Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12862 del 26/05/2010

Cassazione civile sez. I, 26/05/2010, (ud. 25/03/2010, dep. 26/05/2010), n.12862

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2868-2005 proposto da:

COMUNE DI (OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), in persona del Sindaco

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI AVIGNONESI

5, presso l’avvocato VISONE LUDOVICO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SCUDERI ANTONIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.L. (c.f. (OMISSIS)), G.E. (c.f.

(OMISSIS)), G.P. (c.f. (OMISSIS)),

GI.LU., G.A. (c.f. (OMISSIS)),

GI.AN. (c.f. (OMISSIS)), S.O. vedova

G.V., G.R. (fu V.), G.

M. (fu V.), G.F. (fu R.),

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

CLEMENTE GIOVANNI, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 559/2004 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 05/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/03/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ANTONIO SCUDERI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato GIOVANNI CLEMENTE che ha

chiesto l’inammissibilità del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 27.10.1989 G.L. conveniva il Comune di (OMISSIS) dinanzi al Tribunale di Salerno, esponendo di essere comproprietario insieme ai fratelli A., P., V., R., E., An. e Lu. di un terreno in agro di (OMISSIS), distinto in catasto alla partita (OMISSIS) – porzione di fabbricato rurale; n. (OMISSIS), frutteto, esteso mq. 856; n. 366 – seminativo arborato, esteso mq.

12.521; n. (OMISSIS) – fabbricato rurale – aia- esteso mq. 96; n. (OMISSIS) porzione di fabbricato rurale – esteso mq. 96; n. (OMISSIS) – frutteto, esteso mq. 1.988; che il Comune di (OMISSIS), in data (OMISSIS), aveva occupato in via temporanea una superficie di mq. 12.000 delle p.lle nn. (OMISSIS) per insediarvi i prefabbricati da destinare ai cittadini, che avevano perduto l’abitazione in conseguenza del sisma del 23.11.80; che secondo il vigente Piano di Fabbricazione la p.lla n. (OMISSIS) ricadeva per la maggior consistenza in zona (OMISSIS) e la rimanente parte in zona (OMISSIS); la p.lla (OMISSIS) per la maggior consistenza in zona (OMISSIS) e la rimanente in viabilità primaria comunale di progetto; la p.lla (OMISSIS) per oltre mq. 10.000 in zona (OMISSIS) e la rimanente parte in zona (OMISSIS) e viabilità primaria comunale di progetto nonchè in minima parte in zona (OMISSIS); che il Sindaco con decreto in data 31.12.1987 aveva determinato le indennità provvisorie per l’espropriazione dell’immobile occupato, avverso cui l’esponente aveva proposto opposizione alla stima dinanzi alla Corte d’Appello; che il Comune aveva eccepito la inammissibilità di detta opposizione sul rilievo che trattavasi di determinazione provvisoria;

che nel frattempo erano scaduti i termini per l’occupazione legittima senza che fosse stato emesso il decreto di esproprio ed il fondo in questione era stato irreversibilmente trasformato con la realizzazione dell’opera pubblica.

Tanto premesso il G. chiedeva al Tribunale adito di dichiarare illegittima la occupazione dell’area sopra indicata a decorrere dal 31.3.1988 e conseguentemente di condannare il convenuto al risarcimento dei danni da rapportare al valore venale e di scambio di detto immobile, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Il Comune si costituiva in giudizio eccependo preliminarmente la inammissibilità dell’azione risarcitoria sull’assunto che il decreto di esproprio era stato emesso nel periodo di occupazione legittima.

Contestava, poi, la natura edificatoria del suolo occupato, affermando la congruità del valore unitario attribuito dal Comune in applicazione della L. n. 2359 del 1865.

In corso di causa il giudice disponeva ex art. 107 c.p.c. la chiamata in causa di D.R.A., in quanto avente diritto, quale affittuaria del fondo, all’indennizzo di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 17.

Con sentenza del 26.2,2001 il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda attorea, condannando il Comune al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di L. 193.206.890, oltre interessi legali sino all’effettivo pagamento.

Tale sentenza veniva impugnata dai fratelli G. dinanzi alla Corte d’Appello di Salerno, che con sentenza 15.7-5.11.2004, in parziale riforma della appellata sentenza, condannava il Comune di (OMISSIS) al pagamento, in favore degli appellanti, della somma di Euro 193.278,64, oltre interessi legali sulla somma di Euro 77.621,94, rivalutata di anno in anno secondo indici ISTAT, a decorrere dal 26,6.1983.

