Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12860 del 13/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 13/05/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 13/05/2021), n.12860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. MANCINI Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24017/2015 R.G. proposto da

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

B.M., con l’avv. Pace Fabio, elettivamente domiciliato

presso il suo studio in Milano, Corso di Porta Romana n. 89/b;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Toscana – Firenze n. 1508/31/2014, pronunciata in 16 luglio 2014 e

depositata il 24 luglio 2014, non notificata;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 gennaio

2021 dal Cons. Fracanzani Marcello M..

 

Fatto

RILEVATO

1. Il contribuente, ex dirigente Enel s.p.a. ed iscritto al Fondo pensione denominato “PIA”, presentava all’Amministrazione finanziaria istanza di rimborso per Euro 115.483,21, pari alla differenza tra quanto versato all’Erario dal sostituto d’imposta Enel e quanto dovuto allo stesso Erario con l’applicazione di un’aliquota pari al 12,50% ai sensi dell’art. 42 TUIR, comma 4, e della L. n. 482 del 1985, art. 6. Si formava il silenzio-rifiuto che il contribuente impugnava avanti la Commissione tributaria provinciale.

2. Dopo i due gradi di merito, entrambi favorevoli al contribuente, la vertenza giungeva all’esame di questa Corte che con l’ordinanza n. 30341/2011 accoglieva l’appello dell’Ufficio, cassando con rinvio la sentenza e demandando al giudice del merito il compito di determinare le somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento di polizze soggette a tassazione al 12,50% di cui alla L. n. 482 del 1985, art. 6 per gli importi maturati entro il 31.12.2000.

3. Il contribuente riassumeva così il giudizio avanti la Commissione tributaria regionale, ivi quantificando il rendimento in Euro 392.330,03 e chiedendo la condanna dell’Ufficio al rimborso per Euro 90.893,66 oltre interessi. L’Ufficio eccepiva invece la necessità di accertare l’esistenza – ancor prima della quantificazione – del rendimento netto derivante dalla gestione sul mercato finanziario delle somme accantonate. Conseguentemente chiedeva il rigetto del ricorso in riassunzione e la conferma dell’illegittimità della domanda di rimborso in caso di insufficienza delle prove addotte dal contribuente.

4. La Commissione tributaria regionale accoglieva la tesi proposta dal contribuente, ritenendo che non fosse più contestabile il diritto al rimborso del contribuente e di dover circoscrive la sua decisione alla mera quantificazione del credito.

5. Insorge con ricorso l’Avvocatura generale dello Stato affidandosi a sei motivi, cui resiste il contribuente con tempestivo controricorso che, in prossimità dell’udienza ha depositato altresì memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63 e dell’art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Segnatamente, censura la sentenza impugnata per non aver fatto buon governo del principio espresso dalla pronuncia n. 13642/2011, resa da questa Corte a Sezioni Unite, con cui è stato stabilito il trattamento tributario dei fondi previdenziali integrativi. Assume, infatti, che con l’ordinanza n. 30441/2011 questa Corte non aveva deciso nel merito la controversia, di tal via onerando il Collegio del rinvio dell’accertamento dell’esistenza e della eventuale quantificazione del “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del Fondo del capitale accantonato il giudice del rinvio. Quest’ultimo, invece, riteneva erroneamente non più contestabile l’esistenza del diritto al rimborso, riservandosi il solo onere della sua quantificazione, peraltro demandata ad un CTU.

Il motivo è fondato.

2.Occorre premettere che con la citata sentenza n. 13642/2011, resa a Sezioni Unite, questa Corte ha stabilito il principio di diritto secondo cui “In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17, solo per quanto riguarda la “sorte capitale”, corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al (TUIR), D.P.R. n. 917 del 1986, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17.”.

2.1 Con la successiva ordinanza n. 29200/2011 questa Corte ha poi affermato, ad esplicazione del termine “rendimento”, che esso andava inteso come il “rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato. In altri termini occorre accertare che il rendimento del capitale deve quindi essere raccolto con investimenti sul mercato finanziario, o comunque almeno, per quanto già chiarito, sul mercato tout cour (anche immobiliare)”.

3. Ciò premesso, nel caso in esame è pacifico che la CTR abbia ritenuto erroneamente raggiunta la prova dell’esistenza del diritto al rimborso già in sede di giudizio di legittimità, ritenendo di essere onerata della sua mera quantificazione economica. L’errore in cui è incorsa la CTR risiede dunque nell’erronea applicazione del principio di diritto stabilito dell’ordinanza di rinvio e, ancor prima, nell’ordinanza di questa Corte resa a Sezioni Unite, avendo ritenuto infondatamente provato tout court il diritto al rimborso, mentre esso doveva essere oggetto di puntuale dimostrazione nel giudizio di merito con onere della prova a carico del contribuente.

