., sez. 5, 22/11/2017, n. 27778; Cass., sez. 5, 20/12/2018, n. 32959; Cass., sez. 6-5, 24/01/2019, n. 1947; Cass., sez. 5, 19/12/2019, n. 33976; Cass., sez. 5, 11/08/2020, n. 16913; Cass., sez. 5, 02/07/2020, n. 13550).

Affinchè, però, tale presunzione possa operare occorre, pur sempre, sia che la ristretta base sociale e/o familiare – cioè il fatto noto alla base della presunzione – abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio, sia che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi (Cass., sez. 5, 22/04/2009, n. 9519; Cass., sez. 6-5, 9/07/2018, n. 18042; Cass., sez.5, 18/10/2017, n. 24534; Cass., sez. 6-5, 24/07/2013, n. 18032; Cass., sez. 5, 8/07/2008, n. 18640).

6.2. Avendo le società di capitali una soggettività giuridica distinta e separata da quella dei singoli soci, e, quindi, autonoma posizione fiscale (Cass., sez. 5, 26/10/2005, n. 20851; Cass., sez. 5, 13/01/2016, n. 386), si è chiarito (Cass., sez. 5, 29/07/2016, n. 15828) che la ristrettezza sociale non elimina detta distinzione soggettiva, per cui il socio, a fronte di un avviso di accertamento emesso a carico della società e divenuto definitivo per omessa impugnazione, non ha titolo per contestare nel merito, in sede di giudizio sull’avviso di accertamento a lui notificato – ai fini Irpef – in virtù della presunzione di distribuzione sopra richiamata, l’accertamento operato nei confronti della società, potendo solo vincere tale presunzione attraverso la prova che i maggiori utili extracontabili non sono stati da lui percepiti, in quanto non oggetto di distribuzione, ma accantonati o reinvestiti. E ciò perchè la presunzione in esame si fonda sulla regola di comune esperienza secondo cui nei casi di esiguità del numero dei soci si riscontra un alto grado di compartecipazione degli stessi alla gestione societaria, il che comporta, a loro carico, un onere di controllo reciproco nelle vicende societarie.

6.3. Detta presunzione ricorre anche quando l’atto impositivo contenente l’accertamento degli utili nei confronti della società non sia ancora definitivo, per essere ancora pendente il termine per impugnarlo o il giudizio sulla impugnativa. Infatti, costituendo la sussistenza di utili extracontabili il presupposto non della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell’accertamento della concreta percezione di una determinata somma, da ciascun socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali, la circostanza che l’accertamento degli utili extracontabili di una società a ristretta base azionaria sia contenuto in un atto impositivo non ancora definitivo o in una sentenza non ancora passata in giudicato incide non sulla operatività della presunzione di distribuzione degli utili tra i soci, bensì sulla individuazione dell’oggetto di tale distribuzione; cosicchè la causa relativa all’accertamento dei redditi non dichiarati della società viene a trovarsi in rapporto di pregiudizialità con le cause relative all’accertamento di maggiori redditi da partecipazione dei singoli soci (Cass., sez. 6-5, 19/03/2015, n. 5581).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il socio raggiunto dall’accertamento tributario a titolo personale in conseguenza della ritenuta distribuzione dei proventi conseguiti e non dichiarati da società di capitali a ristretta base azionaria, in considerazione del rapporto di autonomia tra i giudizi a carico della società e dei soci e del rapporto di pregiudizialità che lega l’accertamento nei confronti della società a quello nei confronti dei soci, qualora non sia in grado di dimostrare che la distribuzione degli utili non è intervenuta, non può limitarsi a sostenere che un accertamento tributario è valido solo quando sia divenuto definitivo, ma deve necessariamente contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, degli utili extra-bilancio che l’Amministrazione finanziaria afferma essere stati realizzati e poi distribuiti ai soci (Cass., sez. 5, 26/11/2014, n. 25115; Cass., sez. 5, 19/12/ 2019, n. 33976).

6.4. La suddetta presunzione può ovviamente essere vinta dal socio dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass., sez. 6-5, 2/02/2016, n. 1932) e resta salva in ogni caso la facoltà del socio di fornire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società o da essa reinvestiti (Cass. n. 24/07/2013, n. 18032; Cass., 6-5, 18/11/2014, n. 24572; Cass., sez. 5, 29/07/2016, n. 15828).

7. Tanto premesso in linea generale, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi su esposti.

7.1. La legittimità dell’accertamento è stata argomentata dalla Commissione tributaria regionale sulla natura di società a ristretta base partecipativa della Lap s.r.l., costituita solo da due soci, sulla detenzione, da parte del socio M.C., di una partecipazione qualificata nella società (pari al 70 per cento delle quote societarie) e sulla mancanza di prova contraria, gravante sul contribuente, circa la distribuzione degli utili extracontabili.

In particolare, il giudice d’appello ha considerando non idonea a tal fine la circostanza della “speciale condizione” costituita dall’essere M.C. soggetto passivo di usura, unitamente alla moglie F.M.A., titolare di altra ditta individuale.

