Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 12856 del 22/06/2015


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Civile Sent. Sez. L Num. 12856 Anno 2015
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: NOBILE VITTORIO

SENTENZA

sul ricorso 3918-2009 proposto da:
MUSELLA ROSARIO C.F. MSLRSR68TO8G686E, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA N. 7, presso lo
studio dell’avvocato SARA D’ONOFRIO, che lo
rappresenta

e

difende unitamente all’avvocato ANDREA

SOLFANELLI, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
493

contro

RAI RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A. C.F. 06382641006,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

Data pubblicazione: 22/06/2015

21/23, presso lo studio degli avvocati RAFFAELE DE
LUCA TAMAJO e CARLO BOURSIER NIUTTA, che la
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
controricoxrente –

avverso la sentenza n. 8876/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2015 dal Consigliere Dott. VITTORIO
NOBILE;
udito l’Avvocato ARMENTANO ANTONIO per delega BOURSIER
NIUTTA CARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di NAPOLI, depositata il 31/01/2008 r.g.n. 1696/2006;

-

,

R.G. 3918/2009

t
,

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 22-10-2004/21-2-2005 il Giudice del lavoro del
Tribunale di Napoli, in accoglimento della domanda proposta da Rosario

tempo determinato intercorsi tra le parti con la sussistenza di un rapporto a
tempo indeterminato con decorrenza dal 31-12-1997 e condannava la società al
risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni non percepite dal 30-122002 oltre accessori ed alla rifusione delle spese.
La RAI proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la
riforma.
In particolare l’appellante rilevava che il primo giudice non aveva
considerato che in data 8-10-1999 il Musella aveva rassegnato le proprie
dimissioni per motivi familiari e che tale atto non era stato impugnato con il
ricorso introduttivo, per cui la statuizione con la quale era stato qualificato
l’atto stesso come mera anticipazione della scadenza del contratto era viziata
da ultrapetizione. Peraltro non era stato esplicitato il vizio della volontà che
avrebbe inficiato l’atto né risultava precisato il motivo per il quale l’effetto
tipico delle dimissioni dovesse essere limitato al contratto a termine e non
anche a quello a tempo indeterminato.
Pertanto l’appellante sosteneva la legittimità dei contratti a termine
sottoscritti successivamente alle dimissioni alla stregua della legislazione
vigente al momento della relativa sottoscrizione (art. 23 1. n. 56/87 e art 1 d.lgs.
e

n. 368/2001), sussistendone le condizioni, ed aggiungeva che la reiterazione
a

dei contratti non poteva considerarsi neppure quale mero indizio di una volontà
1

Musella nei confronti della RAI s.p.a., dichiarava la nullità dei contratti a

s,
elusiva dei limiti sul contratto a tempo determinato atteso che da parte
ricorrente una tale ipotesi neppure era stata allegata.
L’appellato si costituiva e resisteva al gravame deducendo la irrilevanza
delle dimissioni dell’8-10-1999 e la illegittimità delle apposizioni del termine

richieste.
Dichiarava la intercorrenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
dal 23-12-1997 all’8-10-1999, rigettando nel resto la domanda proposta dal
Musella e condannava la RAI a pagare alla controparte un terzo delle spese del
doppio grado, compensando gli altri due terzi.
In sintesi la Corte territoriale, esaminati i contratti a termine succedutisi tra
le parti, attesa la nullità del primo contratto del 22-12-1997, concluso ex art. 1
lettera e) della legge n. 230 del 1962, per mancanza dei requisiti di specificità
richiesti, escludeva che le dimissioni dell’8-10-1999, rassegnate “per
sopraggiunti motivi personali”, in mancanza di una deduzione di un vizio della
volontà e di una richiesta di annullamento, comportassero soltanto gli effetti di
cui il lavoratore poteva avere consapevolezza e comunque unicamente gli
effetti tipici del rapporto cui l’atto ineriva e, cioè, la anticipazione della
scadenza del contratto cosi come originariamente prevista dalle parti.
La Corte territoriale, quindi, stante il verificarsi dell’effetto proprio delle
dimissioni, rilevava che i rapporti successivi alle dimissioni, intercorsi tra le
parti, non potevano essere qualificati come riattivazioni del rapporto a tempo
indeterminato sorto per effetto della nullità del termine apposto al primo
contratto e dovevano essere valutati a prescindere dallo stesso.

ai contratti intercorsi in mancanza delle condizioni di specificità dei programmi

t

La Corte, poi, riteneva la legittimità dei termini apposti a tutti i contratti
..