4. Con il secondo motivo, strettamente connesso al precedente, l’Avvocatura dello Stato censura la sentenza impugnata per aver ritenuto parzialmente coperto da giudicato l’oggetto del giudizio di rinvio e, in particolare, per aver ritenuto come già accertato la sussistenza del diritto al rimborso. Conseguentemente la Commissione tributaria regionale avrebbe dovuto rigettare la domanda di rimborso a fronte dell’accertamento dell’inesistenza di un rendimento imputabile alla gestione sul mercato dei capitali accantonati nel fondo PIA.

Il motivo di ricorso è fondato.

4.1 In conformità a quanto già deciso al motivo precedente, e al quale il presente motivo è strettamente connesso, giova ribadire che il diritto al rimborso non era stato oggetto di accertamento da parte di questa Corte con l’ordinanza di rinvio n. 30341/2011. Al contrario era ivi rimesso alla Corte territoriale il dovere del suo preliminare accertamento secondo i principi rassegnati in materia dalle Sezioni Unite e, solo a seguire, la sua quantificazione.

5.Con il terzo motivo di ricorso l’Avvocatura dello Stato si duole della violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63 e dell’art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

In particolare, censura la sentenza anche nella parte in cui la CTR ha acriticamente condiviso le risultanze della CTU, disposta d’ufficio, che aveva calcolato il rendimento principiando dalla reddittività espressa dal patrimonio dell’azienda, stante la mancanza di una gestione separata delle somme (che di tal via non potevano aver generato alcun rendimento), invero solo “accantonate” nel complessivo bilancio Enel, incrementando il volume di autofinanziamento.

Il motivo è fondato.

5.1 Questa Corte ha già affermato che costituiscono il “rendimento netto” le “somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato, non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico-attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate” (Cass. nn. 10285/2017 e 24525/2017). E’ da escludere, pertanto, che nella prospettiva che qui interessa possa considerarsi quale “rendimento” ottenuto quello corrispondente alla redditività sul mercato dell’intero patrimonio ENEL, poichè tale coerenza costituisce il risultato di una mera operazione matematica e non effettivamente il frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato (Cass. n. 5436/2018; cfr. Cass. n. 4941/18) (…). A ciò si aggiunga che incombe sul contribuente, che impugna il rigetto di un’istanza di rimborso – quale attore in senso sostanziale -, l’onere di provare il fondamento della sua pretesa; questi, pertanto, è tenuto a dimostrare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, senza che detto onere probatorio possa ritenersi sufficientemente assolto tramite il mero rinvio: “al conteggio proveniente dall’ENEL, prodotto dal contribuente, che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato” (Cfr. Cass., n. 12/11/2019 n. 29205; Cass. 21/12/2016, n. 720; 15/03/2017, n. 13278; 16/03/2017, n. 13281).

6. Nel caso di specie è indubbio, perchè riconosciuto dallo stesso CTU, che la quantificazione operata aveva ad oggetto la redditività conseguita sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel, quindi il rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito. Tale rendimento non può però considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, essendo, al contrario, dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale. Dalla decisione impugnata non emerge, invece, la circostanza che tale rendimento, per la posizione individuale della contribuente, derivasse dall’investimento del capitale accantonato ad essa relativo, nel mercato di riferimento.

6.1 Nè il contribuente pare aver adempiuto al proprio onere probatorio inerente la dimostrazione del fondamento della pretesa. Grava infatti sul contribuente, che impugna una istanza di rimborso, l’onere di provare quale sia la parte dell’indennità ricevuta ascrivibile a rendimenti frutto d’investimento sui mercati di riferimento, onere che non può considerarsi assolto con la certificazione ENEL a firma di B., che non contiene alcuna specificazione sui criteri utilizzati per la quantificazione della voce rendimento, così da chiarire se si tratta effettivamente di incremento della quota individuale del Fondo attribuita al dipendente in forza di investimenti effettuati dal gestore sul mercato (Cass., 16116/2018).

7.Con il quarto motivo di ricorso la difesa erariale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e del principio di non contestazione di cui allo stesso art. 115 c.p.c. e conseguenziale violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 63 e dell’art. 384 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, perchè nella sostanza la commissione avrebbe errato anche per aver trascurato di considerare che il principio dettato dalle Sezioni Unite di questa Corte e la sua corretta interpretazione erano stati ammessi dallo stesso contribuente, salvo poi invocare a propria difesa l’argomentazione delle “riserve matematiche”.

8. Con il sesto motivo, invece, la difesa erariale censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ivi confutando la decisione di secondo grado nella parte in cui ha riconosciuto come “non contestata” la certificazione Enel.