7.2. Anche sotto tale profilo, la decisione va esente dalle censure ad essa rivolte, avendo correttamente sottolineato, come peraltro già evidenziato da questa Corte con le sentenze di annullamento, sia che la sottrazione all’imposizione “evidentemente prescinde dal successivo utilizzo, a valle, dei redditi, una volta che essi siano stati conseguiti dal contribuente” sia che tra i benefici disposti in favore delle vittime di usura, da parte della legislazione speciale dettata in materia, non figurano esenzioni fiscali.

Infatti, la L. n. 44 del 1999, art. 20 si limita a prevedere, a favore dei soggetti che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l’elargizione prevista dagli artt. 3, 5, 6 e 8 della stessa legge: a) la sospensione, per un periodo stabilito dalla stessa disposizione, dei termini di scadenza per gli adempimenti amministrativi e per il pagamento dei ratei dei mutui bancari e ipotecari; b) la proroga, per un determinato periodo di tempo, dei termini di scadenza per gli adempimenti fiscali, nonchè c) la sospensione dei termini di prescrizione e di quelli perentori, sostanziali e processuali, comportanti decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, oltre che la sospensione, per un determinato periodo, dei provvedimenti di rilascio di immobili sottoposti a procedure esecutive immobiliari, oltre che delle vendite e delle assegnazioni forzate.

Inoltre, come evidenziato da questa Corte con le ordinanze di annullamento nn. 26153/16, 25954/16, 25955/16 e 25956/16, il ricorrente si è limitato ad affermare la “speciale condizione” di vittima dell’usura, senza tuttavia spiegare in che modo e in quale misura l’essere soggetto passivo di indagini finalizzate a far emergere il delitto di usura possa costituire prova del fatto che i maggiori ricavi conseguiti dalla società a ristretta base azionaria non siano stati poi distribuiti ai soci e senza fornire prova che gli utili realizzati dalla società siano stati, invece, accantonati o reinvestiti o comunque siano stati impiegati per soddisfare eventuali pretese usurarie.

8. Con il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15 e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, e lamenta che la C.T.R. ha pronunciato condanna al pagamento delle spese di tutti i gradi del giudizio, in assenza di domanda dell’Agenzia delle entrate, facendo, peraltro, malgoverno della norma che prevede la compensazione delle spese, dal momento che, nella specie, in primo e secondo grado il contribuente aveva ottenuto sentenza a sè favorevole.

Le censure sono infondate.

Non sussiste il dedotto vizio di ultrapetizione, in quanto l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza d’appello, con la conseguente cassazione con rinvio della causa, ha travolto anche la statuizione sulle spese, in ragione del suo carattere accessorio, con la conseguenza che la liquidazione delle spese delle precedenti fasi del giudizio doveva essere effettuata dal giudice di rinvio, tenuto conto dell’esito finale del giudizio (Cass., sez. 2, 6/02/2017, n. 3069), anche in difetto di domanda.

Peraltro, il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (Cass., sez. 6 -3, 13/03/2013, n. 6369; Cass., sez. 3, 29/09/2011, n. 19880), cosicchè neppure è ravvisabile la non corretta applicazione della norma che prevede la compensazione delle spese processuali.

Il motivo non si sottrae, inoltre, alla declaratoria di inammissibilità laddove si denuncia che sia stata inflitta “una severa condanna alle spese”, atteso che, in applicazione del principio dell’autosufficienza, il ricorrente avrebbe dovuto specificare gli eventuali errori commessi dal giudice di merito nella determinazione delle spese processuali e non limitarsi ad una generica contestazione dell’abnormità delle spese liquidate.

9. In conclusione, va dichiarato estinto il giudizio limitatamente alla posizione del socio M.V.F., e le spese del processo estinto, ai sensi dell’ultimo periodo del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13, restano a carico della parte che le ha sostenute.

In ragione della definizione agevolata della controversia, non si ravvisano i presupposti per imporre a M.V.F. il pagamento del cd. doppio contributo, siccome misura applicabile ai soli casi tipici di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del gravame e, pertanto, non suscettibile, per la sua natura lato sensu sanzionatoria, di interpretazione estensiva o analogica a (così Cass., sez. 6-5, 07/12/2018, n. 31372; Cass., sez. 6-5, 07/06/2018, n. 14782; Cass., sez. 6-1, 12/11/2015, n. 23175).

Va, invece, rigettato il ricorso proposto da M.C., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, secondo i criteri della soccombenza. Nei suoi confronti va dato atto, avuto riguardo all’epoca di proposizione dell’impugnazione e del suo esito, dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (come novellato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

dichiara estinto per legge il giudizio di cassazione riguardo al socio M.V.F., per il verificarsi della fattispecie di cui al D.L. n. 119 del 2018, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 136 del 2018, e cessata la materia del contendere.

Rigetta il ricorso del socio M.C.. Condanna M.C. al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente M.C. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

 

 

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