Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12859 del 22/05/2017
Cassazione civile, sez. VI, 22/05/2017, (ud. 11/04/2017, dep.22/05/2017), n. 12859
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 29428/2015 proposto da:
Z.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,
presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato BARBARA BUFFONI;
– ricorrente –
contro
G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI
PAISIELLO 15, presso lo studio dell’avvocato ENNIO FRATTICCI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI BORGHI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2126/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,
depositata il 14/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata dell’11/04/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del
provvedimento in forma semplificata, giusta decreto 14
settembre2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte rileva quanto segue.
Il Tribunale di Bologna, nel 2009, pronunciando sentenza non definitiva di separazione dei coniugi Z.C. e G.M., disponeva l’affidamento dei figli minori ad entrambi i genitori, fissava un assegno mensile a carico del padre a titolo di contributo al mantenimento dei figli, dichiarava che la separazione era da addebitare alla moglie e rigettava la domanda di addebito proposta da questa.
La pronuncia era impugnata da Z.C.; nella resistenza di G.M. la Corte di appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 14 ottobre 2014, respingeva il gravame.
Contro vale decisione ricorre per cassazione Z.C., la cui impugnazione è affidata a due motivi, illustrati da memoria; resiste con controricorso G.M..
Il primo motivo lamenta violazione dell’art. 111 Cost., conseguente all’inosservanza dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c.. Sostiene la ricorrente che la sentenza impugnata presentava una motivazione meramente apparente con riferimento al tema dell’addebito, alla medesima, della separazione dei coniugi. Osserva l’istante che, nonostante le argomentazioni poste a fondamento del proprio motivo di appello, la Corte di Bologna aveva respinto l’impugnazione utilizzando presunzioni basate su fatti che non presentavano carattere di certezza e che non consentivano, pertanto, di dar ragione del fatto ignoto da provarsi. Aggiunge la ricorrente che aveva richiesto in primo grado, come pure in appello, l’ammissione di una prova orale che avrebbe consentito di dimostrare sia l’occultamento, da parte del marito, di circostanze che avevano avuto gravi ripercussioni nella vita della coppia, sia l’inosservanza, da parte dello stesso G., dei doveri coniugali: la sentenza impugnata non si era però espressa sulle predette istanze istruttorie.
Con il secondo mezzo viene denunciata la violazione dell’art. 143 c.c. e art. 151 c.c., comma 2. La ricorrente deduce che la Corte emiliana non aveva attribuito alcuna rilevanza alla mancata ammissione, da parte del giudice di prime cure, delle istanze istruttorie da lei formulate al fine di dar prova dei comportamenti contrari e doveri coniugali del marito: istanze che erano state riproposte in sede di appello e che erano state disattese senza motivazione. Secondo la sentenza impugnata, poi, l’estromissione di essa istante dalla gestione del patrimonio comune dei coniugi ad opera del marito integrava un dato di dubbia rilevanza ai fini dell’addebito della separazione; comunque, risultava generica la confutazione dell’affermazione contenuta nella pronuncia di primo grado, secondo cui quel patrimonio mobiliare non era in comunione dei coniugi, essendo pervenuto a G. per successione ereditaria. Aggiunge la ricorrente che in epoca successiva al deposito della decisione impugnata il Tribunale di Bologna aveva accertato, con riferimento a quel patrimonio, che l’incremento del dossier titoli, afferente i valori mobiliari, ricadeva nel regime della comunione legale dei coniugi.
Avendo il relatore individuato una ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso, si è fatto luogo alla fissazione dell’adunanza della Corte per la trattazione della causa in camera di consiglio.
Il Collegio, a norma dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, ritiene che non si ravvisi una evidenza decisoria tale da permettere la definizione del ricorso presso la c.d. sezione filtro, sicchè esso deve essere avviato alla discussione in pubblica udienza presso la sezione tabellarmente competente.
PQM
La Corte rimette la causa alla pubblica udienza della 1^ Sezione Civile.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile, il 11 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2017