Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12861 del 22/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12861 Anno 2015
Presidente: MACIOCE LUIGI
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 6809-2010 proposto da:
FIACCO GABRIELLA FCCGRL44P46L120Q,
CRSNRC60A28G393T,
ROTELLA

MARIO

CARUSO ENRICO

CHIURCO PIETRO CHRPTR36L06H8180,
RTLMRA58B181704W,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA VALADIER 43, presso lo studio
dell’avvocato GIOVANNI ROMANO, che li rappresenta e
2015

difende giusta delega in atti

1310

– ricorrenti –

•••

contro

PRESIDENZA

DEL

CONSIGLIO

DEI

MINISTRI

C.F.

Data pubblicazione: 22/06/2015

80224003087, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA
DEI PORTOGHESI, 12;
– controricorrente

di ROMA, depositata il 17/03/2009 r.g.n. 2740/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/03/2015 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato LIZZA EGIDIO per delega ROMANO
GIOVANNI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RITA SANLORENZO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 2354/2008 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I ricorrenti indicati in epigrafe, ex dipendenti dell’Amministrazione postale, già in
posizione di comando presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e poi transitati
definitivamente nei ruoli di tale Amministrazione con decorrenza economica dal
18.7.2000, adivano il Giudice del lavoro di Roma deducendo che anteriormente a tale

personale dipendente dell’Ente Poste Italiane, relativo al biennio economico
1996/1997, e che tale emolumento non era stato più erogato successivamente al
passaggio nei ruoli della P.A.. Lamentavano quindi di avere subito una reformatio in
peius del trattamento economico, in violazione dell’art. 3, comma 57, della legge 24
novembre 1993, n. 537 (già sancito nell’art. 202 del T.U. n. 3 del 1957). Il Tribunale
respingeva la domanda.
La Corte di appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, osservava che
l’art. 3, comma 57, legge 24 dicembre 1993 n. 537, invocato dai ricorrenti a
fondamento della pretesa, contempla il diritto alla conservazione del trattamento
economico nel caso di passaggio di carriera presso la stessa o diversa
amministrazione, mentre l’Azienda autonoma delle poste e telecomunicazioni era stata
trasformata in Ente pubblico economico, denominato Ente Poste Italiane, in virtù della
Legge n. 71/94, a decorrere dalla data di efficacia dei decreti di nomina degli organi
dell’ente stesso, con la conseguenza che dal 10 gennaio 1994 i suoi dipendenti non
potevano essere più considerati dipendenti di un’Amministrazione statale, onde non
era più applicabile nei loro confronti l’art. 3, comma 57, L. 537/93.
Per la cassazione di tale sentenza i lavoratori propongono ricorso sulla base di un
motivo. Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con unico motivo si denuncia violazione di legge, in relazione agli art. 6, comma
4, legge n. 487/93, all’art. 3, comma 57, della legge n. 537/93, all’art. 202 del d.P.R.
n. 3/57 e all’art. 5 del DPCM n. 325 del 1998. Si deduce che ai dipendenti
dell’Amministrazione poste e telecomunicazioni che hanno esercitato l’opzione di
trasferimento definitivo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, presso cui erano
comandati, deve applicarsi il principio del divieto di reformatio in peius previsto
dall’art. 3, comma 57, legge n. 537/93 e dall’art. 202 del d.P.R. n. 3/57, con riguardo
al trattamento economico maturato presso il datore di lavoro di provenienza, ivi
compresa la quattordicesima mensilità.