,

successivi, stipulati in base agli accordi collettivi (accordo 5-4-1997 e ceni 8-62000) conclusi ex art. 23 della 1. 56 del 1987, in forza alla “delega in bianco”
da tale norma conferita, sussistendo le condizioni previste (nella specie la

necessità di ulteriori requisiti di specificità).
Per la cassazione di tale sentenza il Musella ha proposto ricorso con sette
motivi.
La RAI ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente censura la statuizione relativa alle
dimissioni rassegnate (nel corso del 6° contratto a termine) con lettera dell’810-1999, ed in specie sostiene che le stesse incidevano sulla prosecuzione del
contratto a termine e non potevano eme* sic et simpliciter essere “trasmigrate”
al rapporto a tempo indeterminato, “che era ben lungi dall’essere accertato
esistente e comunque non era presupposto dal lavoratore”. Del resto, poiché il
giudizio aveva ad oggetto la nullità della clausola di apposizione del termine al
contratto e l’accertamento della diversa natura a tempo indeterminato del
rapporto, secondo il ricorrente, la dichiarazione di dimissioni “non poteva, né
doveva, essere oggetto di impugnazione da parte dell’esponente in primo
grado”.
In sostanza il ricorrente lamenta che la Corte territoriale erroneamente ha
ritenuto che “mentre il Musella faceva cessare il contratto di lavoro a tempo
determinato (poco prima della sua naturale scadenza), in realtà intendeva
influire sulla prosecuzione di un rapporto che non sapeva esistere; e ciò,
3

indicazione dell’unico programma sia pure suddiviso in più puntate, senza

malgrado il comportamento successivo, prolungato, di entrambe le parti, le
:

quali hanno stipulato ulteriori contratti successivamente alle dimissioni”.

PO

In altre parole, secondo il ricorrente, “le dimissioni del lavoratore
comunicate durante un contratto a tempo determinato possono avere efficacia

lavoro a tempo indeterminato” e devono ritenersi inefficienti sull’interruzione
di tale accertando rapporto “in assenza di prova della sua consapevolezza e
volontà di interrompere non già il contratto a termine bensì il mai dichiarato
rapporto di lavoro a tempo indeterminato”.
Il ricorrente poi, nel lamentare contraddittorietà della motivazione,
evidenzia che “se l’atto con il quale il datore di lavoro segnala la cessazione del
rapporto a termine non ha il potere di incidere sulla continuità del rapporto a
tempo indeterminato la cui esistenza sia accertata successivamente, parimenti
non può essere attribuita tale efficacia, in assenza di altri in equivoci elementi
di fatto ed anzi in presenza di una successiva sequela di contratti a termine”.
Il motivo non merita accoglimento.
Come è stato più volte affermato da questa Corte, “la dichiarazione di
recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea “ex
se” a produrre l’effetto della estinzione del rapporto, che è nella disponibilità
delle parti, a prescindere dai motivi che ebbero a determinare le dimissioni (a
meno che queste non risultino viziate come atto di volontà) e dalla eventuale
esistenza di una giusta causa, posto che, anche in tal caso, l’effetto risolutorio si
ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento
;

illegittimo o ingiustificato, ad un atto negoziale del lavoratore, che è preclusivo
di un’azione intesa alla conservazione del medesimo rapporto” (v. Cass. 12-7-

soltanto nell’ambito del contratto medesimo e non nell’accertando rapporto di

2002 n. 10193, Cass. 23-4-2012 n. 6342, e da ultimo, in tema di contratti a
termine con la RAI, Cass. 8-1-2014 n. 175, Cass. 6-2-2014 n. 2751).
Del resto “le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto unilaterale
recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui

