Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12859 del 10/06/2011

Cassazione civile sez. II, 10/06/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 10/06/2011), n.12859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.R. C.F. (OMISSIS), P.D. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TREBBIA 3,

presso lo studio dell’avvocato CASSESE ANTONIETTA, rappresentati e

difesi dall’avvocato LENTINI GIOVANNI;

– ricorrenti –

contro

PI.MA. C.F. (OMISSIS), domiciliata ex lege in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesaa dall’avvocato DE FELICE ARTURO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 189/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 18/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato Giuseppe Tabasco con delega depositata in udienza

dell’Avv. De Felice Arturo difensore della resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione 8.8.1997 per prosecuzione di giudizio possessorio Pi.Ma. premetteva che, unitamente alla madre C. M., con ricorso 23.10.1995 aveva chiesto al Pretore di Pisciotta la reintegra e/o manutenzione nel possesso del passaggio pedonale e carrabile, facendo ordine a P.D. e F.R. di ripristinare i luoghi, illegittimamente modificati con opere che ostruivano l’unico percorso che portava alla sua abitazione in (OMISSIS); che il Pretore aveva negato l’interdetto; che aveva proposto reclamo ed il tribunale di Vallo della Lucania, in data 4.6.1997, aveva revocato l’ordinanza ordinando ai reclamati di allargare l’apertura praticata nella recinzione in misura non inferiore a metri 2 nonchè di rimuovere ogni ostacolo.

I convenuti proponevano varie eccezioni e chiedevano dichiararsi l’improcedibilità, inammissibilità ed infondatezza della domanda.

Assunta prova per testi ed espletata ctu il GOT del tribunale di Vallo della Lucania, con sentenza 438/2003, accoglieva la domanda, disponendo l’allargamento dell’apertura in misura sufficiente e comoda al passaggio di un automezzo e, comunque, non inferiore a metri 3,50, decisione confermata dalla corte di appello di Salerno, con sentenza 189/05, che ha escluso l’ultrapetizione in ordine all’allargamento a metri tre e cinquanta richiamando la ctu e la prova.

Ricorrono F. e P. con quattro motivi, illustrati da memoria, resiste Pi.Ma..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo i ricorrenti denunziano violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2730 e 2733 c.c., ultrapetizione perchè non era stato chiesto l’ampliamento a metri 3,50, liberamente stabilito dall’estensore e col secondo errata ed inesatta interpretazione delle prove.

Col terzo motivo lamentano violazione degli artt. 112 e 91 c.p.c. e del D.M. n. 127 del 2004, artt. 1,5, 6, (tariffa forense) e col quarto degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 per l’assenza di una convincente motivazione.

I primi due motivi ripropongono quanto già dedotto in sede di merito, senza superare la corretta motivazione della sentenza che ha qualificato la domanda come possessoria, richiamando giurisprudenza sulla possibilità del compossessore di agire con l’azione di spoglio e di manutenzione, ha dedotto che gli appellanti nell’autunno del 1995 avevano costruito un muretto con recinzione, praticando una apertura munita di cancello, ha fatto riferimento ai testi ed alla ctu, ha escluso l’ultrapetizione rilevando che altro è il varco che dall’esterno consente l’accesso alla corte comune ed altro è il varco che dalla corte comune permette l’accesso alla proprietà Pi., concludendo che gli appellanti non avevano interesse a dolersi circa il disposto ampliamento del cancello di ingresso, la cui misura risultava accettata dalla Pi., per avere richiesto la conferma della sentenza appellata, in quanto la Pi., e non gli appellanti, avrebbe potuto richiedere il ripristino del varco di accesso alla corte comune, mediante la rimozione totale del manufatto.

Il giudizio di legittimità non può consistere nella riproposizione di quanto precedentemente dedotto ma deve specificamente indicare le violazioni di legge od i vizi logici della motivazione.

Perchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.

Nella specie, per converso, le esaminate argomentazioni non risultano intese, nè nel loro complesso nè nelle singole considerazioni, a censurare le rationes decidendi dell’impugnata sentenza sulle questioni de quibus, bensì a supportare una generica contestazione con una valutazione degli elementi di giudizio in fatto difforme da quella effettuata dal giudice a quo e più rispondente agli scopi perseguiti dalla parte, ciò che non soddisfa affatto alla prescrizione di legge, in quanto si traduce nella prospettazione d’un’istanza di revisione il cui oggetto è estraneo all’ambito dei poteri di sindacato sulle sentenze di merito attribuiti al giudice della legittimità, onde le argomentazioni stesse sono inammissibili, secondo quanto esposto nella prima parte delle svolte considerazioni.

Come ripetutamente evidenziato da questa Corte, poi, l’ultrapetizione quale vizio della sentenza, dev’essere, anzi tutto, fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e non già con la denunzia della violazione di differenti norme di diritto processuale o di norme di diritto sostanziale (Cass. 22.11.06 n. 24856, 14.2.06 n. 3190, 19.5.06 n. 11844, 27.01.06 n. 1755, ma già 24.6.02 n. 9159, 11.1.02 n. 317, 27.9.00 n. 12790, 28.8.00 n. 11260, 10.4.00 n. 4496, 6.11.99 n. 12366).

Perchè, poi, possa utilmente dedursi il detto vizio, è necessario, da un lato, che al giudice del merito fossero state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si rendesse necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali domanda od eccezione siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente e/o per riassunto de loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo del giudizio di secondo grado nel quale l’una o l’altra erano state proposte o riproposte, onde consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primis, la ritualità e la tempestività della proposizione nel giudizio a quo ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi; ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, dell’art. 112 c.p.c., ciò che configura un’ipotesi di error in procedendo per il quale questa Corte è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere- dovere del giudice di legittimità d’esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio d’autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell’onere d’indicarli compiutamente, non essendo consentita al giudice stesso una loro autonoma ricerca ma solo una loro verifica (Cass. 19.3.07 n. 6361, 28.7.05 n. 15781 SS.UU., 23.9.02 n. 13833, 11.1.02 n. 317, 10.5.01 n. 6502).

Nella specie, i ricorrenti non hanno rispettato alcuna delle evidenziate condizioni, onde la censura di ultrapetizione, quand’anche la si potesse ritenere proposta, sarebbe inammissibile.

Tra l’altro, come dedotto, la Corte di appello ha rilevato trattarsi di azione possessoria in cui si era chiesta la rimozione di qualsiasi ostacolo e la ctu aveva accertato che il restringimento era collegabile esclusivamente alla realizzazione di manufatti ivi descritti.

Il terzo motivo è assolutamente generico nel lamentare l’eccessività della liquidazione delle spese e parte da una premessa errata circa il valore della controversia come inferiore ad Euro 5200,00, laddove, in materia possessoria deve farsi riferimento ad un valore indeterminabile, sia pure non eccessivo, il quarto motivo è solo enunciato e non argomentato e, comunque, valgono a confutarlo le considerazioni già espresse per il rigetto dei primi due.

In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 1500,00 di cui 1300,00 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2011

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