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Udienza 19 marzo 2015

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passaggio percepivano la quattordicesima mensilità ai sensi dell’art. 3 CCNL per il

1.1. In particolare, i ricorrenti, premesso di essere stati trasferiti nei ruoli della
Presidenza del Consiglio dei Ministri per effetto dell’opzione a suo tempo esercitata ai
sensi dell’art. 6, comma 4, d.l. n. 487 del 1993, conv. in L. n. 71/94, sostengono che
tale norma era diretta al personale ancora alle dipendenze dell’Amministrazione delle
poste e delle telecomunicazioni e che tale doveva ancora ritenersi al momento

loro confronti la garanzia posta dall’art. 3, comma 57 della legge 24 dicembre 1993 n
537, poiché sia il datore di lavoro di provenienza (l’Amministrazione appartenenza dei
ricorrenti al momento dell’esercizio dell’opzione), sia quello di destinazione (la
Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal momento del l’inquadramento dei ricorrenti
nei ruoli organici di tale amministrazione) avevano natura di “pubbliche
amministrazioni”.
2.

Il ricorso è infondato per le ragioni che seguono.

3.

Il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 202, recita: “Nel caso di passaggio di carriera

presso la stessa o diversa amministrazione agli impiegati con stipendio superiore a
quello spettante nella nuova qualifica è attribuito un assegno personale, utile a
pensione, pari alla differenza fra lo stipendio già goduto ed il nuovo, salvo
riassorbimento nei successivi aumenti di stipendio per la progressione di carriera anche
se semplicemente economica”.
3.1.

La successiva L. 24 dicembre 1993, n. 537 recante “Interventi correttivi di

finanza pubblica”, all’art. 3, ha dettato una serie di regole in materia di pubblico
impiego. Il comma 57 dell’art. 3 recita: “Nei casi di passaggio di carriera di cui al citato
testo unico approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 202, ed alle altre
analoghe disposizioni, al personale con stipendio o retribuzione pensionabile superiore
a quello spettante nella nuova posizione è attribuito un assegno personale
pensionabile, non riassorbibile e non rivalutabile, pari alla differenza fra lo stipendio o
retribuzione pensionabile in godimento all’atto del passaggio e quello spettante nella
nuova posizione”. La previsione si colloca espressamente nel solco della disciplina
generale della normativa del 1957 (“nei casi di passaggio di carriera di cui all’art.
202”).
3.2. La Legge n. 266 del 2005, art. 1, comma 226, ha fornito un’interpretazione
autentica della materia, chiarendo che:

“La L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 3,

comma 57, nei confronti del personale dipendente si interpreta nel senso che alla
determinazione dell’assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile concorre il
trattamento, fisso e continuativo, con esclusione della retribuzione di risultato e di
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Udienza 19 marzo 2015

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dell’esercizio dell’opzione. Conseguentemente, doveva trovare applicazione anche nei

altre voci retributive comunque collegate al raggiungimento di specifici risultati o
obiettivi”.
4. Orbene, gli attuali ricorrenti non invocano la conservazione del trattamento
economico (complessivamente inteso) in godimento all’atto dell’esercizio dell’opzione
(anni 1993/1994) – momento che pure viene preso a riferimento per la pretesa