di quest’ultimo” (v. Cass. 26-2-2007 n. 4391, Cass. 12-5-2004 n. 9046) e in
quanto riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore sono sottratte alla
disciplina dell’art. 2113 c.c. (v. Cass. 21-8-2003 n. 12301, Cass. 8-1-2009 n.
171, Cass. 13-8-2008 n. 18285).
Incombe, poi, sul lavoratore, in base al principio di cui all’art. 1427 c.c.,
l’onere di chiedere l’annullamento delle dimissioni che siano viziate da errore,
violenza o dolo.
Correttamente, quindi, la Corte di merito ha rilevato che “nel caso di
specie nulla è stato né dedotto né richiesto dal Musella di talché deve
escludersi che il negozio dell’8 ottobre 1999 possa essere annullato”.
Del pari, poi, correttamente i giudici di appello hanno disatteso la tesi
accolta dal primo giudice, secondo cui dalle dimissioni del lavoratore
sarebbero scaturiti soltanto gli effetti di cui lo stesso poteva avere
consapevolezza e comunque unicamente gli effetti tipici del rapporto cui l’atto
ineriva e, cioè, la anticipazione della scadenza del contratto originariamente
prevista.
Tale tesi contrasta con il principio sopra richiamato e con il sistema che
esclude la rilevanza dei motivi dell’atto negoziale, salvo che siano
esteriorizzati in una condizione od in una pattuizione espressa. Del resto
essendo le dimissioni negozio unilaterale recettizio – espressione di un diritto

pervengono a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla volontà

,..

potestativo – idoneo a determinare la risoluzione del rapporto, una volta
comunicato al datare di lavoro, indipendentemente dalla volontà di

O

quest’ultimo, dai motivi e da una eventuale giusta causa, è evidente che è
incompatibile l’applicazione dell’istituto della presupposizione (cfr. Cass. 231-1992 n. 728, Cass. 23-11-2001 n. 14897).
Legittimamente, quindi, la Corte di merito ha rilevato che nel caso di
specie, il Musella avrebbe potuto invocare eventualmente l’errore, sotto forma
di ignoranza della sopravvenuta conversione del rapporto, e la riconoscibilità
dello stesso (v. fra le altre Cass. 19-8-1996 n. 7629) e che, in mancanza di tutto
ciò, l’atto ha prodotto l’effetto che gli è proprio.
La Corte, poi, con accurata motivazione in fatto, immune da vizi logici,
valutando il tenore letterale dell’atto, il comportamento delle parti e tutti gli
elementi emersi (ivi compresa la successiva conclusione di ulteriori contratti a
tempo determinato), ha escluso che le dimissioni dell’8-10-1999 potessero
essere interpretate come mera dichiarazione di volersi avvalere
(anticipatamente) del termine di scadenza del contratto.
Tale accertamento (incentrato in sostanza su una asserita contraddittorietà,
inesistente nel sistema come sopra delineato, stante la diversità di regime tra
recesso del lavoratore e recesso datoriale) resiste alla censura del ricorrente,
che, per il resto, riproponendo la propria interpretazione dell’atto, in effetti
chiede a questa Corte una revisione del “ragionamento decisorio”, non
sussumibile nel controllo consentito dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ( v. Cass. 7-6-2005
n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766, Cass. 7-1-2014 n. 91).
Con il secondo motivo, con riferimento ai contratti conclusi in base
all’accordo sindacale del 5-4-1997, il ricorrente, denunciando violazione delle

;
,

norme di legge e di contratto collettivo, in sostanza sostiene che, in base al
detto accordo, il programma o i “più programmi” debbono essere specifici e

VA

che il significato dell’espressione “programma specifico non può che essere
quello contenuto nell’art. 1. comma 2, lett. e) della legge n. 230 del 1962”, per

