Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12857 del 22/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12857 Anno 2015
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: BALESTRIERI FEDERICO

SENTENZA

sul ricorso 22502-2009, proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE C.F. 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e
2015
578

difeso dagli avvocati ELISABETTA LANZETTA, GUGLIELMO
TITA, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

MARRAS GRAZIELLA C.F. MRRGZL40L71H501T, elettivamente

Data pubblicazione: 22/06/2015

domiciliata in ROMA, VIA CICERONE 44, presso lo
studio dell’avvocato AMEDEO POMPONIO,
rappresenta

e

difende

unitamente

che

la

all’avvocato

GIUSEPPINO BOSSO, giusta delega in atti;
controri corrente –

di TORINO, depositata il 04/06/2009 R.G.N. 989/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 03/02/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO
BALESTRIERI;
udito l’Avvocato CAROSO SEBASTIANO per delega verbale
LANZETTA ELISABETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

avverso la sentenza n. 512/2009 della CORTE D’APPELLO

,-

Svolgimento del processo
Con sentenza del 24.4.2008, il Tribunale di Torino, in accoglimento del
ricorso proposto da Graziella Marras nei confronti dell’INPS, di cui fu
dipendente dal 1968 al 1998, condannò l’Istituto a riliquidare
l’indennità di buonuscita tenendo conto dell’indennità di funzione, del
salario di professionalità e dell’anticipazione mensile compensi
incentivanti, con corresponsionel su tali differenze i degli interessi legali

Avverso tale pronuncia proponeva appello l’INPS; resisteva la Marras.
Con sentenza depositata il 4 giugno 2009, la Corte d’appello di Torino
respingeva il gravame, condannando l’Istituto al pagamento delle
spese.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS, affidato ad
unico motivo.
Resiste la Marras con controricorso, poi illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1.-L’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 L.
20.3.75 n. 70, e degli artt. 5 e 34 del Regolamento per il trattamento di
previdenza e quiescenza del personale a rapporto di impiego dell’INPS
(art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).
Lamenta che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, la
disciplina sulla cd. omnicomprensività dell’indennità di anzianità di cui
al Regolamento Inps del 12 giugno 1970, approvato con decreto
interministeriale del 22.2.71, non era più operante a seguito
dell’entrata in vigore della L. n. 70\75, il cui art. 13 continuava ancora a
disciplinare la medesima indennità (prima dell’entrata in vigore della L.
n. 144\99), stabilendo che in essa rientrano solo la retribuzione base e
gli scatti di anzianità (“un’indennità di anzianità, a totale carico
dell’ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in
godimento”), con esclusione di altri emolumenti.
2.- Il ricorso è fondato.
Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenze n. 7154 del 25/03/2010 e n.
7158 dello stesso 25/3/2010) hanno affermato che in tema di base di

calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai
dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l’art. 13 della legge 20
marzo 1975 n. 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro

maturati dalla data di cessazione del rapporto al saldo.

del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di
quiescenza o di fine rapporto (rimasta in vigore, pur dopo la
contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in
servizio alla data del 31 dicembre .1995 che non abbiano optato per il
trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 cod. civ.), non
derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita
dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello

lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale
disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo
carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale
base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnicogiuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci
retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione
mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari (nella
specie, l’indennità di funzione ex art. 15, secondo comma, della legge
n. 88 del 1989, il salario di professionalità o assegno di garanzia
retribuzione e l’indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti
dell’INPS e INAIL) e devono ritenersi abrogate o illegittime, e
comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello
dell’Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di
quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle
competenze a carattere fisso e continuativo.
Il principio è stato successivamente ribadito da questa Corte con
l’ordinanza n. 4749\11 (ove sono stati peraltro esclusi dubbi di
legittimità costituzionale, atteso che, in caso di trattamento globale
costituito da più componenti, qual’è l’indennità di buonuscita rispetto al
trattamento dei lavoratori pubblici privatizzati, il rispetto dell’art. 36
Cost. deve essere valutato in relazione alla totalità dell’emolumento),
nonché, ampiamente, con sentenze n.3755\12L I
lit’L 1,04~ eu

)

i82414(M4-12b-v-A-‘

2.1-Ne puo essere seguita la tesi svolta dalla Marras nel controricorso,

secondo cui il divieto in parola riguarderebbe solo i dipendenti INPS
ancora in servizio dopo l’entrata in vigore della L. n. 144\99. Ed invero
le citate sentenze rese a sezioni unite riguardavano dipendenti in
servizio alla data del 31 dicembre 1995, restando comunque
ininfluente, per i fini in questione, l’art. 64 della legge 17 maggio 1999

stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato,

,-

n. 144, che abolì i Fondi integrativi, senza alcuna conseguenza
sull’erogazione del trattamento di quiescenza per il personale
dell’INPS, per i’qualt – a differenza della pensione integrativa — tale
trattamento è posto a carico direttamente dell’ente come “spese
generali di amministrazione dell’Istituto” e dunque non erogato dal
Fondo (Cass. n.11603\08, da ultimo: Cass. n. 3755\12).
Come osservato da Cass. n. 11603\08, la fonte che legittimava