Avverso detta sentenza il Comune di (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. G.L., E., P., Lu., A., An., F., M.R., S.O., ved. G.V., hanno resistito con controricorso. Sia il ricorrente che i resistenti hanno depositato memoria ex art. 178 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia error in procedendo – Violazione della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2. Deduce il ricorrente che i G., nell’atto di citazione notificato al Comune, avevano agito sia per la quantificazione e relativo pagamento dell’indennità relativa al periodo di occupazione legittima che per il risarcimento del danno subito per la perdita del bene per la illegittima acquisizione dello stesso al patrimonio dell’ente. In tal caso, unico giudice competente per il relativo giudizio, sarebbe la Corte d’Appello, cui è demandata funzionalmente la materia relativa all’accertamento delle indennità dovute a seguito di procedimenti ablatori.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. – Insufficiente ed erronea motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. Deduce il ricorrente che il giudice a quo avrebbe errato nel ritenere idonei ad interrompere la prescrizione del diritto al risarcimento del danno atti, che attengono alla fase dell’espropriazione e sono richiesti dalla legge al fine di consentire la legittima adozione del decreto di esproprio, quali il deposito dell’indennità di espropriazione, la determinazione ( provvisoria) dell’indennità, la offerta di essa, nonchè la opposizione alla stima.

Conseguentemente la Corte d’Appello avrebbe errato nel rigettare l’eccezione di prescrizione, dal momento che l’azione risarcitoria era stata proposta solo in data 9.3.90 o, a tutto concedere, in data 27.10.89 e, quindi, ben oltre il termine di cinque anni dal 26.6.83, data a partire dalla quale detta azione sarebbe stata esperibile. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia error in iudicando – Violazione e falsa applicazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito nella L. n. 359 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. – Insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Deduce il ricorrente che le censure mosse nell’atto di appello incidentale sono state erroneamente interpretate dalla Corte d’Appello e respinte sulla base di valutazioni per nulla coerenti rispetto alle argomentazioni proposte dal Comune. Con l’atto di appello l’attuale ricorrente non avrebbe affatto sostenuto che la destinazione urbanistica dell’area in questione ed il relativo valore dovessero essere stabiliti facendo riferimento al P.R.G. adottato nel 1993, ma avrebbe fatto soltanto constatare che il c.t.u., pur avendo fatto riferimento sia al P.d.F. che al P.R.G. del 1993, aveva ritenuto l’area caratterizzata da potenzialità edificatorie indipendentemente dalla destinazione urbanistica e da qualsiasi valutazione di carattere vincolistico gravante sull’area stessa per la sua destinazione eminentemente di natura pubblica; in altri termini avrebbe soltanto censurato la metodologia ed i criteri utilizzati dal c.t.u. per pervenire alla conclusione che l’area aveva potenzialità edificatorie e nel determinarne, poi, il valore.

Ne l’attuale ricorrente avrebbe sostenuto con l’atto di appello che l’urbanizzazione del suolo sarebbe derivata esclusivamente dalla realizzazione degli alloggi per i terremotati, ma soltanto che le migliorie apportate dall’opera pubblica alle potenzialità edificatorie dell’area espropriata non dovevano essere computate al fine di desumerne il maggior valore di mercato.

Il concorso, nella valutazione del valore, effettuata con riferimento all’anno 1990, di fattori (intervenuta urbanizzazione dell’area) non esistenti all’epoca in cui era stato imposto il vincolo espropriativo (anni 81-83), avrebbe comportato calcoli del tutto erronei, non essendosi tenuto conto del diverso valore di mercato dei beni in detti ultimi anni rispetto al 1990.

La erronea interpretazione delle censure avrebbe condotto la Corte d’Appello a fornire risposte del tutto inconferenti rispetto alle problematiche mosse negli atti processuali. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia error in judicando – Violazione e falsa applicazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito nella L. n. 359 del 1992, della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. – Omessa, insufficiente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Deduce il ricorrente che la Corte d’Appello, a fronte di precise contestazioni in ordine alle erronee valutazioni del C.T.U., si sarebbe limitata ad osservare che il consulente si era comportato correttamente, ancorchè il Comune avesse fatto constare dettagliatamente gli errori da lui compiuti.

Il Comune, infatti, aveva fatto rilevare che il valore di L..128.000 al mq. dei terreni insistenti in zona (OMISSIS) era stato illogicamente determinato facendo riferimento ad un un’unica compravendita, posta in essere a mezzo di una scrittura privata, mai seguita da un atto pubblico di compravendita, intervenuta tra gli stessi attori ed un terzo ed avente ad oggetto un appezzamento di modestissima estensione, acquistato al fine di accorparlo quale area pertinenziale ad un fabbricato, il che porterebbe a ritenere tale acquisto di necessità come avvenuto al di fuori di ogni logica di mercato.