all’art. 202 T.U. n. 3 del 1957 -, ma, come espressamente risulta dal tenore del ricorso
(v. pag. 27), invocano la conservazione della quattordicesima mensilità di cui all’art. 3
del CCNL dell’Ente Poste – parte economica per il biennio 1996/1997 -, che ha
“istituito, a decorrere dal 10 gennaio 1996, in sostituzione del compenso di cui all’art.
61 del CCNL 26.11.1994, una voce retributiva denominata 14^ mensilità, da
corrispondere entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di riferimento”.
4.1. Oggetto della rivendicazione non è la conservazione del trattamento economico
percepito alle dipendenze dell’Amministrazione delle poste e telecomunicazioni, che
rappresenta, nella disciplina dettata dalla normativa pubblicistica or ora richiamata, il
trattamento economico non riducibile in caso di transito dall’una all’altra
amministrazione statale. A ben vedere, gli odierni ricorrenti non invocano il
riconoscimento dell’assegno personale non riassorbibile e non rivalutabile, ossia
dell’istituto contemplato dalla normativa in esame, che tende a garantire la
conservazione del differenziale economico nel caso di passaggio di carriere tra
amministrazioni statali e che fa riferimento al trattamento complessivo goduto presso
l’Amministrazione di provenienza.
4.2. Privo di rilievo è, dunque, l’argomento secondo cui anche nel regime pubblicistico
i dipendenti postali percepivano un emolumento (che si assume) analogo alla
quattordicesima (nel ricorso viene fatto riferimento, a pagg. 9 e 10, “all’art. 4 legge n.
837/1980”). Non solo la pretesa assimilabilità tra emolumenti diversi, corrisposti
dall’ex Amministrazione postale e dall’Ente Poste Italiane, non ha formato oggetto di
uno specifico motivo di ricorso con corrispondente quesito di diritto, restando così
precluso il relativo esame dal rilievo preliminare di inammissibilità della questione,
ma, quand’anche ammissibile, il relativo tema resterebbe comunque estraneo alla
domanda proposta, che non attiene alla conservazione di una delle componenti del
trattamento economico complessivo di cui all’assegno ad personam non riassorbibile;
la rivendicazione attiene, come è pacifico, alla conservazione della quattordicesima
mensilità, attribuita per la prima volta con il CCNL Ente Poste Italiane 1996/1997.

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Udienza 19 marzo 2015

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applicazione della riferita disciplina di cui all’art. 3, comma 57, I. n. 537 del 1993 e

5.

La posizione degli odierni ricorrenti è regolata dalla legge 71 del 1994, art. 6, il

quale dispone, al secondo comma, che “il personale dell’Amministrazione delle poste e
delle telecomunicazioni resta alle dipendenze dell’ente, con rapporto di diritto
privato…”; al quarto comma, che “il personale fuori ruolo e quello comandato presso
altre amministrazioni continua a prestare servizio presso dette amministrazioni

il

suddetto personale, su esplicita richiesta da formularsi entro il 30 giugno 1994, sarà

definitivamente trasferito, nei limiti della disponibilità di organico, alle amministrazioni
medesime”; il sesto comma, che “ai dipendenti dell’ente continuano ad applicarsi i
trattamenti vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto fino alla
stipulazione di un nuovo contratto”.
5.1. Pertanto, anche gli odierni ricorrenti, in posizione di comando presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi del quarto comma dell’art. 6, pur
continuando a prestare servizio presso dette amministrazioni di comando, sono
divenuti dapprima dipendenti dell’Ente Poste e poi della s.p.a. Poste Italiane, e così
titolari di un rapporto di lavoro subordinato privato. In virtù di tale trasformazione del
rapporto ha trovato applicazione nei loro confronti il CCNL 1996/1997, recante
l’istituzione della quattordicesima mensilità, della cui conservazione si discute.
5.2.

E’ dunque esatto quanto affermato nella sentenza impugnata secondo cui “a

decorrere dal 10 gennaio 1994, i dipendenti dell’Ente Poste Italiane non potevano
essere più considerati dipendenti di un’Amministrazione dello Stato, onde non era più
applicabile nei loro confronti quanto previsto dall’art. 3, comma 57, legge n. 537/93”.
6.

Né tale disciplina è suscettibile di applicazione estensiva ad ipotesi diverse da

quelle espressamente contemplate dalla norma or ora citata.
6.1.