trattamento di quiescenza, era il d.P.R. 30 aprile 1970 n. 639, art. 11,
emanato sulla base della delega conferita dalla L. n. 153 del 30 aprile
1969, artt. 27 e 29. Detta legge aveva infatti rimesso al d.P.R. di
disciplinare, con norme aventi valore di legge, il riordinamento degli
organi di amministrazione dell’Inps. L’art. 11 del Regolamento delegato
n. 639/70, a sua volta, rimetteva la determinazione del trattamento
economico “di attività e di fine servizio” alle delibere del consiglio di
amministrazione dell’Istituto.
L’art. 5 del Regolamento (deliberazioni del 12.6.1970 e del 18.3.1971),
prevedeva che “Agli effetti del presente Regolamento si intende per
retribuzione la somma delle seguenti competenze: lo stipendio lordo
calcolato per 15 mensilità annue; eventuali assegni ed altre
competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle
quote di aggiunta di famiglia, che siano riconosciuti utili ai fini del
trattamento di previdenza e di quiescenza con delibera del Consiglio di
amministrazione approvata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza
Sociale di concerto con quello del Tesoro”. Con la sentenza n.
120/1980, il Consiglio di Stato aveva però annullato tale disposizione
“nella parte in cui subordina a delibera del c.cl.a. la selezione degli
elementi utili agli effetti dei trattamenti di fine rapporto (indennità di
buonuscita e pensione)”, dichiarando che: “L’art. 5 del regolamento
per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale dell’Inps,
nella parte in cui subordina a deliberazione del consiglio di
amministrazione dell’ente l’utilità degli assegni e delle altre competenze
ivi indicati ai fini del trattamento anzidetto, confligge irrimediabilmente
con la sostanzialità dell’indagine circa il carattere che tali competenze
devono avere, ai sensi dell’art. 2121 cod. civ. e dei principi generali
della materia, i quali prevedono che l’utilità di un certo assegno o

5

l’adozione da parte dell’Inps del regolamento disciplinante il

competenza ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza derivi ex
se dalle intrinseche ed obbiettive caratteristiche dell’emolumento in
relazione alla formazione legislativa primaria, senza essere subordinata
alla emanazione di un provvedimento dell’ente pubblico interessato”.
Pertanto, in base all’art. 5 del Regolamento, a seguito della decisione
del Consiglio di Stato n. 120/80, per retribuzione doveva intendersi la
somma dello “stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue” e di

continuativo, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia”,
connessi a tale previsione risultano gli artt. 27 (in tema di pensione
integrativa) e 34 (in tema di indennità di buonuscita, denominata
trattamento di quiescenza), che fanno rispettivamente riferimento
all”ultima retribuzione spettante” e alli “ultima retribuzione annua
spettante”.
2.2-L’INPS adottava pertanto la Delibera n. 99 del 1982, secondo cui la
base di calcolo dell’indennità di buonuscita era costituitct dallo stipendio
lordo per quindici mensilità, oltre che da eventuali assegni personali ed
altre competenze di carattere fisso e continuativo.
Tale disciplina non può tuttavia ritenersi operante.
Ed invero la L. n. 70\75, art. 1, aveva già disposto che “Lo stato
giuridico e il trattamento economico di attività e di fine servizio del
personale dipendente degli enti pubblici individuati ai sensi dei seguenti
commi sono regolati in conformità alla presente legge”. L’art. 25 della
citata legge imponeva poi a ciascun ente di provvedere a modificare i
regolamenti organici vigenti in conformità della medesima legge entro
sei mesi dall’approvazione degli accordi sindacali, che avrebbero dovuto
determinare il trattamento economico, mentre l’art. 26 faceva divieto di
attribuire al personale trattamenti economici accessori o integrativi. La
nuova disciplina recava quindi un trattamento retributivo omogeneo
per i dipendenti di “tutti” gli enti interessati (tramite accordi sindacali,
come già avveniva per i dipendenti statali) e, quanto al trattamento di
quiescenza, si disponeva all’art. 13 che “all’atto della cessazione del
servizio spetta al personale un’indennità di anzianità, a totale carico
dell’ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in
godimento quanti sono gli anni di servizio prestato”. Pertanto, questa
divenne ormai, per tutti i dipendenti del parastato, la disciplina

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“eventuali assegni personali ed altre competenze di carattere fisso e

2

applicabile per la quiescenza, con conseguente abolizione di quelle,
diversamente stabilite, dalle varie, molteplici delibere dai consigli di
amministrazione. Né, quanto alla quiescenza, vi è alcuna norma che
sancisca la ultrattività delle disposizioni regolamentari per il periodo
successivo alla entrata in vigore della L. n. 70 del 1975; al contrario, la
perdurante operatività dei trattamenti previsti dalle singole delibere
degli enti, si porrebbe in insanabile contrasto con la lettera e la finalità

contrariamente opinando, la completa inutilità della legge medesima.
3.-11 ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata
conseguentemente cassata e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa
Corte con il rigetto dell’originaria domanda.
Il consolidamento dell’orientamento di legittimità in epoca successiva al
giudizio di merito, giustifica la compensazione delle spese dell’intero
processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo
nel merito, rigetta la domanda proposta dalla Marras. Compensa le
spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 3 febbraio 2015
Il Consigliere est.

Il Presidente

della legge di razionalizzazione ed omogeneizzazione, pena,

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