I due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

8.1. Come affermato da questa Corte “posto che la norma processuale di riferimento per il principio della non contestazione è quella di cui all’art. 115 c.p.c., in base alla quale i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita vanno posti a fondamento della decisione, alla pari delle prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, e precisato che la “non contestazione” consiste in un contegno processuale, non potendo concorrere ad integrarla atteggiamenti assunti dalla parte prima e al di fuori del giudizio, se ne ricava che l’onere di contestazione (specifica) trova il suo alveo naturale e fisiologico nel processo dove, infatti, viene ad essere espressamente regolato dall’art. 115 c.p.c.” (cfr. Cass., Sez. Lav., n. 16162/2019)

8.2 Ciò premesso, fondate appaiono le doglianze svolte dall’Avvocatura dello Stato non avendo la Commissione tributaria regionale fatto buon governo della norma anzidetta, anche avuto riguardo alle puntuali trascrizioni, operate dalla difesa erariale nei singoli motivi di ricorso, rispetto alle deduzioni offerte dalle parti nel corso del secondo grado di giudizio. Il giudice d’appello ha così ignorato il riconoscimento operato dal contribuente rispetto al principio di diritto rassegnato in materia da questa Corte, così come ha trascurato le contestazioni svolte dalla difesa erariale rispetto certificazione Enel del 4 dicembre 2006.

9. Con il quinto motivo di ricorso la parte ricorrente censura, infine, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. In sostanza deduce l’erroneità della sentenza per non aver scrutinato la Commissione tributaria regionale l’effettivo impiego sui mercati da parte di Enel dei contributi affluiti nel fondo PIA. Il motivo ripropone, con diversa censura, le ragioni da prospettate dai primi due motivi e resta assorbito dal loro accoglimento.

10. Nel caso in esame è pacifico che il contribuente, in qualità di dirigente Enel, risultava iscritto al Fondo previdenziale denominato P.I.A. già in epoca antecedente al 28 aprile 1993 e che le prestazioni in somma capitale gli sono state erogate in data antecedente al 31 dicembre 2000.

Pertanto, poichè si discute solo di capitali rinvenienti dall’accantonamento in P.I.A., essendo pacifico che il patrimonio del Fondo P.I.A. “era incluso in quello complessivo che l’Enel utilizzava per svolgere la sua attività operativa” e “il patrimonio dell’Enel ha ovviamente sempre generato un determinato rendimento desumibile dai bilanci contabili della società”, impone di escludere che possa ritenersi raggiunta la prova che il rendimento ottenuto sulle somme accantonate nel fondo di previdenza integrativa sia stato ricavato dal loro investimento sul mercato (Cass. n. 10285 del 2017; Cass. n. 4941 del 2018).

Di conseguenza, non è possibile fare applicazione del regime fiscale agevolato, ossia dell’aliquota del 12,5 per cento prevista dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6.

11. Il ricorso è, conclusivamente, fondato per quanto di ragione e merita di essere accolto. La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente, dichiarando che le somme rinvenienti dal fondo PIA sono assoggettate a tassazione separata ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 16 e 17 (in adesione a numerosi precedenti conformi: Cass., 16116/2018; Cass., 16117/2018; Cass. 161118/2018; Cass., 16123/2018).

E’, infatti, pacifico che si controverta solo su capitali rinvenienti dall’accantonamento in PIA (il periodo dei versamenti è dal 1986 al gennaio 1991, quindi prima del trasferimento dei fondi da PIA in FONDENEL nel 1998) e dalla certificazione in atti ngo si desume in nessuna misura che il rendimento ottenut. Sulle somme accantonate nel fondo descritto di previdenza integrativa sia stato ricavato dal loro investimento sul mercato (Cass., 10285/2017; Cass., 4941/2018), con la conseguenza che non risulta per esso applicabile in concreto il regime fiscale dettato dalla L. 26 settembre 1985, n. 482, art. 6 (aliquota del 12,5% sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2% per ogni anno successivo al decimo).

Tali considerazioni sono confermate dalla relazione n. 32/1999 della Corte dei conti – sezione del controllo sugli enti – proprio sul bilancio consuntivo dell’Enel relativo all’esercizio finanziario 1997 (Cass. V, n. 16116/2018; n. 29396/2019; n. 26543/2020).

La peculiarità dei profili esaminati, sui quali la giurisprudenza si è consolidata solo in tempi recenti, impone di compensare integralmente tra le parti le spese relative ai gradi del giudizio di merito e le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo, il secondo, il terzo motivo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso, assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi del giudizio di merito e le spese del giudizio di legittimità

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2021

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