Come osservato in Cass. n. 17645 del 2009 (conf. Cass. n. 5959 del 2012) “si

deve escludere, infatti – conformemente a quanto ritenuto dall’assolutamente
prevalente giurisprudenza del giudice amministrativo, munito all’epoca di giurisdizione
esclusiva sulle controversie di lavoro pubblico (vedi, per tutte, Cons. Stato, ad. plen,
16 marzo 1992, n. 8) – che il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202, costituisca espressione di
un principio generale, applicabile a tutti i dipendenti pubblici, dovendosi interpretare la
norma nel senso che la disciplina relativa all’ assegno ad personam, utile a pensione,
attribuibile agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova
posizione lavorativa, concerne esclusivamente i casi di passaggio di carriera presso la
stessa amministrazione statale o anche diversa amministrazione, purché statale, non i
passaggi nell’ambito di amministrazione non statale, ovvero tra diverse
amministrazioni non statali, o da una di esse allo Stato e viceversa.
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La norma risponde, infatti, alla precipua finalità che il mutamento di carriera
nell’ambito dell’organizzazione burocratica dello Stato non comporti, per gli
interessati, un regresso nel trattamento economico raggiunto, ma di “regresso” può
parlarsi soltanto confrontando posizioni omogenee nel contesto di un sistema
burocratico unitario, entro il quale “il dipendente statale” si sposti con le modalità

caso dell’accesso per concorso, secondo le disposizioni statutarie (vedi D.P.R. n. 3 del
1957, art. 199 e 200, cit). Sussistono, dunque, limiti soggettivi ed oggettivi
all’applicabilità della norma, che inducono di per sé ad escludere che alla stessa possa
essere attribuita una portata estensiva e che il legislatore abbia inteso, con tale
disposizione, porre un principio di ordine generale, da valere per ogni tipo di passaggio
ed indipendentemente dalla natura statale o meno delle organizzazione nel cui ambito
si verifica la mobilità”.
7. Neppure potrebbe ritenersi che la tutela della posizione del lavoratori transitati alle
dipendenze dell’ente pubblico economico, in regime di rapporto di lavoro privato,
comporti la conservazione della posizione maturata nel rapporto originario. Secondo
quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza n. C-343/98 del 14 settembre
2000, pur essendo la direttiva 77/187/CEE applicabile anche ai trasferimenti di
attività e di servizi attuati da un ente costituente parte integrante della P.A. qualunque
sia il mezzo tecnico giuridico utilizzato, tuttavia la garanzia della continuità dei
rapporti di lavoro da essa prevista presuppone che i lavoratori interessati al momento
del passaggio dall’una all’altra gestione siano già titolari di rapporti della stessa natura
di quelli che vengono a costituirsi con l’impresa acquirente (Cass. n. 10315 del 2008,
riguardante la disciplina dettata dalla legge n. 58 del 1992, di riforma del settore delle
telecomunicazioni, per i rapporti di lavoro dei dipendenti dell’Azienda di Stato per i
servizi telefonici nel passaggio dei servizi di telefonia dal settore pubblico a quello
privato).
7.1. Ai dipendenti postali è stata attribuita la quattordicesima mensilità proprio a
seguito del mutamento della natura giuridica del loro rapporto di lavoro, rispetto alla
disciplina che regolava il loro rapporto alle dipendenze dell’Amministrazione postale.
8. Conclusivamente, deve ribadirsi che la disciplina di cui all’art. 3, comma 57, legge
n. 537/93 è applicabile esclusivamente nel caso di passaggio da un’Amministrazione
dello Stato ad altra Amministrazione, mentre la trasformazione dell’Amministrazione
autonoma delle Poste in Ente pubblico economico avvenne con d.l. 1.12.93, n. 487,
conv. in I. 29 gennaio 1994 n. 71, a decorrere dalla data di efficacia dei decreti di
R.G. n. 6809/2010
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previste per il “passaggio” ad altra amministrazione o ad altra carriera, compreso il

nomina degli organi dell’ente medesimo (questi furono emanati con d.P.R. 23.12.93,
pubblicato nella G.U. del 31.12.93); pertanto, a decorrere dal 1.1.04 i dipendenti
dell’Ente Poste Italiane non potevano essere più considerati dipendenti di
un’Amministrazione dello Stato.
9. Il ricorso va dunque rigettato.

ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio di
legittimità ai sensi dell’art. 92 cod. proc. civ..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2015
Il Consigliere est.

Il Presi. – nte

10. Stante il carattere parzialmente nuovo delle questioni oggetto della controversia,

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