La illogicità e contraddittorietà di detta valutazione, fatta propria dalla Corte, emergerebbe ancor più dal fatto che il c.t.u.

convocato per rendere chiarimenti, avrebbe ammesso di avere esaminato altri atti di comparazione, che indicavano un prezzo notevolmente inferiore a quello da lui accertato.

Inoltre la valutazione del c.t.u. sarebbe stata effettuata con riferimento al lotto oggetto della compravendita summenzionata senza analizzarne tutte le caratteristiche che ne potevano compromettere o limitare l’edificazione.

L’avere erroneamente accettato il valore di L. 128.000 al mq. per la zona (OMISSIS), avrebbe comportato anche la erroneità della determinazione del valore per gli appezzamenti di terreno compresi in zona (OMISSIS) e strada di progetto, avendo la Corte ritenuto che tali aree dovessero avere un valore proporzionato alla prima in rapporto alla volumetria insediabile, calcolandolo in L. 38.000, sul presupposto che tali aree fossero edificabili. Contrariamente, poi, a quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, in considerazione della loro prossimità al centro abitato, dette aree dovrebbero essere ritenute inedificabili, atteso che quello che rileva, al fine di ritenere un’area edificabile, non è l’edificabilità di fatto, ma l’edificabilità legale risultante dalla destinazione impressa all’area dallo strumento urbanistico.

Siccome nella zona (OMISSIS) lo strumento urbanistico prevede insediamenti per l’istruzione realizzabili solo attraverso opere pubbliche e non già di interesse pubblico, l’unico soggetto in grado di poter operare in zona (OMISSIS) è la P.A., per cui dette aree dovrebbero essere ritenute inedificabili, sicchè non si sarebbero dovute valutare, ai fini risarcitori, ai sensi del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis ma in base ai criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16.

La Corte, inoltre, avrebbe fatto cattivo uso dei principi stabiliti per la valutazione del valore delle aree laddove ha dapprima calcolato, in ragione dell’indice di edificabilità (lmc/mq), il prezzo unitario al mq. del terreno in zona (OMISSIS) (ricavandolo mediante raffronto con quello stabilito per la zona (OMISSIS)) e, poi, lo ha anche applicato automaticamente alle aree previste per la viabilità, senza procedere alla individuazione di un indice medio di tutte le aree connesse, al fine di comprendere quale fosse nella realtà il complessivo carico volumetrico in esse insediabile.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia error in iudicando – Violazione e falsa applicazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito nella L. n. 359 del 1992, della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. – Omessa, insufficiente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Deduce il ricorrente che parimenti erronea sarebbe stata la valutazione delle aree comprese in zona (OMISSIS), dovendo applicarsi per la valutazione del valore di tali aree in modo rigido il valore agricolo medio tabellare, come previsto dalla L. n. 865 del 1971, art. 16.

Il valore risarcitorio sarebbe, pertanto, pari a L. 305.200 (mq. 70x L. 4.360) e non di L. 1.050.000 come ritenuto dalla Corte d’Appello.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il primo motivo di ricorso è infondato.

Secondo il ricorrente, avendo gli attuali resistenti agito in giudizio in primo grado sia per il pagamento dell’indennità per il periodo di occupazione legittima che per il risarcimento del danno per la irreversibile trasformazione del fondo con la realizzazione dell’opera pubblica, entrambe le azioni dovevano essere proposte dinanzi alla Corte d’Appello, cui è demandata funzionalmente dalla L. n. 865 del 1971, art. 19 la materia relativa all’accertamento delle indennità dovute a seguito di procedimenti ablatori.

La tesi non può essere condivisa atteso che, estendere la competenza della Corte d’Appello (in unico grado), prevista espressamente ed esclusivamente per la determinazione della indennità di occupazione legittima e di espropriazione, alla diversa domanda di risarcimento del danno derivante da occupazione appropriati va, che rientra nella ordinaria competenza del Tribunale (ex art. 9 c.p.c.), comporterebbe sottrarre l’azione risarcitoria al giudice naturale precostituito per legge, con violazione dell’art. 25 della Costituzione (cfr. Cass. n. 350 del 2000; Cass. n. 4985 del 1998).