programmi nonché del “vincolo di necessità diretta” con la prestazione del
Musella (truccatore-parrucchiere), laddove, invece, la genericità della detta
prestazione, in produzioni le più diverse, escludeva già di per sé i detti
presupposti.
Con il terzo motivo, con riferimento anche ai contratti stipulati ai sensi del
ccl 8-6-2000, parimenti denunciando violazioni di legge e di contratto
collettivo, il ricorrente lamenta che la semplice indicazione del titolo del
programma non può ritenersi sufficiente quale giustificazione dell’apposizione
del termine, perché ciò contrasterebbe con l’interpretazione del contratto
collettivo e dell’art. 23 della legge n. 56/87, nel quadro della direttiva
comunitaria, in quanto, in sostanza, “è vero che la “delega in bianco” non
vincola le parti sociali “alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a
quelle già previste dalla legge”, ma queste non possono oltrepassare il proprio
ambito di azione cioè i limiti della delega loro conferita dalla legge in quanto
devono “operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato”. In sostanza, secondo il ricorrente,
pur essendo “nuova ipotesi” la stipulabilità di un contratto relativo a più
programmi, “non costituisce nuova ipotesi “manovrare” sul requisito della
specificità, che costituisce una caratteristica intrinseca di fonte legale come
interpretata dalla giurisprudenza”.

cui, nella specie, la Rai avrebbe dovuto dare prova di tale “specificità” dei

Con il quarto motivo, il ricorrente ribadisce che il citato art. 23 autorizza
le parti sociali a introdurre nuove ipotesi ma non prevede in alcun modo la
possibilità di modificare quelle esistenti e rileva che “se il requisito della
specificità del programma radiotelevisivo fosse ridotto alla presenza del mero

quanto la produzione dei programmi coincide con il suo fine istituzionale ‘
I detti motivi secondo, terzo e quarto, che in quanto strettamente connessi
possono essere trattati congiuntamente, non meritano accoglimento.
In proposito questa Corte (v. Cass., sez. lav., 14 settembre 2012, n. 15455,
cfr. Cass. 23-11-2010 n. 23686, con riferimento ad una truccatriceparrucchiera), con riferimento all’accordo collettivo del 1997 e ad analoga
fattispecie, ha affermato che tale accordo collettivo deve considerarsi stipulato
nell’esercizio della delega contenuta nell’art. 23 cit., che consentiva
l’apposizione del termine anche nella assunzione di personale di qualsiasi
qualifica “per un programma od una pluralità di specifici programmi quando
l’impegno per ciascun programma non esaurisce la prestazione giornaliera e/o
settimanale”. La previsione contrattuale – ha precisato questa Corte – distingue
quindi due ipotesi, quella della assunzione per un singolo programma e quella
della assunzione per “una pluralità di specifici programmi”. Nella prima ipotesi
è richiesta solo l’unicità del programma. Nella seconda ipotesi è richiesta la
specificità, nonché l’ulteriore requisito concernente il mancato esaurimento
delle prestazione giornaliera o settimanale. Di conseguenza, deve ritenersi che
ai fini della legittimità della apposizione del termine, è sufficiente
l’indicazione, in ciascun contratto di lavoro a termine, del singolo programma
per il quale l’assunzione del ricorrente è avvenuta.

titolo, la Rai potrebbe sempre e comunque assumere a tempo determinato in

Va pertanto ribadito il principio – già affermato da Cass. 14 settembre
2012, n. 15455, cit., v. anche da ultimo Cass. 2-4-2014 n. 7667, sia con

froa

riferimento alla previsione dell’accordo del 1997 sia con riguardo alla analoga
previsione del ccl del 2000.- secondo cui, “quando l’assunzione sia correlata

pure suddiviso in puntate – non è necessario il requisito della specificità,
risultando la prestazione dedotta in contratto chiaramente determinata mediante
la necessaria indicazione, nello stesso contratto, del titolo del programma,
avendo peraltro la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 esteso l’ambito dei
contratti a termine autorizzati, consentendo anche alla contrattazione collettiva
di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto
di lavoro.”
Del resto, in generale, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, questa
Corte ha ripetutamente affermato che “l’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n.
56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare oltre le fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 della legge 18 aprile 1962,
n. 230 e successive modifiche nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29 gennaio 1983, n.
17, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1983, n. 79 – nuove
ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro,
configura una vera e propria” delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali,
pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a
termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il
ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” ed
anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per
ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo (vuoi in funzione di

alla realizz27ione di un unico programma – cioè di un singolo spettacolo, sia

promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori)
, l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso
l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro
idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro

Infondata è quindi la diversa tesi posta alla base dei detti tre motivi di
ricorso.
Con il quinto motivo il ricorrente sostiene che l’accordo del 5-4-1997 e il
contratto collettivo del 2000, avendo esclusivamente rango aziendale sarebbero
privi del carattere della “nazionalità” e non rientrerebbero nella previsione di
cui all’art. 23 della legge n. 56 del 1987.
Anche tale motivo è infondato, giacché, come è stato precisato da questa
Corte, tale nonna, “che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di
individuare nuove ipotesi, ulteriori rispetto a quelle legali, di apposizione di un
termine alla durata del rapporto di lavoro richiede che “i contratti collettivi di
lavoro” (non qualificati quanto al loro livello) siano “stipulati con i sindacati
nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative
sul piano nazionale” e, dunque, non richiede che il contratto collettivo debba
essere nazionale, né compie alcuna selezione con riferimento alla parte
datoriale, che può essere pertanto anche una singola azienda; ne deriva che
anche un contratto aziendale, purché stipulato con un’organizzazione sindacale
che presenti i requisiti su indicati, può legittimamente individuare nuove
ipotesi di apposizione del termine (v. Cass. 14-9-2012 n. 15455, proprio con
riferimento all’accordo 5-4-1997 e al cel 8-6-2000).

10

diritti.” (v. per tutte Cass. 16-11-2010 n. 23119).

e

..
,
.,

Parimenti infondato è poi il sesto motivo, con il quale il ricorrente, con
riferimento agli ultimi due contratti stipulati successivamente all’entrata in
vigore del d.lgs. n. 368/2001, lamenta che erroneamente la Corte di merito ha

PA

ritenuto la “sopravvivenza” delle previsioni del ccl del 2000.

11 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, e mantengono, dunque, al pari dei
contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, la loro
efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi (v. Cass. 3-1-2014 n.
27).
Del resto, in generale, questa Corte ha precisato che “in materia di
assunzione a termine dei lavoratori subordinati, l’art. 23 della legge 28 febbraio
1987, n. 56, che attribuisce alla contrattazione collettiva la possibilità di
identificare nuove ipotesi di legittima apposizione del termine, continua a
trovare applicazione anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 368 del
2001, che pure ne reca la formale abrogazione, in relazione alle clausole dei
contratti collettivi di lavoro precedentemente stipulati sotto la vigenza della
legge del 1987 ed ancora in corso di efficacia al momento dell’entrata in vigore
del citato d.lgs. fino alla scadenza dei contratti collettivi, atteso che la
disciplina transitoria, desumibile dall’art. li del d.lgs. n. 368, ha proprio la
finalità di garantire una transizione morbida tra il vecchio ed il nuovo sistema
(v. Cass. 4-8-2008 n. 21092).
Infine neppure merita accoglimento il settimo motivo con il quale, in
sostanza, il ricorrente lamenta motivazione insufficiente ovvero “motivazione
A

apparente” in ordine alla affermazione della sufficienza della mera indicazione
del titolo del programma nel contratto.
li

Tali previsioni, infatti, rientrano “nel regime transitorio previsto dall’art.

A prescindere, infatti, anche dalla considerazione che il ricorrente non
specifica alcun fatto controverso e decisivo per il giudizio che sarebbe stato
trascurato, è sufficiente rilevare che la Corte di merito, con decisione conforme
a diritto (vedi sopra il rigetto dei motivi dal secondo al quarto), correttamente e

sottoscritti dal Musella nel vigore dell’art. 23 sono relativi alla realizzazione di
un unico programma espressamente indicato nel contratto medesimo, risulta
evidente come gli stessi debbano considerarsi legittimi.”.
Il ricorso va pertanto respinto e il ricorrente, in ragione della
soccombenza, va condannato al pagamento delle spese in favore della società
controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla
controricorrente le spese, liquidate in euro 100,00 per esborsi e euro 3.500,00
per compensi, oltre spese generali e accessori di legge.
Roma 29 gennaio 2015
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

(14

IL PRESIDENTE

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Il Funzionario Giud .
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sufficientemente ha spiegato che “poiché nel caso di specie, tutti i contratti

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