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

Con tale motivo il ricorrente contesta, deducendo che trattasi di atti attinenti al normale procedimento espropriativo, la ritenuta efficacia interruttiva della prescrizione del diritto al risarcimento del danno dell’intervenuta tempestiva determinazione della (provvisoria) indennità di espropriazione, della sua offerta, del suo deposito e della proposizione dell’opposizione alla stima.

La censura non può essere condivisa alla stregua del principio di diritto affermato dalla sezioni unite di questa Suprema Corte (sentenza n. 485 del 1999) secondo cui nell’ipotesi in cui, verificatasi l’occupazione acquisitiva in assenza di emissione del decreto di esproprio, l’espropriante proceda tuttavia alla determinazione dell’indennità di esproprio, ovvero all’offerta e/o al deposito di essa, i suddetti atti, costituendo in ogni caso il riconoscimento del diritto dell’ex proprietario ad un ristoro patrimoniale, si configurano come atti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del diritto dominicale.

Il terzo ed il quarto motivo, che essendo strettamente connessi possono essere valutati congiuntamente, sono fondati.

La sentenza impugnata presenta numerose illogicità ed incongruenze con riferimento alla determinazione del valore delle aree occupate.

Innanzi tutto il giudice a quo ha determinato il valore di mercato di L. 128.000 al mq. della porzione di area rientrante nella zona (OMISSIS) (sicuramente edificabile) adottando quale termine di paragone una sola compravendita conclusa alcuni anni dopo (1990) la intervenuta irreversibile trasformazione del fondo in questione con la realizzazione dell’opera pubblica (26.6.83), peraltro scarsamente significativa, trattandosi della vendita da parte degli stessi attori di un modestissimo appezzamento di terreno (360 mq.), acquistato per destinarlo a pertinenza di un fabbricato; inoltre non solo ha determinato il valore di mercato considerando quanto pattuito per la compravendita di desto modesto fondo, come detto scarsamente indicativa, ma ha ignorato completamente quanto riferito dal c.t.u.

chiamato a chiarimenti e precisamente che aveva esaminato altri atti di comparazione, che indicavano un prezzo “notevolmente inferiore” a quello sui indicato.

Il giudice a quo ha ritenuto poi edificabile la porzione di area compresa nella zona (OMISSIS) (istruzione) affermando che “La destinazione dell’area ad edilizia scolastica (G mq. 9506) non configura un vincolo di inedificabilità, in quanto essa comporta l’attribuzione al terreno di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, realizzabile anche da privati, restando poi la vocazione edificatoria del terreno confermata anche in relazione al fatto che l’edilizia scolastica elementare costituisce opera di urbanizzazione secondaria (art. 1, lett. c in relazione alla L. n. 847 del 1974, art. 4) la cui costruzione si deve considerare funzionale ad una destinazione edificatoria della zona.

A sostegno di questa sua affermazione il giudice a quo ha richiamato la sentenza n. 3298 del 2000, che ha affermato il principio secondo cui la destinazione alla edilizia scolastica comporta l’attribuzione al terreno di una vocazione edificatoria, sia pure specifica, in quanto realizzabile anche da privati.

Da questo orientamento giurisprudenziale con motivazioni, che il collegio condivide, si sono discostate le successive sentenze della Corte di Cassazione n. 23028 del 2004, n. 15389 del 2007, n. 15616 del 2007, con le quali si è affermato il principio secondo cui, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio (o del risarcimento del danno da occupazione appropriativi) la destinazione di aree a edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione ad un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali ed astratti, nè può esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacchè l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (cfr. in particolare cass. n. 23028 del 2004).

Il quinto motivo, infine, è infondato.

Il giudice a quo si è discostato dal valore minimo tabellare per la determinazione del valore della porzione di terreno compresa nella zona agricola (OMISSIS) in base alla considerazione che tale porzione di fondo era vicinissima al centro abitato (tanto da essere stato utilizzato per l’insediamento edilizio pro-terremotati). Tale decisione è giuridicamente corretta, avendo fatto applicazione dell’insegnamento giurisprudenziale di questa Suprema Corte, secondo cui nella determinazione del danno da occupazione appropriativa di suoli agricoli è consentito valorizzare l’area rispetto al “minimum” dei valori tabellari, di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 qualora e per quanto sia suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, tenendo conto di possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (ad es. parcheggio, caccia, sport, agriturismo) (cfr. cass. n. 10280 del 2004).

Per le considerazioni che precedono i motivi uno, due e cinque debbono essere respinti, i motivi tre e quattro debbono essere accolti; la sentenza deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, che, per la decisione, si uniformerà al principio di diritto sopra enunciato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo, il quinto motivo del ricorso;

accoglie il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 26 maggio 2010

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